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Antibiotico-resistenza, guarita la prima paziente italiana con il virus che uccide i batteri

Antibioticoresistenza

Una donna di 62 anni con un'infezione resistente è tornata a camminare senza stampelle dopo anni di dolori grazie alla terapia fagica. Vediamo di cosa si tratta

Entro il 2050, secondo l’OMS, saranno 50 milioni le persone che moriranno ogni anno a causa dell'antibiotico-resistenza, la più importante sfida del mondo biomedico per i prossimi decenni. Un’eccessiva e ingiustificata prescrizione di antibiotici (il miglior metodo disponibile a partire dagli anni '50 per sconfiggere infezioni batteriche potenzialmente letali) ha favorito la capacità dei batteri di mutare per sopravvivere all’interno dell’organismo umano, sviluppando meccanismi di difesa. "Se non si mettono in pratica comportamenti individuali responsabili, e politiche e interventi mirati - ha dichiarato Andrea Mandelli, presidente della Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani (FOFI) -, i cosiddetti batteri super-resistenti saranno presto la principale causa di morte al mondo, prima di infarto e ictus". E l’antibiotico-resistenza preoccupa in particolar modo l’Italia che continua ad essere ‘maglia nera’ in Europa, con circa 11mila morti l’anno per infezioni resistenti agli antimicrobici.

Per arginare questa pandemia silenziosa, la scienza del mondo occidentale sta lavorando a una serie di strategie, tra cui la fagoterapia: una terapia che utilizza i batteriofagi (o fagi), virus che aggrediscono in maniera molto selettiva i batteri distruggendoli. Una metodica riscoperta 10 anni fa, sviluppata agli inizi del '900, che potrebbe rappresentare la nuova strategia terapeutica contro l'antibiotico-resistenza. Pertanto, sono in corso progetti in diversi Paesi europei per la sua validazione attraverso trial clinici. Tra questi c’è l’Italia, dove i ricercatori delle Università di Tor Vergata e di Pisa la stanno testanto nei primi pazienti candidabili per riceverla, in collaborazione con altri istituti all'estero. Grazie alla fagoterapia una donna di 62 anni con un'infezione resistente agli antibiotici, è tornata a camminare senza stampelle, dopo anni di dolori e continue cure inutili. Si tratta del primo paziente in italia ad essere guarito con la terapia fagica. I risultati, pubblicati sulla rivista Open Forum Infectious Diseases, seppure ancora iniziali, poiché si riferiscono a una sola persona, sono molto promettenti, considerando anche che la fagoterapia è già testata in altri Paesi con risultati simili.

Il caso della donna italiana

I ricercatori italiani hanno somministrato alla donna di 62 anni, affetta da anni da un'infezione della protesi dell'anca causata dal batterio Pseudomonas aeruginosa (tra i patogeni maggiormente resistenti all'azione degli antibiotici, secondo la 'lista nera' dei batteri stilata dall’OMS), una terapia a base di un fago proveniente dalla banca dell'Istituto George Eliava di Tbilisi, in Georgia, insieme ad un antibiotico già assunto in precedenza dalla donna. "Il trattamento scelto - ha spiegato Novella Cesta, prima autrice del lavoro, dell'Università Tor Vergata di Roma - ha permesso di eradicare l'infezione. A distanza di due anni e mezzo l'infezione non si è ripresentata e la paziente, che era in cura da anni senza risolvere il problema, sta bene". Il risultato è stato testato anche a livello sperimentale, in vitro. "Questa ulteriore prova - ha aggiunto Mariagrazia Di Luca, microbiologa del Dipartimento di Biologia dell'Università di Pisa e co-fondatrice della startup Fagoterapia LAB -, ha permesso di confermare il risultato osservato nella paziente, verificando il meccanismo d'azione e l'efficacia del fago contro il ceppo specifico".

La terapia fagica

La terapia fagica, sviluppata più di cento anni, è stata usata a lungo come terapia alternativa agli antibiotici. Negli anni Cinquanta, poi, con lo sviluppo degli antibiotici, l’approccio è passato in secondo piano e tornato alla ribalta solo una decina d’anni fa con l’aumento delle infezioni farmacoresistenti. La terapia fagica utilizza virus (fagi) ingegnerizzati (geneticamente modificati) che, per la loro particolare struttura, riescono a penetrare esclusivamente le cellule dei batteri senza intaccare quelle umane, uccidendo i patogeni e combattendo le infezioni. Pertanto, potrebbero diventare la nuova arma contro l’antibiotico-resistenza.

"Si tratta di una nuova strategia, una strada promettente - ha affermato Massimo Andreoni, direttore scientifico della SIMIT (Società italiana di malattie infettive e tropicali) e direttore della Uoc Malattie Infettive del Policlinico Tor Vergata, coautore del lavoro -, a mio avviso da continuare a percorrere, perché anche nel caso degli antibiotici più innovativi si possono rapidamente sviluppare resistenze. È importante, per questo, combinare più strategie, fra cui la fagoterapia, per ottenere risultati efficaci".

I fagi potrebbero curare anche le malattie infiammatorie intestinali

In un primo momento, i ricercatori vorrebbero testare i batteriofagi in pazienti con problematiche rilevanti. "Per esempio - ha sottolineato Novella Cesta - potrebbero risultare molto utili nelle infezioni polmonari croniche in individui predisposti, pensiamo a pazienti con fibrosi cistica, oppure nelle infezioni urinarie, quali prostatiti croniche associate a una disabilità e a un carico assistenziale elevato". Ma, in futuro, hanno affermato i ricercatori, potrebbero essere utilizzati anche nelle malattie infiammatorie croniche intestinali, quali il morbo di Chron e la colite ulcerosa, patologie in cui la flora batterica ha un ruolo e può diventare un bersaglio terapeutico. In questo campo esistono già studi in corso.

Il fago attacca solo una specie batterica

Il meccanismo con cui i fagi attaccano i batteri è molto specifico. Un fago è, infatti, solitamente capace di colpire solo una certa specie batterica e, a volte, anche solo una variante (un ceppo) di quella specie. Se da un lato la specificità può essere un vantaggio poiché se un fago colpisce solo il batterio responsabile dell’infezione, gli altri batteri che vivono nell’organismo vengono preservati, e si riducono gli effetti collaterali; dall’altro può essere anche uno svantaggio perché, affinché il trattamento sia efficace, è necessario individuare l’esatto fago capace di aggredire quel determinato ceppo batterico. Se si considera che in natura ci sono circa 1031-1032 fagi, trovare quello giusto per una certa infezione può essere un’impresa alquanto difficile, come sottolineano anche gli autori dello studio.

Per evitare questa lunga ricerca, a volte si utilizzano cocktail di fagi diversi che dovrebbero assicurare una maggiore probabilità di successo della terapia pur avendo maggiori effetti collaterali. Tuttavia, questi cocktail sono difficili da sviluppare e non è semplice dimostrarne l’efficacia nell’uomo.  "L’elevata specificità dei fagi - hanno affermato gli autori -, rende la terapia molto personalizzata e ciò rende più difficile reclutare un grande numero di soggetti richiesto dagli studi clinici di fase 3, tappa finale del percorso di sperimentazione clinica.

Sviluppi futuri (e limiti) della ricerca

Ora, il prossimo passo dei ricercatori italiani è testare la terapia fagica su un gruppo più ampio di pazienti e sviluppare una banca di fagi, come quella della Georgia (in Italia già esiste una fagoteca da espandere, creata dalla start up Fagoterapia LAB). Tuttavia, sebbene i costi per svilupparla siano bassi, persistono diversi problemi normativi che ne impediscono l’approvazione nel nostro Paese, legati ai percorsi regolatori. Per evitare il problema, gli scienziati di Tor Vergata e di Pisa si stanno impegnando per individuare strade differenti, in termini di processi regolatori, che possano consentire in futuro di utilizzare i fagi, qualora gli studi clinici ne confermino l'efficacia e la sicurezza. Una strategia utilizzata anche da altri paesi, come Georgia e Belgio, dove, grazie a protocolli differenti, studiati apposta, la terapia fagica è già impiegata, sempre in pazienti selezionati.

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