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Dalla val di Fassa al Nepal per scalare una cima ancora vergine sull'Himalaya, l'impresa di Silvia Loreggian e Stefano Ragazzo: "L'abbiamo battezzata Sato Pyramide"

HIMALAYA (NEPAL). L'alpinismo è per alcuni 'soltanto' uno sport, per altri invece una vera e propria filosofia di vitaStefano Ragazzo e Silvia Loreggian, compagni d'avventure, colleghi e nondimeno compagni di vita, hanno fatto delle esperienze in montagna motore dei loro giorni, non soltanto per lavoro ma anche per passione. Desiderosi di partire alla volta di cime vergini e inesplorate, dopo certosine ricerche, sono approdati in Nepal , sull'Himalaya, dove hanno conquistato, per primi, l'inviolata cima Sato Pyramide, a quota 6100 metri. 

I due alpinisti iscritti all'albo delle Guide alpine trentine cercavano "da tempo informazioni in merito a montagne non ancora esplorate - precisa Stefano Ragazzo, originario di Padova, a Il Dolomiti -. Non è stato per nulla semplice ma grazie ad amici siamo riusciti a trovare qualche nome, iniziando a elaborare un piano. Partendo da un puntino su di una mappa indicante una catena di montagne in Nepal, abbiamo messo in atto delle vere e proprie ricerche utilizzando Google Earth e i satelliti, provvedendo infine a contattare il Governo nepalese del turismo per avere conferma che quelle fossero davvero cime ancora vergini".

É partita così la preparazione per una spedizione "organizzata da autodidatti: la nostra volontà era quella di arrampicare in stile alpino utilizzando soltanto il materiale imprescindibile, cercando di non lasciare nulla in montagna - precisa - puntando quindi sulla sostenibilità". Ci sono voluti circa 30 giorni per definire ogni singolo dettaglio, "al fine di raggiungere una zona lontana dai grandi centri abitati o da quelli turistici - racconta la guida alpina -. Motivo che ci ha condotti a organizzare una parte della spedizione affidandoci ai locali, partendo dai permessi e i visti per la scalata ottenuti tramite un'agenzia nepalese fino a arrivare all'aiuto offertoci da un pastore di yak che ci ha aiutati a trasportare il materiale fino al campo base da noi individuato", ricorda l'alpinista padovano.

Partiti alla volta di quella che avrebbe dovuto essere la loro base d'appoggio, dove stabilire tenda e provviste, Silvia e Stefano hanno percorso per giorni sentieri impervi con innumerevoli domande in mente: "'Riusciremo a piantare la nostra tenda nel punto che abbiamo individuato attraverso il satellite?', ci chiedevamo in attesa di scoprirlo da noi". Per raggiungere il "nostro campo base ci sono voluti sei giorni di cammino, accanto al pastore e a due yak che trasportavano i carichi, raggiungendo infine una vallata nella quale nessuno era mai approdato - rivela Stefano - se non alcuni pastori ormai molti anni fa".

Abbandonate dal loro accompagnatore e dagli animali, le due guide alpine sono rimaste così da sole trascorrendo i primi giorni in quota insieme a mal di testa, nausea e disturbi del sonno: "Abbiamo impiegato circa una settimana e mezzo per acclimatarci: in quei casi, il mal di montagna è più che normale - dichiara Ragazzo -. Per due settimane e mezzo siamo andati su e giù, esplorando la zona nel tentativo di capire quale fosse la parete migliore per salire verso la vetta". Dopo un mese circa dalla partenza dall'Italia, i due alpinisti hanno finalmente conquistato la cima a quota 6100 metri, 'calpestata' e raggiunta attraverso la via Kalypso, "nome da noi scelto in onore dell'Odissea omerica, capolavoro che avevamo letto durante la nostra permanenza al campo base".

"Prigionieri dell'amore per la montagna" come Ulisse lo fu della ninfa Calipso, che a lungo lo trattenne sull'isola di Ogigia, Loreggian e Ragazzo hanno incanalato sentimenti, determinazione e forza di volontà riuscendo nel loro ardito intento, arrivando a Sato Pyramide il 31 ottobre 2022: "É stato indescrivibilmente emozionante camminare e arrampicare dove nessun essere umano aveva messo piede prima di noi", confessa Stefano, nonostante le peripezie e difficoltà affrontate -. Abbiamo dovuto sopportare importanti escursioni termiche: di notte, ad esempio, le temperature scendevano a meno 20 gradi. La vetta raggiunta non aveva nome: abbiamo così deciso di battezzarla Sato Pyramide, perché quando la osservavamo col binocolo da valle sembrava una grossa piramide".

Alla fine della grande impresa, restava solo un (non indifferente) quesito: "Avevamo con noi un satellitare per comunicare con il pastore di yak che, a spedizione conclusa, avrebbe dovuto raggiungerci per accompagnarci a valle. Il 6 novembre gli abbiamo così mandato un messaggio, al quale lui non poteva tuttavia rispondere: con lui ci eravamo accordati solo a parole e non eravamo quindi sicuri che avrebbe poi mantenuto la promesse - conclude Stefano -. Rimasti in attesa speranzosi ma senza certezze in pugno, abbiamo infine gioito nel veder arrivare il nostro 'yak man' con i suoi animali a recuperarci dopo una tanto straordinaria quanto storica spedizione".