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Dottorandi e assegnisti di ricerca aspettano ancora il bonus da 200 euro contro il carovita

Finora solo pochissimi hanno ottenuto il via libera sul sito dell’Inps. Ma per i circa trentamila dottorandi e i quindicimila assegnisti di ricerca italiani, il bonus un tantum da duecento euro (poi ridotto a centocinquanta), attivato come aiuto contro il carovita, finora è stato solo un miraggio. E finora, nonostante l’inflazione all’dieci per cento, nessuno di loro ha visto l’accredito sul conto corrente.

Le domande inoltrate da agosto in poi, cioè da quando il decreto aiuti bis del governo Draghi ha previsto l’estensione del sussidio anche a loro, sono state tutte respinte dal sito dell’Inps. In tanti hanno fatto richiesta di riesame, ma si sono visti comunque tornare indietro la domanda. E solo il 31 gennaio, dopo tre mesi di lettere aperte e incontri informali al ministero dell’Università, l’Inps ha fatto finalmente sapere a questo bacino di ricercatori da poco più di mille euro al mese di aver avviato il riesame centralizzato delle richieste già inoltrate per velocizzare le pratiche.

Nel secondo decreto aiuti, su spinta dell’allora ministro del Lavoro Andrea Orlando, il bonus da duecento euro era stato esteso anche a dottorandi e assegnisti di ricerca, paragonati ai lavoratori con contratti di collaborazione. I requisiti erano: essere titolari di borsa di studio o assegno di ricerca, essere iscritti alla gestione separata Inps, avere un reddito non oltre i trentacinquemila euro. Nel decreto ter di settembre, poi, il bonus è sceso a centocinquanta euro e la soglia di reddito a ventimila euro. Ma, cambiato il governo e arrivata Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, i requisiti anche nel decreto aiuti quater sono rimasti gli stessi.

Eppure, l’intero flusso di richieste del bonus per i ricercatori si è ingolfato nel portale dell’Inps. «Ho fatto domanda a fine agosto, ma a novembre è stata respinta senza spiegazioni», racconta Giovanni, dottorando a Milano. «Ho dovuto fare poi richiesta di riesame fornendo delle autocertificazioni per attestare che sono dottorando e che sono iscritto alla gestione separata dell’Inps. Cosa che l’Inps dovrebbe già sapere». Da allora, Giovanni non ha avuto nessuna risposta. Come tutti i suoi colleghi. «Quotidianamente vado sul portale dell’Inps, ma gli ultimi aggiornamenti risalgono a dicembre», racconta.

«C’è stato un respingimento generale e indiscriminato», spiega Davide Clementi, portavoce dell’Adi, Associazione dottorandi italiani, che a novembre ha scritto al presidente dell’Inps Pasquale Tridico e al direttore generale Vincenzo Caridi. «Nelle domande di riesame è stato chiesto di fornire informazioni di cui già l’Inps è in possesso. Ma diversi riesami sono stati comunque rifiutati. Si comincia a vedere qualche accoglimento in questi giorni».

Dalle interlocuzioni informali avute con l’Inps e i tecnici del ministero dell’Università di Anna Maria Bernini, sembra che l’inghippo burocratico sia la mancanza del modello “Unilav”, quello con cui i datori di lavoro comunicano i rapporti di lavoro con i propri dipendenti. Ma nel caso dei ricercatori, le università non sono obbligate a farlo. Peccato che dall’Inps se ne siano accorti solo dopo sei mesi dall’approvazione del decreto.

La scorsa settimana i dottorandi hanno scritto una lettera aperta in cui spiegano che «a tre mesi da questa imbarazzante e svilente macchinazione burocratica, i riesami accolti si contano sulle dita di una mano e l’erogazione dell’indennità appare ancora come un penoso miraggio». A questo, si aggiunge quella che definiscono «l’ultima stoccata kafkiana: l’Iban fornito da molti di noi per l’accredito del bonus secondo l’Inps non sarebbe valido, nonostante l’evidente correttezza dei dati forniti». Superfluo dire, aggiungono, «che l’erogazione dell’indennità, nei tempi prescritti, avrebbe fornito un discreto supporto economico per affrontare l’attuale contesto ad elevata inflazione e costi energetici».

La comunicazione dell’Inps del 31 gennaio sull’avvio del riesame centralizzato ora apre qualche spiraglio per i ricercatori. Intanto l’Adi si è rivolta alla deputata Elisabetta Piccolotti di Alleanza Verdi Sinistra per far arrivare la questione in Parlamento con una interrogazione parlamentare.

La cifra media delle borse di studio per i dottorandi è stata alzata dal governo Draghi da 1.126 euro a 1.195. «Una cifra con cui oggi non si riesce a vivere in nessuna grande città d’Italia», dice Clementi. «Nel resto d’Europa parliamo di assegni che sono dai quattrocento ai seicento euro più alti».