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E il naufragar non m’è dolce in questo mare. Anzi!

in foto il ministro Matteo Piantedosi (Imagoeconomica)

Il ministro degli affari interni Piantedosi venerdì a Bruxelles ha partecipato alla riunione con i suoi omologhi della EU. Ha avuto, insieme a altri, un colloquio con il suo corrispondente francese Darmanin, da lui stesso definito “cordiale e fattivo”. L’ottimismo deve essere una delle caratteristiche che connotano il prefetto irpino, perché, da quanto si è appreso dai vari mezzi dell’ informazione, si ha l’ idea che la situazione degli sbarchi dei profughi sia rimasta, sia concesso il gioco di parole, ancora in alto mare. Il ministro transalpino è stato quanto meno lineare, premettendo che la condizione indispensabile  per definire un piano di distribuzione tra i vari stati della EU di quelli che scappano di casa -nel senso più autentico dell’ espressione- era che Roma si desse disponibile a consentire la loro prima accoglienza. Se ne possono trarre senza indugio le ragionevoli conclusioni, cioè che quell’ aut aut non è evidentemente improntato da spirito di collaborazione. Se di consolazione può essere definita la notizia che la valutazione della legge di bilancio stia superando i vari step di valutazione, allora è certamente così. Anche perché, seppure con prudenza, ciò lascia intravedere lo sventato pericolo del ricorso all’esercizio provvisorio. Se ne deduce che  l’iter per giungere alla sua conclusione definitiva stia procedendo spedito, quindi rispettando le scadenze naturali.
Come di solito accade nella fase che sta affrontando al momento l’esecutivo, paragonabile al rodaggio delle automobili dei bei tempi andati e ormai scomparso, i punti salienti della manovra si stanno mostrando in chiaro passo dopo passo. Le categorie sociali stanno facendo ciascuna il proprio pari e dispari sulle misure che le toccano da vicino. Così sta venendo fuori, o almeno sembra, che sul problema della scuola, allargando la visuale all’istruzione in senso ampio, qualche punto di condivisione tra il governo e parte dei diretti interessati all’ argomento stia venendo fuori. È stata particolarmente interessante, a tal riguardo, la tribuna televisiva trasmessa dalla Rai sabato mattina. A confronto sono stati il ministro dell’ Istruzione pubblica Valditara e il vice presidente di Confindustria Brugnoli. Va notato che quella mezz’ ora, tanto all’incirca è durata la trasmissione, è scorsa gradevolmente  per il giusto fair play dei partecipanti , con domande  e risposte espresse con il tono giusto, quello del dibattito senza preconcetti.  Tanto va sottolineato perché la regola per quel tipo di incontri è che i convenuti si confrontino con espressioni pressoché simili a quelle dei lavoratori dei mercati generali. In tal modo lasciano che si accavallino domanda e risposta, con il risultato che chi e in ascolto, passi senza indugio su un altro canale. L’argomento più interessante della conversazione è sembrato quello della finalizzazione degli studi. Detto in maniera lineare, come evitare che subentri lo sconforto nei giovani che non vogliono né studiare, né lavorare. Con una sola stringata sintesi, non sanno o non vogliono prepararsi a un futuro da adulti. La motivazione di tale comportamento, a loro dire, è che non intravedono niente di abbordabile per il proprio inserimento in società. L’argomento non è stato liquidato superficialmente dai due interlocutori, come altri, in circostanze simili, hanno fatto, inquadrandola come “sindrome di Peter Pan”, il ragazzo che non voleva crescere. Entrambi i partecipanti al dibattito hanno convenuto che, per contenere il problema, è necessario che da subito siano gli adulti, cioè coloro ai quali quei giovani dovranno dare il cambio in tutto quanto è di loro competenza, quanto meno a indirizzarli sia agli studi che al lavoro, mettendosi al loro livello. Ciò significa che il rapporto scuola impresa, da sempre dichiarato da entrambi i protagonisti come fondamentale in ogni tempo e a tutte le latitudini, debba diventare finalmente operativo. Da almeno mezzo secolo questa esigenza sta diventando sempre più ineludibile se il primo obiettivo di un governo è, come è naturale che sia, la pace e la crescita sociale. È tenendo in considerazione quest’ ultimo target che diventa importante  il concetto di “ascensore sociale”. Con questa indicazione è definito il vero e proprio riscatto che concretarono i giovani meno abbienti, di estrazione contadina o operaia, nel ventennio che va dagli anni ’50 ai ’70. Frequentarono, il più delle volte in condizioni di forte disagio, le scuole superiori, talvolta anche l’università. Riuscirono così a cambiare stato nel senso più completo del termine. Poi arrivò il ’68, guarda caso assonante con il ’48, indicatore fantozziano di gran confusione, che fece mettere in discussione tutto e tutti. La ciliegina sulla torta fu messa nei primi anni ’70, quando la classe operaia cominciò a credere di poter andare in Paradiso, anche senza averne merito. La chiave per interpretare lo spirito dei tempi attuali, molto probabilmente sta proprio nel concetto di meritocrazia. A questo punto è fondamentale rifarsi al pensiero del Professor Luigi Einaudi a tal riguardo. Quando lo stesso affrontava l’ argomento del divario esistente tra le varie classi degli italiani, non mancava mai di sottolineare che era dovere dei governanti fare si che quel dislivello venisse  gradatamente ridotto, facendo salire la parte di popolazione che era collocata a livello più basso e non viceversa. Il motore dell’operazione doveva essere il merito. Il concetto era spiegato con una serie di considerazioni socioeconomiche perfettamente comprensibili che, riprese successivamente, hanno reso merito- il termine ricorre ancora -al Professore di Dogliani. I fondamenti del pensiero economico inglese dell’ inizio del secolo scorso, si poggiavano anche essi su presupposti del genere. Accennati da A. Marshall e approfonditi dal successore A.C. Pigou, essi poggiano le fondamenta sulll’importanza della ” Economic of Welfare”, l’economia del benessere, che ha riferimenti stretti con l’ analogo pensiero dell’economista delle italianissime Langhe. Allo stato attuale quindi, il progetto Scuola Impresa elaborato dal Gruppo Giovani di Confindustria nei primi anni ’80 potrebbe essere ripescato e preso in considerazione, quindi aggiornato e adottato dal governo. Sarebbe così la volta buona che un progetto di notevole portata, concepito da una parte sociale, più specificamente da un’associazione datoriale, possa incontrare il consenso delll’esecutivo nonchè delle rappresentanze sindacali. Sarebbe senza dubbio questo il colpo di reni che, al momento, serve all’ Italia come l’ossigeno.