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Elezioni 25 settembre 2022 – Andare a votare non è solo un diritto ma è anche un dovere sociale

In una società fondata su tanti diritti e pochi doveri, l’esercizio del diritto di voto attrae sempre meno persone. La percentuale di chi non si reca ai seggi aumenta costantemente. Molti sostengono che anche il non voto sia un diritto. Chi non esprime la propria preferenza politica lo fa perché ritiene che ormai nelle società moderne lo Stato nazionale conti sempre meno, che il Governo non possa influire più di tanto sulla propria vita, e che quindi i partiti siano solo delle cordate di potere ma che poi non possano che seguire un sentiero tracciato dalle forze del mercato, o dalle istituzioni sovranazionali. Altri ritengono che l’offerta politica non sia attraente, e quindi si astengono in segno di protesta e in attesa della nascita di un partito più vicino ai propri gusti.

Il dovere di votare

Ma il voto non è solo un diritto è anche un dovere. Esercitandolo i cittadini dimostrano di tenere in considerazione il contesto della società in cui vivono, di valutare l’importanza di appartenere a una comunità, testimoniando la volontà di partecipare alla costruzione delle sue istituzioni e delle sue politiche. In questo senso, il diritto non può essere disgiunto dal dovere. È un po’ come il lavoro. Tutti citano l’art. 1 della Costituzione, che afferma che siamo una Repubblica fondata sul lavoro, deducendone che lo Stato deve quindi assicurare un lavoro a tutti. Pochi considerano anche l’altra faccia della medaglia e cioè che i cittadini hanno il dovere di trovarsi un lavoro per contribuire alla edificazione della Repubblica.

La politica influisce sulle nostre vite

È del tutto errata, poi, la convinzione che la politica non possa influire più di tanto sulle nostre vite. Noi siamo abituati a valutare la politica sulla base dell’acquisizione di grandi o piccoli vantaggi immediati. Puntiamo ad avere la raccomandazione per un posto di lavoro nel settore pubblico, oppure una pensione anticipata, o il reddito di cittadinanza. Ci sono invece cambiamenti di fondo indotti dalla politica che trascinano in su o in giù l’intera società, e quindi determinano anche i nostri destini individuali.

Il caso della Russia…

Un libro uscito qualche tempo fa di una giornalista russa che ha lavorato anche in Occidente, Masha Gessen, intitolato “Il futuro è storia”, descrive attraverso le vite di varie persone le vicende degli ultimi trentacinque anni della Russia, dalla crisi del comunismo con Gorbaciov all’ascesa di Putin. Caduta l’Unione sovietica, la ventata di libertà si è presto trasformata per i russi in un fardello. Le persone chiedevano certezze, quelle che nella sua rigidità burocratica il comunismo dava. La gente voleva avere una chiara percezione di chi era, e in quale paese dovesse vivere. Il conformismo dell’Urss era un comodo rifugio. La depressione dell’era sovietica si era trasformata nella paura del futuro, non si sapeva più cosa fare e quale era il proprio ruolo nella società. Putin ha offerto la sicurezza di uno Stato restaurato e presente. E questo è avvenuto attraverso la guerra in Cecenia. Ha fatto appello alla tradizione della Grande Madre Russia e alla guerra Patriottica per dare valori su cui coagulare la società. Ha chiesto in cambio la rinuncia alla libertà, cosa che la maggioranza dei russi ha concesso volentieri, anche perché della libertà non sapeva che farsene. Poi però l’esasperazione nazionalista ha portato alla guerra in Ucraina (alle migliaia di soldati morti), all’isolamento del paese non solo dall’Occidente, ma anche dagli altri paesi asiatici, alle sanzioni che certo aumenteranno la povertà delle classi povere. E forse qualche russo comincia a svegliarsi.

…e la diversità dell’Italia

L’Italia è diversa dalla Russia. Ma vogliamo rinunciare al nostro diritto di voto e cioè alla partecipazione consapevole ai destini del paese, per ripicca o perché ci accontentiamo di una piccola mancia? In un momento come questo, tutti i cittadini dovrebbero avere preoccupazioni per quanto sta avvenendo nel mondo. Ma proprio per questo dovrebbero operare per rafforzare le istituzioni democratiche che alla fine sono la nostra reale garanzia contro il delirio di onnipotenza degli autocrati che si circondano da una corte di yesman.

Le difficoltà a informarsi

Ma per andare a votare occorre un minimo di consapevolezza della posta in gioco. Bisogna informarsi di quali sono le reali intenzioni di coloro che si contendono il Governo. In questo il ruolo di una informazione realmente libera e professionale sarebbe decisivo. Da un lato l’affermazione dei social ha creato un ambiente sempre più incline all’estremismo, oltre alla maggior diffusione di notizie false o manipolate. Come disse un giornalista americano agli albori dei social, “stanno dando nuova rispettabilità all’opinione disinformata”. A questo clima sempre più vicino all’intrattenimento che all’approfondimento informativo si è accodata la TV con i suoi Talk, e poi anche i giornali, per quel poco che rimane della gloriosa carta stampata.

La (scarsa) credibilità della politica

I cittadini hanno difficoltà ad informarsi. Non ci sono punti di riferimento affidabili. La credibilità della classe dirigente è bassa un po’ in tutto l’Occidente, e in particolare in Italia. E tuttavia ci sono segnali evidenti della vera natura delle forze politiche che chiedono il voto dei cittadini. Basta avere un po’ di buon senso per coglierli. Meloni, ad esempio, pensa che gran parte del resto del mondo stia complottando contro l’Italia, e quando dice loro che “è finita la pacchia” esplicita un sentimento profondo e non solo una battuta superficiale e volgarotta. Salvini che ammette di aver sbagliato clamorosamente su Putin dimostra quantomeno di non avere la lungimiranza necessaria per un politico a cui il popolo affida il compito di tenerlo al riparo dai pericoli più gravi che possono venire dall’estero o dall’interno. Il Pd non sa bene cosa vuole e oscilla tra l’accordo con i 5 Stelle e una posizione europeista e riformista.

Dalla caduta della prima repubblica il nostro panorama politico ha subito forti scosse. Prima Berlusconi, poi è stata la volta di Grillo, poi ancora è toccato a Salvini essere sulla vetta del 33-34% dei voti. Possibile che ora dovremo affrontare anche l’incognita Meloni? Ci piace essere spericolati! Avevamo Draghi che faceva quello che poteva e soprattutto ci copriva le spalle sul fronte estero. Faceva contare l’Italia sia alla Casa Bianca che a Bruxelles. In situazioni così difficili era nell’interesse di tutti tenerlo ancora a Palazzo Chigi. Si può ancora tentare. Proviamoci!