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Esposito: «L’Italia che frana? Il vizio è l’eccesso di legislazione»

«Con ventisettemila abitazioni senza concessione edilizia», sottolinea Gianluca Esposito, docente di diritto amministrativo della Sapienza di Roma, «sulle scrivanie del comune ischitano pende un arretrato di decine di migliaia di domande di condono, e altrettante ordinanze di demolizione». Panorama.it ha incontrato il prof. Esposito che ha puntato il dito contro l’incapacità del sistema amministrativo italiano di programmare una legislazione coerente e chiara: «Siamo al perfetto controsenso della legge, che prima vieta, poi perdona. Uffici divisi tra demolizioni e condono».

Professor Esposito è davvero così?

«Esattamente. Condonare deriva dal latino e significa “donare”. Il condono azzera tutte le sanzioni, incluse quelle penali previste per i casi di abuso totale. Nella realtà giuridica, il termine condono indica anzitutto la legge con la quale il parlamento annulla gli effetti di una violazione di una precedente legge. Mentre i condoni penali e fiscali, in genere, operano pressoché automaticamente, in ambito urbanistico è maggiormente necessaria la mediazione della pubblica amministrazione, i Comuni, responsabili del governo del territorio. A loro spetta accertare se, in base alla legge, un abuso è ammesso e cioè è sanato, dietro pagamento di un’oblazione».

Ma i Comuni non dovrebbero sorvegliare sulla osservanza delle regole urbanistiche ed edilizie da parte dei cittadini, più che concedere condoni?

«Il problema è complesso e investe più livelli di responsabilità, dal pubblico al privato. Il primo aspetto è squisitamente politico e riguarda il corretto uso di un potere, per definizione eccezionale, qual è quello di “sanare” una condotta antigiuridica. Siamo agli antipodi tra legale e illegale, in un susseguirsi di norme diametralmente opposte, quella anteriore che vieta, e quella posteriore che permette. Esercitando quella sovranità che egli trae direttamente dal popolo, la decisione se farvi ricorso spetta al legislatore. Ma affinché sia giusta, la legge deve stare nell’alveo eccezionalissimo in cui, in uno Stato di diritto, quella contraddizione è tollerabile e ragionevole».

Quindi, lei sta dicendo che il primo imputato è il legislatore, per esempio il governo Conte come si sta scrivendo in queste ore?

«Bisogna distinguere. Nel giugno del ‘46, era appena nata la Repubblica e nel paese dilaniato dalla guerra il governo De Gasperi, su proposta del Ministro della giustizia Togliatti, approvò un’amnistia. Era un contesto civile, economico e sociale nel quale si giustificava il ricorso ad uno strumento eccezionale, per favorire il rapido recupero di condizioni di pace politica e sociale. Effettivamente nei decenni successivi si registrò quella crescita».

Altro è il condono del 2018, ci sembra…

«Concepito nella tragedia del ponte Morandi di Genova, con maglie persino più aperte, il governo non agì nelle stesse eccezionali condizioni: piuttosto, il crollo del ponte orientava ad un immediato intervento correttivo e preventivo, con semplificazione dei procedimenti non di condono ma di demolizione».

Nei suoi scritti sull’argomento, lei indugia in puntuali analisi storiche.

«Mi perdoni la disgressione storica ma è necessaria. Nel De rerum natura Lucrezio, prima di Cristo, già parlava delle genti vicine stanziate ai piedi dell’Etna, che “al vedere tutte le regioni del cielo fumide mandare scintille, riempivano i petti di pauroso affanno, domandandosi quali rivolgimenti macchinasse la natura”. Persino ammoniva che “il tempo infatti muta la natura di tutto il mondo, e in tutte le cose a uno stato deve subentrarne un altro, né alcunché resta simile a sé stesso: tutte le cose passano, tutte la natura le trasmuta e le costringe a trasformarsi».

Analisi risalente…

«Ma necessaria per riflettere. Anche il filosofo Bernardino Telesio, nel De rerum natura iuxta propria principia del 1565, descriveva la natura come sottoposta a una continua vicenda di generazione, di corruzione e di rigenerazione, nella quale “pullula il divenire degli esseri particolari”. Persino più attuale, in queste ore, è il De planctu naturae di Alain De Lille, che nel 1150 d.C. raffigurava la natura allegoricamente come portatrice di armonia e dell’ordine stabiliti dal creatore, ma continuamente violati dagli uomini che cedono ai vizi. Nessuno ha letto, evidentemente. La prevenzione è anzitutto un fatto culturale quindi sociale e giuridico».

Siamo nel bel mezzo del classico groviglio italico di leggi e codici: eppure l’Europa ha dettato una disciplina apposita sul danno ambientale. Perché non si applica?

«L’Europa non è sempre avanti. Di prevenzione ambientale, per esempio, si è occupata soltanto nell’ultimo ventennio. In Italia era già nato il ministero dell’ambiente, con la legge 349 del 1986. Una legislazione ancora giovane, nata sotto la tensione ideologica di partiti e movimenti cui va ascritto, oltre ad alcuni meriti, il vizio di un’aprioristica opposizione alle istanze di sviluppo. L’effetto maggiore è stato uno scollamento rispetto alla materia urbanistica, non casualmente sparita dalla Costituzione con la riforma del 2001. Un settore che ha tenuto separati apparati dello Stato, che avrebbero potuto collaborare di più. Va recuperato il principio dello sviluppo sostenibile del territorio, che presuppone capacità di pianificazione, ma in una visione semplificata e quindi efficiente».

Nella nostra legislazione esistono piani territoriali, comunali, regionali, statali. Com’è possibile un caso Ischia? E a chi compete la prevenzione?

«La quantità non è qualità. La prevenzione è una funzione amministrativa che allo stato investe troppi apparati pubblici: dai comuni alle regioni, dal ministero dell’ambiente a quello delle infrastrutture, fino alla protezione civile. Una frammentazione che dilata i tempi, genera disordine e - come ad Ischia - diventa tragedia. Mettere la croce sulla burocrazia è un errore, perché questa è esecutiva delle leggi. Se essa opera bene o male, dipende dalla qualità delle leggi».

Ci perdoni, professore. Esisterà un qualche vizio procedurale?

«Il vizio è l’eccesso di legislazione, che ogni governo aggrava con leggi puntiformi, quasi mai organiche. Ma moltiplicare norme è l’ostacolo al buon andamento della pubblica amministrazione. Poi, quando tutto crolla, arriva un supereroe, il commissario, destinato a fallire. Serve invece una “legge di prevenzione”, scritta da giuristi, ingegneri, geologi, sociologi, per disegnare le società sostenibile.

Risale al 1942 la disciplina per la pianificazione del territorio da parte dei comuni.

«Tuttora, molti comuni, compresa Ischia, non hanno adottato i piani regolatori voluti da quella legge. Poi, dagli anni ’80, il legislatore ha introdotto condoni e frattanto ha incaricato le burocrazie di scrivere altri piani: paesaggistici, ambientali, delle aree protette, industriali, regionali, statali, ecc. L’errore è stato non guardare al territorio come bene unico, ma in modo frammentato e disorganico».

Così la prevenzione è stata superata dall’abusivismo. Come si rimedia, se anche la prevenzione fallisce?

«Con il governo della pianificazione. Vanno accorpate le troppe competenze, oggi separate, e riassunti i piani in forme omogenee e obiettivi certi. Il legislatore ha l’occasione di dare priorità agli interessi, seguendo la lezione di Lucrezio, il rispetto per la natura. L’emergenza esige che sia lo Stato centrale ad approntare misure urgenti di salvaguardia sul fronte del dissesto idrogeologico. Mentre i comuni devono adottare piani di demolizione e ricostruzione. Semplificando e programmando le future generazioni».

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Gianluca Maria Esposito, originario di Lauria (Pz), classe 1971, ordinario di diritto amministrativo nell’Università La Sapienza di Roma, è tra i maggiori studiosi italiani di diritto pubblico e ambientale, sin dal volume “Tutela dell’ambiente e attività dei pubblici poteri” (Giappichelli, 2008). Nel recente “Il governo delle programmazioni” (Il Mulino, 2019), punta il dito contro l’incapacità del sistema amministrativo italiano di programmare, a causa del groviglio italico di leggi e codici, e di un eccesso di piani e programmi pubblici, che si moltiplicano e affastellano, generando confusione anziché ordine.