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Fine Vita, Massimiliano “era determinato, ha giocato a Burraco”: il racconto delle 2 donne che lo hanno accompagnato

Felicetta Maltese e Chiara Lalli che hanno portato il 44enne a Svizzera, si sono presentate stamattina in caserma a Firenze per autodenunciarsi

Fine Vita, Massimiliano "era determinato, ha giocato a Burraco": il racconto delle 2 donne che lo hanno accompagnato
Fine Vita, Massimiliano "era determinato, ha giocato a Burraco": il racconto delle 2 donne che lo hanno accompagnato

Fine Vita, Massimiliano “era determinato, ha giocato a Burraco”: il racconto delle 2 donne che lo hanno accompagnato

Era determinato a morire e giocava a burraco Massimiliano, il 44enne di San Vincenzo (Livorno) malato di sclerosi multipla che ieri ha scelto di morire col suicidio assistito in una clinica in Svizzera. A raccontare i suoi ultimi giorni di vita sono le due donne che lo hanno accompagnato, Felicetta Maltese, attivista della campagna Eutanasia Legale e la giornalista Chiara Lalli.

Entrambe questa mattina si sono recate nella caserma dei carabinieri di piazza della Stazione a Firenze per autodenunciarsi per il reato di aiuto al suicidio. Con loro c’erano anche Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, e Filomena Gallo, avocata e segretario dell’associazione.

Massimiliano era determinato

“Era molto determinato – racconta Felicetta Maltese – gli abbiamo anche detto che se voleva lo avremmo riportato a casa. Lui ha detto ‘vi ringrazio, ma non cambio idea’”. Maltese ha sottolineato che con Massimiliano, oltre a loro e al padre, “c’erano le sorelle, gli sono state vicine tutto il tempo. In quei due giorni Massimiliano ha avuto calore, affetto, solidarietà, rispetto”.

“Ieri mattina, poco prima di morire – ha detto Chiara Lalli – Massimiliano mi ha abbracciata, e mi ha chiesto scusa perché non riusciva a stringere”.

La partita a burraco il giorno prima

“Il giorno prima abbiamo giocato a burraco – racconta ancora Lalli – io non so nemmeno giocare, gli reggevo le carte. La nostra vita è fatta di tutti questi particolari che giorno dopo giorno lui non riusciva più a fare: non riusciva più a camminare, ad alzarsi da solo”.

“L’ultima volta – ha aggiunto – durante quell’abbraccio di ieri, gli ho chiesto se potevamo riportarlo in Italia, se era convinto: e lui mi ha detto Lasciatemi andare, perché io non ne posso più, non ce la faccio più”. 

Massimiliano, non essendo tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale, non aveva possibilità di accedere al suicidio assistito in Italia poiché privo di uno dei requisiti della sentenza 242/2019 della Corte costituzionale sul caso Cappato\Dj Fabo.

“Sono quasi completamente paralizzato e faccio fatica anche a parlare – ha detto Massimiliano nel suo ultimo videomessaggio – Da un paio di anni siccome non ce la faccio più” ho iniziato “a documentarmi su internet su metodi di suicidio indolore”, e “finalmente ho raggiunto il mio sogno. Peccato che non l’ho raggiunto in Italia, ma mi tocca andare all’estero”: “Perché non posso farlo qui in Italia? A casa mia, anche in un ospedale, con i parenti, gli amici” vicino. “No, devo andarmene in Svizzera. Non mi sembra una cosa logica questa”.

Fine vita, Cappato: “Non ci fermiamo”

“Noi non ci fermiamo: siano le aule parlamentari o dei tribunali a decidere, sia lo Stato ad assumersi la responsabilità di una decisione”, ha detto Marco Cappato all’uscita dalla caserma dei carabinieri a Firenze. “Noi andiamo avanti – ha aggiunto – Ci sono due persone con cui abbiamo già preso l’impegno di aiutarle”.

L’aiuto annunciato anche per i nuovi casi, ha sottolineato Cappato, “non va equivocato come una nostra foga, una nostra volontà di alzare la posta. Questa è la realtà nella società italiana, e il punto è proprio questo. Noi esigiamo, chiediamo, a rischio della nostra libertà, che lo Stato italiano la smetta di girare la testa dall’altra parte, e la smetta subito”.

Secondo il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, “i casi ovviamente ci sono, andranno avanti. Ma per una persona che è nelle condizioni economiche e di salute di raggiungere l’esilio e la morte volontaria in Svizzera, ce ne sono mille che sono inchiodate al loro letto in casa o in ospedale, subendo una tortura che non avrebbero mai voluto subire”.

In questo ultimo caso, “la ragione per la quale Massimiliano mi ha contattato quest’estate era quell’aiuto che non poteva realizzare, ossia l’aiuto indispensabile ad andare in Svizzera”, ha detto ancora Cappato, spiegando che anche il padre era presente ma “la presenza del padre di Massimiliano non si configura come reato”. “Non si configura come reato – sostiene – la mera presenza per assistenza morale e aiuto”.