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Gas e price cap: Germania balla da sola, Draghi la bacchetta, Meloni pensa a un decreto Aiuti Quater da 25 miliardi

L’Europa non trova alcun accordo su gas e price cap per dare una risposta comune al caro energia e la Germania decide di affrontare il problema in autonomia, di fatto mettendosi in concorrenza con gli altri membri dell’Unione. Una scelta che ha suscitato la rabbia dell’Italia: “La crisi energetica – ha commentato Mario Draghi – richiede da parte dell’Europa una risposta che permetta di ridurre i costi per famiglie e imprese, di limitare i guadagni eccezionali fatti da produttori e importatori, di evitare pericolose e ingiustificate distorsioni del mercato interno e di tenere ancora una volta unita l’Europa di fronte all’emergenza. Davanti alle minacce comuni dei nostri tempi, non possiamo dividerci a seconda dello spazio nei nostri bilanci nazionali. Nei prossimi Consigli europei dobbiamo mostrarci compatti, determinati, solidali – proprio come lo siamo stati nel sostenere l’Ucraina”.

Gas e price cap: cosa ha deciso la Germania

Il governo tedesco ha deciso di finanziare la riduzione delle bollette elettriche riattivando il proprio Fondo di Perequazione economica da 200 miliardi di euro. In sostanza, la Germania fisserà da sola un price cap e tutti i costi che andranno oltre la soglia saranno pagati dallo Stato attraverso il Fondo. In termini europei, una risposta di questo tipo alla crisi energetica significa solo una cosa: chi ha i conti in ordine può permettersi di aiutare famiglie e imprese a pagare le bollette, perché ha spazio per fare nuovo debito; i Paesi che invece hanno finanze più problematiche, come l’Italia, rimangono abbandonati alla speculazione del mercato energetico. Con un corollario: in questo modo Berlino avvantaggia le proprie aziende sui mercati internazionali, infliggendo un duro colpo alla concorrenza. Un’altra dimostrazione di come gli interessi nazionali tendano a prevalere sulla solidarietà europea: come all’alba del Covid, quando la Germania fece di tutto per accaparrarsi da sola quanti più vaccini possibile.

Il mancato accordo in Europa

Di fronte a un progetto simile da parte della prima economia continentale, è evidente che il vertice dei ministri europei dell’energia in programma per oggi è destinato al fallimento. Non c’è accordo su nulla, a cominciare dal price cap generale, che evidentemente i tedeschi considerano meno conveniente di quello nazionale. Per cui ogni discussione sarà rinviata almeno al Consiglio europeo della prossima settimana a Praga. Ormai però la spaccatura fra Nord e Sud Europa è sempre più evidente: 15 Paesi – a cominciare da Italia e Francia – chiedono l’introduzione di un tetto comune al prezzo del gas e non nascondono irritazione per la mossa della Germania. Le parole di Draghi lo dimostrano.

Price cap: la proposta della Commissione europea

In questo quadro, la Commissione europea si muove cercando una mediazione difficile. L’idea di un price cap generalizzato viene bocciata in quanto “rischiosa e inapplicabile”. E così l’esecutivo comunitario propone di introdurre un tetto al solo gas russo – che però ormai non viene quasi più acquistato dai Paesi Ue – e un limite al costo delle bollette (imitando di fatto il provvedimento tedesco). Il secondo provvedimento sarebbe possibile solo attraverso il disaccoppiamento tra i prezzi del metano e quelli dell’elettricità e i singoli Paesi, diversamente dalla Germania, dovrebbero finanziarlo con una tassa sugli extraprofitti delle società energetiche. Ma tutto sarebbe gestito a livello nazionale: la tassa non sarebbe europea e uguale per tutti. Al massimo, sarebbe prevista una deroga alle regole sugli aiuti di Stato. Risultato: i Paesi con più spazio di bilancio, tra cui di certo non rientra l’Italia, potranno aiutare famiglie e imprese più degli altri. Nulla a che vedere con le richieste dei 15 Paesi che hanno firmato la lettera a favore del price cap e che vorrebbero creare una sorta di nuovo “Recovery fund” per l’energia. Agli altri 12 Paesi dell’Ue questa soluzione non conviene, e quindi non sono d’accordo.

Meloni sta con Draghi e pensa a un nuovo decreto Aiuti Quater da 25 milioni

Al momento, quindi, le risposte alla crisi energetica possono essere solo nazionali. È di ieri la notizia che da ottobre in Italia il prezzo delle bollette della luce salirà del 59%. La futura premier Giorgia Meloni sposa la linea di Draghi (lavorare per una soluzione europea, tamponando il possibile in patria) e sconfessa l’alleato Salvini, che invece loda l’autarchia della Germania e insiste per un maxi-scostamento di bilancio.  

La strada che però Meloni sembra voler seguire è quella di un decreto Aiuti quater da 25 miliardi per sostenere l’economia. L’elenco di misure da rinnovare comprende almeno tre voci: i crediti d’imposta alle imprese energivore vanno prolungati per il mese di dicembre (costo: 4,7 miliardi); prorogare il taglio da 30,5 centesimi delle accise sulla benzina, che scade il 17 ottobre, costerebbe 900 milioni al mese; si pensa poi a una riedizione del bonus da 150 euro per pensionati, lavoratori e autonomi fino a 20 mila euro di reddito.

Meloni ragiona anche su nuovi aiuti per aiutare famiglie e imprese indebitate a causa delle bollette. Le misure possibili su questo fronte sono diverse: moratoria su mutui e debiti; rinegoziazione e ristrutturazione delle somme dovute, con diluizione dei tempi di pagamento; potenziamento della rateizzazione delle bollette; misure di garanzia pubblica prestate dal Fondo per le pmi e da Sace, già estese dal governo Draghi fino a dicembre, ancora più ampie.

I 25 miliardi necessari per tutto questo arriverebbero da più fonti: 10 dal minor deficit di quest’anno; altri 10 potrebbero come possibile extragettito tributario (sospinto dall’inflazione) nell’ultima parte dell’anno; un miliardo avanza dal decreto Aiuti ter, dalla tassa sugli extraprofitti delle aziende rinnovabili; infine, dovrebbero arrivare entro novembre almeno altri 5 miliardi su 8 dal saldo della tassa sugli extraprofitti delle aziende energetiche (anche se pende un ricorso di alcune di loro su cui il Tar si pronuncerà l’8 novembre e la stessa Meloni vuole cambiare la norma). Tutti soldi utilizzabili senza fare altro deficit.