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IN PRIMO PIANO/ Rooming in, quella trappola mortale dopo il parto

LE POLEMICHE DOPO LA TRAGEDIA AL PERTINI – Un inglesismo per dire che il bambino appena nato deve stare nelle braccia della madre. E la pediatria moderna rincara: favorisce il contatto pelle a pelle e l’allattamento. Proprio imponendo questa linea guida lo Stato risparmia perché taglia l’assistenza sanitaria ai reparti di Maternità. E le puerpere invece di guadagnarsi il riposo dopo travagli stancanti e dolorosi devono accettare anche la “violenza ostetrica”. Ma è il momento di cambiare

Di Stefania Pascucci
L’ultimo episodio di malasanità che ha visto protagonista un grande ospedale pubblico di Roma Est, il Sandro Pertini, ritenuto moderno in quanto dotato anche di un eliporto, ha scosso moltissimo l’opinione pubblica. È morto un neonato di appena tre giorni schiacciato dal peso, o meglio dalla stanchezza di una neomamma mentre la stessa lo allattava. La povera madre aveva supplicato, poco prima della tragedia, le infermiere (ricordiamo che sono specializzate per quel reparto che si chiama Maternità) di portare la creaturina al nido perché stremata dal lungo travaglio durato diciassette ore finite con un cesareo. Ma le operatrici sanitarie, evidentemente non convinte a colpo d’occhio, l’hanno lasciata sola, condannando a morte il piccolino, in quel servizio che si chiama “Rooming in”, inventato qualche anno fa, probabilmente da uomini che odiano le donne. In pratica si tratta di
una nuova “teoria” pediatrica messa in atto in molti ospedali pubblici (ma chissà perché nelle cliniche private questo principio non vale e si lascia la puerpera riposare fino a quando non è in grado di occuparsi in piena coscienza dell’erede. Forse perché si paga?).
Dunque, il “Rooming in”, inglesismo che sta per “alloggio dentro”, è un Servizio ospedaliero – tra l’altro la puerpera può decidere di non accettarlo perché non obbligatorio – che consente, subito dopo il parto, di tenere il neonato nella stessa stanza con culla accanto alla madre dove può rimanere anche il padre per qualche ora. La chiamano “buone pratiche” (Best Practices). Ma chi sono gli influencer più accaniti di questo modus operandi? I pediatri, perché si favorisce subito il contatto pelle a pelle e l’allattamento. Fino a qui sembra tutto nella norma e molto romantico.
Invece sotto la spinta culturale c’è dell’altro. Mettere il neonato subito nella stessa stanza della puerpera fa risparmiare lo Stato. Che invece di assumere 10 infermiere per quel reparto, ne tiene solo 2. Geniale. Portabandiera di teorie illustri dicono che l’assistenza sanitaria alla puerpera deve essere ridotta al minimo, tra madre e bimbo dunque non mettere il dito, anzi il contatto da subito favorisce il sonno del nato. Tutte le attenzioni sul bambino, dunque. La madre diventa uno scarto, in quel momento è una forza della natura, tanto basta.
Anche le linee guida del ministero della Salute sul tema del parto sembra siano state scritte da uomini che rappresentano la figura femminile dal mito di Wonder Women. E invece non è così, le donne sono esseri umani con le loro debolezze e forze fisiche di tutti. Non sono diverse. Il neonato morto a causa di una discutibile politica culturale di un ritorno al passato che non esiste più, ci fa tornare indietro di cento anni, alla mattanza dei primi del Novecento, quando si partoriva a casa, mettendo a rischio vita madre-bimbo. Se chiedessimo ai nostri genitori dove siamo nati, prevalenza nascite dei boomers in Italia (tra gli anni ’50, ’60 e ‘70), risponderebbero: in clinica. Solo dagli anni Duemila il Pubblico ha cambiato tattica per evitare di chiudere punti nascita di vari ospedali ideando i “percorsi nascita” e le “agende della maternità” che in molti casi hanno favorito un nuovo
approccio alla maternità nei mega ospedali.
Va salvato il Gemelli di Roma, privato convenzionato con il servizio sanitario regionale, in questo contesto, che per istituire la “Rooming in” corretta ha ristrutturato le camere, che sono diventate singole con letto aggiunto per un accompagnatore che può dormire con la gestante. In ogni caso, se l’accompagnatore non c’è, il neonato viene portato al nido. Cosa avrebbe impedito alle infermiere della Maternità del Pertini di portare il bambino al nido? Pochi operatori sanitari? I tagli alla sanità? Speriamo che presto venga alla luce la verità su una tragedia forse annunciata.
In realtà il dramma al Pertini ha riaperto una ferita conosciuta da moltissime donne che hanno partorito e provato sulla propria pelle (altro che skin to skin): la cosiddetta “violenza ostetrica”. Una sorta di nonnismo che ancora oggi aleggia nei reparti di maternità, più raramente nelle cliniche private. Sui social, in questi giorni molte madri si sono sfogate lasciando traccia di importanti testimonianze della vita reale. Tipo, a meno di due ore dal parto, arrivano le infermiere a dirti: «devi allattà, se no che madre sei?». E ancora: «non è ora di riposare, hai voluto la bicicletta? Pedala, mica è figlia mia». Un’aggressività gratuita, non necessaria e che, fortunatamente, non tutte le infermiere condividono.
In molti casi, raccontano le neomamme, si vedono portare il nato anche a meno di due ore dal parto naturale. Fisiologico o cesareo dopo l’esperienza stancante e dolorosa del travaglio le madri hanno bisogno di una sola cosa: riposare, riposare, riposare. E, soprattutto, di non essere abbandonata a se stesse. È il momento di cambiare, ora.