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L'atlantismo mediterraneo di Giorgia Meloni

Un atlantismo mediterraneo. È forse così che si può sinteticamente riassumere la politica estera del governo guidato da Giorgia Meloni. L’inquilina di Palazzo Chigi sta infatti puntando a rilanciare il ruolo di Roma in Nord Africa e in Medio Oriente, consolidando al contempo le relazioni transatlantiche.

A ottobre scorso, durante una telefonata con il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, la Meloni aveva sottolineato il proprio sostegno all’Ucraina contro la Russia, evidenziando l’importanza della Nato (anche) in relazione alle “sfide del Sud”. Non solo. Di Mediterraneo il nostro premier ha parlato anche con il presidente americano, Joe Biden, in occasione del G20, tenutosi a Bali lo scorso novembre. In particolare, una nota di Palazzo Chigi riportò che, durante il faccia a faccia, i due leader discussero di vari temi, come “il continuo sostegno all’Ucraina, la stabilità nel Mediterraneo e nell’Indo-pacifico e i rapporti con la Cina”.

Insieme al sostegno all’Ucraina e all’impegno nel contrasto all’influenza di Pechino, la Meloni mira quindi evidentemente a un rilancio delle relazioni transatlantiche in chiave mediterranea. E questo è chiaro dai due recenti viaggio nordafricani da lei effettuati in Algeria e Libia. Due viaggi che hanno avuto come principale (per quanto non esclusivo) obiettivo quello di ridurre ulteriormente la dipendenza energetica dell’Italia dalla Russia. Senza poi dimenticare l’attenzione al tema dell’immigrazione clandestina: una questione non solo di ordine pubblico ma anche, se non soprattutto, di sicurezza nazionale. Non dimentichiamo d’altronde che la Russia mantiene la propria presa sulla parte orientale della Libia e che sta accrescendo la propria influenza sul Sahel (specialmente su Mali e Burkina Faso): una regione, quest’ultima, che rappresenta storicamente uno snodo cruciale per i flussi migratori diretti verso l’Europa occidentale. Flussi che Mosca potrebbe utilizzare per mettere sotto pressione il fianco meridionale della Nato (secondo uno schema che abbiamo già visto all’opera nell’autunno del 2021 sulla frontiera polacca).

Ebbene, il viaggio libico della Meloni è avvenuto pochissime settimane dopo la visita, effettuata dal direttore della Cia William Burns a Tripoli e a Bengasi. Non solo. Proprio da Tripoli, la Meloni ha sottolineato l’impegno italiano per la stabilizzazione del Paese nordafricano e per l’organizzazione di elezioni: una posizione espressa appena pochi giorni dopo dal segretario di Stato americano Tony Blinken durante una visita al Cairo. È chiaro come questa serie di circostanze dimostri una sponda tra Roma e Washington sul dossier libico. Si tratta di una buona notizia per l’Italia, che dovrebbe convincere gli Stati Uniti a rilanciare urgentemente proprio il fianco meridionale della Nato. Una necessità di cui gli americani si stanno progressivamente rendendo conto a fronte dell’aumento dell’influenza sino-russa sul Medio Oriente e su ampie parti del continente africano. Non è d’altronde un mistero che esistano delle profonde connessioni tra la crisi ucraina e il Mediterraneo. I temibili mercenari russi del Wagner Group (recentemente colpiti da nuove sanzioni del Dipartimento del Tesoro Usa) operano sia in Ucraina sia nell’Est della Libia e nel Sahel. Tutto questo, mentre un ferreo alleato di Mosca come l’Iran sta fornendo alla Russia droni militari contro Kiev.

“Uno dei più grandi successi del Governo Meloni è indiscutibilmente quello relativo alla politica estera”, ha detto a Panorama.it il capogruppo di Fratelli d’Italia alla commissione Esteri della Camera, Giangiacomo Calovini. “La leader di Fratelli d’Italia si è insediata a Palazzo Chigi tra le perplessità di molti Paesi stranieri compresi quelli storicamente più vicini all’Italia: da Parigi a Berlino passando per Washington le paure per un cambio di rotta della tradizionale politica internazionale italiana erano concrete ma del tutto infondate”, ha aggiunto, per poi proseguire: “Sin dal G20 di Bali Giorgia Meloni ha incontrato il presidente Biden con le idee molto chiare, confermando che Roma rimane fortemente ancorata ai valori atlantisti ed europei senza alcun tentennamento”. “Con una guerra militare in corso tra Mosca e Kiev e con una guerra commerciale in atto con Pechino non c’è alcuna possibilità di discostarsi dalla tradizionale posizione che da sempre l’Italia ha e che deve ancora avere in futuro”, ha concluso Calovini.

È d'altronde verosimile che gli americani abbiano deciso di puntare sull’Italia anche in considerazione degli ambigui rapporti che intercorrono tra Ankara e il Cremlino. Senza dimenticare che la Francia si sta indebolendo sempre di più nel Sahel, mentre Emmanuel Macron non risulta esattamente un profilo atlantista (nel 2019 spalleggiò il filorusso Khalifa Haftar in Libia, definendo inoltre la Nato “cerebralmente morta”). L'attuale esecutivo italiano si è invece confermato graniticamente legato all'Alleanza atlantica. E a Washington oggi probabilmente sanno di non poterne fare a meno.