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L’IRA di Biden colpirà l’Europa

L’Inflation Reduction Act, IRA, è il piano di sovvenzioni, voluto da Joe Biden, per sviluppare le tecnologie “ecosostenibili” made in USA, come auto elettriche o tecnologie per la produzione di energie rinnovabili. L'I.R.A. fornisce 369 miliardi di dollari per finanziare progetti energetici e climatici volti a ridurre le emissioni di carbonio statunitensi del 40% entro il 2030. Il piano, teso a tutelare gli interessi dell'economia americana, non piace a Bruxelles, che non ha esitato a definire le misure contenute nel piano protezionistiche. Il rischio, concreto, è che le industrie europee vengano estromesse dal mercato americano.

Una delle misure che potrebbe colpire in modo particolare il settore automotive dell’industria europea non è tanto il credito d'imposta di 7.500 dollari per i nuovi veicoli elettrici quanto il fatto che la norma prevede che l’accesso agli incentivi sia consentito solo ai prodotti realizzati negli Stati Uniti e le cui materie prime siano estratte negli USA o in un Paese con il quale c'è un accordo di libero scambio. I progetti con tecnologie eoliche, solari e geotermiche riceveranno sussidi più elevati se utilizzeranno acciaio e ferro americani.

Le finalità del piano sono di consentire alle case automobilistiche, ed all’industria americana in genere, di stimolare le catene di approvvigionamento nazionali delle materie prime, riorganizzare le fabbriche per competere a livello globale e sostenere i lavoratori americani producendo tecnologie “verdi”. Ad una prima lettura si potrebbe pensare che Biden voglia seguire le orme di Trump, come paladino dell'estrazione mineraria, e sostenere gli sforzi bipartisan per promuovere una catena di approvvigionamento nazionale per litio, grafite, terre rare, nichel e altri materiali strategici che gli Stati Uniti importano dalla Cina e da altri paesi. Tutt’altro.

L’Amministrazione democratica americana è schierata storicamente contro l’estrazione mineraria: i democratici vogliono aumentare la produzione nazionale di veicoli elettrici, ma non vogliono i costi sociali ed ambientali che comporta l’approvvigionamento delle loro materie prime. La Casa Bianca ha dichiarato l'anno scorso che avrebbe fatto affidamento su alleati come il Canada e l'Australia per garantire i minerali necessari, osservando che il paese "non può e non ha bisogno di estrarre ed elaborare localmente tutte le materie prime per le batterie". Quindi, invece di costruire una catena di approvvigionamento "dalla miniera all'auto elettrica", i Democratici preferiscono, come parte di una strategia progettata per placare gli ambientalisti, saltare l'estrazione mineraria e puntare alla costruzione di veicoli elettrici ad alta intensità di produzione, che, in linea teorica, dovrebbe portare molti posti di lavoro.

Ma se gli USA contano sul Canada per risolvere i loro problemi è bene che tengano presente come la burocrazia canadese preveda, analogamente a quella statunitense, la duplicazione dei permessi federali e provinciali e che poche miniere impiegano meno di 20 anni per raggiungere la produzione. Ma c’è di peggio. I fiumi non rispettano i confini: li attraversano, con quanto contenuto nelle loro acque. Ed ecco che la miniera di Copper Mountain che si trova in Canada alle sorgenti del fiume Similkameen, che diventa il fiume Okanogan quando entra nello Stato di Washington, può rappresentare una minaccia per l'acqua e le comunità sia nella British Columbia che a Washington… Analoga situazione sul confine canadese con l'Alaska, dove i senatori degli Stati Uniti hanno scritto al Segretario di Stato, chiedendogli di lavorare con la British Columbia per garantire che i bacini idrografici che attraversano i confini non siano inquinati dalle miniere. L'inquinamento minerario transfrontaliero è stato anche oggetto di un'audizione del Congresso con rappresentanti statunitensi, canadesi e delle nazioni tribali che, in definitiva, in quei territori ci vivono.

L'Australia è un'opzione per l’approvvigionamento di materie prime, ma la distanza dal porto statunitense più vicino significa, nella maggior parte dei casi, costi di trasporto delle materie prime che sarebbero proibitivi per gli utenti finali. Senza considerare l’intrinseca contraddizione che le importazioni di metalli statunitensi comporterebbero ai fini delle emissioni di gas serra: aumentando le spedizioni dalle miniere di un altro continente agli impianti di lavorazione domestici si verrebbe a vanificare parte della logica alla base della costruzione dei veicoli “ecologici”.

Quello che è importante sottolineare è che gli Stati Uniti dispongono di molti dei metalli necessari alla supply chain delle auto elettriche, ma la Casa Bianca e il Congresso hanno scelto di non sfruttarli. Sulla base di uno studio di Benchmark Mineral Intelligence le stime di consumo di materie prime per la batterie di una Tesla Model 3 dicono che le miniere di rame in fase di autorizzazione negli USA consentirebbero di produrre circa 6 milioni di questi veicoli elettrici, le miniere di litio oltre 2 milioni di veicoli e quelle di nichel oltre 60.000.

Ma a dimostrare lo stato di palese confusione in cui opera l’Amministrazione Biden si consideri che in uno stesso sito dove esiste un giacimento di litio in Nevada, da un lato il Dipartimento dell'Energia (DOE) sta valutando di finanziare con oltre 300 milioni di dollari la compagnia mineraria australiana Ioneer Ltd per sviluppare l’impianto estrattivo, dall’altro il Fish & Wildlife Service ed il gruppo ambientalista Center For Biological Diversity sostengono che in quell’area esista un fiore particolarmente raro che va preservato a tutti i costi… Per non parlare della miniera di rame ed altri metalli di Pebble, la più grande del Nord America, vicino a Bristol Bay in Alaska. Durante la campagna elettorale Biden si è speso in prima persona per garantire la tutela dei salmoni e degli orsi che abitano la regione dalla minaccia dell’estrazione del rame… Analoga sorte stanno subendo la gran parte dei progetti estrattivi negli USA.

Per quanto con l’Inflation Reduction Act gli Stati Uniti abbiano deciso consapevolmente di rinnegare i principi del libero commercio quello che l’Europa può fare non è molto ma c’è qualcosa che è importante non fare: seguire gli USA su questa strada. Gli aiuti di stato sono una politica regressiva, che ha un impatto significativo sui più poveri e che consente alle imprese di raccogliere maggiori profitti perché prive di concorrenza. Secondo il Cato Institute di Washington quando questa strategia, su pressioni di aziende come Whirlpool, venne applicata al mercato delle lavatrici importate negli Usa il risultato fu che tra il 108% e il 225% dei costi furono trasferiti ai consumatori attraverso prezzi più elevati per questi apparecchi senza, nel contempo, aver rivitalizzato l'industria americana delle lavatrici.

Il problema di queste strategie è l’evidente ed incolmabile ritardo con cui l’Occidente, significativamente USA ed Europa, hanno compreso i risultati di sciagurate politiche intraprese decenni addietro. Pensare di sostituire un’industria pensata e strutturata in oltre 20 anni di pianificazione come quella cinese con misure protezionistiche o affidandosi agli “amici” per farsi produrre le materie prime potrebbe ottenere quale unico risultato quello di danneggiare i consumatori ed i contribuenti oltre a sprecare quasi tre quarti di miliardo di dollari per scoprire quanto, per chi opera nel settore estrattivo, è già noto da tempo…