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Libertà di stampa, l'Unesco: "Aumenta l'abuso di leggi e querele temerarie, così si limita il diritto all'informazione e alla partecipazione"

La libertà di espressione ha perso terreno pressoché ovunque. Non è una sensazione. È la diagnosi contenuta nello studio dell’Unesco tradotto e diffuso in italiano da Ossigeno per l’Informazione. Una scelta non casuale, quella della data di oggi, 9 dicembre, in cui si celebra la Giornata internazionale contro la corruzione, legata spesso al rischio di diffamazione, come nel caso dei Panama Papers.

Lo studio Unesco: ecco cosa limita la libertà d'espressione

Due sono le cause principali individuate dall'Agenzia delle Nazioni Unite dietro la preoccupante deriva che comprime la libertà di stampa e di parola. Anzitutto "l'uso improprio del sistema giudiziario" con cui negli ultimi si è ridotto il diritto all'informazione, attraverso la diffusione, in numero sempre maggiore e in ogni paese, Italia compresa, delle querele temerarie per diffamazione a mezzo stampa. Quelle a cui l'inglese dà il nome di Slapp, acronimo di Strategic lawsuit against public participation, ovvero iniziative giuridiche contro la partecipazione alla vita pubblica. Slapp significa schiaffi. Schiaffi a chi pubblica notizie scomode, schiaffi per scoraggiare chi lo fa.

L'altro strumento di limitazione è la proliferazione di leggi che non tengono conto, come e quanto dovrebbero, di tutelare il diritto all'informazione o contraddicono quest'obbligo, ad esempio configurando la diffamazione come un reato penale da punire con il carcere. Leggi che, dal 2016 a oggi, hanno proliferato in 44 Paesi del mondo. La ricerca dell'Unesco ha contato 57 regolamenti nuovi o modificati che contengono, spiega Ossigeno, "un linguaggio eccessivamente vago o punizioni sproporzionate tali da mettere in pericolo la libertà di espressione online e dei media".

L'appello alla depenalizzazione della diffamazione

"Dieci anni di campagne volte a depenalizzare la diffamazione (cioè a regolarla con il codice civile e a punirla senza il carcere) si sono conclusi con un sostanziale fallimento o, come dice l’Unesco, con una battuta d'arresto - sottolinea Ossigeno - Nell'80% dei Paesi del mondo la diffamazione è ancora regolata (come in Italia) principalmente dalla legge penale e in molti paesi i colpevoli sono passibili (come da noi) della pena detentiva". Così è anche in altri 14 Paesi dell'Europa centrale e orientale. Eppure è sempre più condivisa, dice l’Unesco, l’opinione che giudicare le accuse di diffamazione a mezzo stampa come un reato abbia un "effetto raggelante" sulla libertà di informazione, e che il carcere sia una punizione sproporzionata per queste violazioni. Tanto che l'Agenzia delle Nazioni Unite raccomanda di abrogare le leggi penali sulla diffamazione e di sostituirle con un'appropriata legislazione civile.

"Diversi Paesi - racconta invece Ossigeno - hanno imboccato la strada opposta: hanno reintrodotto o inasprito le norme sulla diffamazione semplice e a mezzo stampa e sull’ingiuria, hanno promulgato nuove leggi per rafforzare la sicurezza informatica e a combattere le fake news e l'incitamento all'odio, hanno visto aumentare le cause civili per diffamazione, di solito preferibili, ma spesso tali da turbare la libertà di espressione e il lavoro dei giornali e dei giornalisti, per le richieste di risarcimento sproporzionate e i costi legali proibitivi". Sulla scena, inoltre, sono apparse nuove forme di compressione del diritto d’espressione come il "forum shopping" che, ricorda Unesco, si riferisce alla pratica di selezionare il tribunale in cui intentare un'azione sulla base della prospettiva dell'esito più favorevole o di mettere in difficoltà l’accusato.

Cosa dice la legge in Italia

L'appello alla depenalizzazione della diffamazione, "considerato da Unesco il primo passo da fare - sottolinea Alberto Spampinato, presidente di Ossigeno per l'informazione -, per le forze politiche italiane è il male da evitare, un tabù". Ricorda infatti Giuseppe Mennella, che dell'associazione è il segretario generale, che "sono più di vent'anni che il Parlamento italiano discute di abolizione delle pene detentive a carico dei giornalisti". Ma "cinque legislature non sono bastate a mettere mano al Codice penale fascista e alla legge sulla stampa". Anzi, dice Andrea Di Pietro, coordinatore dell'ufficio assistenza legale gratuita di Ossigeno - il quadro giuridico italiano che ha consentito l'abuso del diritto di querela per diffamazione non è mutato come avrebbe dovuto negli ultimi anni, Ogni volta si è persa l'occasione per un'operazione di ammodernamento giuridico che ormai non è più procrastinabile, dato che in Italia il giornalismo è ancora regolato da una legge del 1948".

Ossigeno: cosa fare contro le querele temerarie

Cosa fare, dunque, contro le querele temerarie? Secondo Di Pietro "innanzitutto occorre intervenire sulla durata e sui costi del processo. La sentenza che deve regolare una disputa tra il giornalista e il  suo accusatore dovrà essere tempestiva". Quel che emerge dall’ultimo testo del progetto di direttiva europea anti-Slapp, che dovrà passare al vaglio del Consiglio europeo e dell'Europarlamento, è la richiesta che Bruxelles fa ai 27 Paesi membri di muoversi in fretta ogni volta che, ad esempio, una causa civile per risarcimento danni o una querela per diffamazione in sede penale arrivino all'esame di un giudice: il magistrato è invitato a valutarne – da subito – la pretestuosità e la rilevanza sotto il profilo della partecipazione dei cittadini alla vita democratica. Non perché questa valutazione non avvenga, ma perché di solito avviene troppo tardi. "Ogni volta che ci si occupa di Slapp, di cause temerarie che interferiscono con il diritto dei cittadini a partecipare al dibattito democratico, di querele che ostacolano la presa di coscienza dell'opinione pubblica su questioni ambientali, di salute, di corruzione, si dovrebbe tenere sempre in considerazione la mole di informazioni andate perdute, taciute, sepolte negli hard disk di giornalisti e attivisti intimoriti, minacciati, ricattati, tenuti in sospeso - spiega Di Pietro -. Nel limbo, nell'attesa, inizia l'agonia della partecipazione democratica".