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Lo scienziato Alessandro Vespignani: «Se ci saranno nuove pandemie? Intanto teniamo d’occhio i virus influenzali»

«Uno scienziato non deve essere né ottimista, né pessimista. Uno scienziato deve essere realista», sostiene Alessandro Vespignani, romano, 57 anni, tra i massimi esperti mondiali di modelli epidemiologici e scienza delle previsioni. Attualmente vive a Boston, dove è professore alla Northeastern University di cui dirige il Network Science Institute, ed è lì che lo raggiungo telefonicamente per capire come funzionano le predizioni scientifiche e comprendere i meccanismi attraverso cui, insieme al suo team di lavoro, contribuisce alla gestione internazionale delle epidemie. Lo ha fatto anche durante la pandemia da Coronavirus, collaborando con l’OMS, il CDC (Centers for Disease Control and Prevention), la Casa Bianca e altre istituzioni nazionali e internazionali. E all’inizio del 2020, mentre tutti ripetevano: «Niente panico», il suo team è stato tra i primi a suonare l’allarme della deflagrazione del virus Sars-CoV-2 quale grande pandemia del nuovo millennio. 

Da questa intricata partita contro il Covid, Alessandro Vespignani ha tratto un nuovo libro: I piani del nemico, in uscita il 4 ottobre per Rizzoli. Pagine che raccontano l’impegno scientifico dietro le quinte di una storia che tutti abbiamo vissuto in prima persona, e che ci rivelano chi è il nostro vero avversario, dove si annida, cosa possiamo fare per fermarlo, quali sono i suoi punti di forza e quali le sue debolezze. Ma soprattutto, ci dice quali sono le nostre criticità, i nostri errori. E come fare per non ripeterli la prossima volta. 


«Credo che come scienziati il nostro lavoro sia quello di dare il meglio ogni giorno per poter spostare un pochino il confine delle possibilità. Dal punto di vista scientifico e tecnologico viviamo certamente in una situazione migliore rispetto a venti, cinquanta, cento anni fa. Ma abbiamo ancora tanti “nemici” con cui purtroppo dobbiamo confrontarci».\


Ci faccia qualche esempio, professore. Covid a parte, con quali virus nel mondo ci stiamo confrontando attualmente?
«Abbiamo un problema importante con virus come l’Ebola, perché stiamo osservando in maniera molto evidente e sempre più ricorrente che quelli ritenuti fenomeni isolati in zone rurali dell'Africa adesso iniziano a estendersi anche alle zone urbane, diventando molto più difficili da gestire. Abbiamo anche visto che una malattia come il Monkey Pox, il vaiolo delle scimmie, che è stata sempre confinata a certe popolazioni, è entrata improvvisamente nel mondo occidentale e ha cominciato a diffondersi all'interno di alcune comunità acquisendo anche un modo diverso di propagarsi. Viviamo in un mondo che è sempre più connesso, in cui qualunque cosa succeda, anche in mezzo a una giungla da cui un tempo ci sarebbero voluti anni per far sì che un virus si spostasse, nell’arco di 6 ore di aereo potrà manifestarsi da un continente all’altro. Non solo: il mondo animale, quello della giungla, è sempre più vicino; siamo sempre di più ovunque ed entriamo in contatto molto più facilmente con patogeni a cui non eravamo abituati. Ovviamente non avremo un Covid ogni 5 minuti, ma è anche vero che abbiamo avuto una pandemia influenzale nel 2009, dopo la prima Sars nel 2003. E poi la Mers nel 2012, che è un Coronavirus per fortuna meno trasmissibile però molto più letale. Mentre nel 2016, nelle Americhe, c’è stata un’epidemia devastante di Zika, malattia derivante da un insetto che funge in questo caso da vettore, poiché il cambiamento climatico fa sì che certe specie acquisiscano nuove aree di diffusione. Ci stiamo confrontando sempre più spesso con un mondo epidemico che è diventato per la nostra società molto aggressivo anche perché abbiamo una mobilità sempre maggiore, che influisce nella diffusione dei patogeni. Viviamo in una società molto evoluta ma paradossalmente più fragile di fronte alla propagazione dei virus, che siamo noi stessi a portare in giro».

Ci sono dei virus specifici che state tenendo sotto osservazione in questo momento e che potrebbero rappresentare una minaccia futura?
«Tutta la comunità scientifica internazionale è costantemente impegnata a monitorare virus: c’è un sistema di controllo che cerca di identificare quelli che sembrano casi anomali rispetto a ciò che rientra in uno schema normale. C’è sempre un’ottica speciale per quelle che sono i virus influenzali perché, in genere, il salto di specie arriva da questi, e c’è un’attenzione per i casi di Ebola e di virus più o meno simili. Il nostro lavoro di virologi computazionali comincia tuttavia nel momento in cui l’epidemia inizia a diffondersi, nessuno ha purtroppo una palla di vetro per capire quale sarà il prossimo patogeno e quando agirà. In linea generale credo che qualunque persona del mio campo, se dovesse scommettere sulla prossima pandemia, penserebbe a un virus influenzale anche se abbiamo imparato che i coronavirus, in particolare, sono una minaccia importante. Non scordiamoci che le pandemie più frequenti sono proprio proprio quelle generate dai virus influenzali, che, in alcuni casi, possono essere meno drammatiche di quella che abbiamo vissuto, ma in altri casi - pensate alla pandemia del 1918 - possono invece risultare brutali. Il problema della prossima pandemia, in definitiva, non è “se” ma “quando” sarà. Perché noi sappiamo che purtroppo ce ne saranno altre, anche se speriamo il più lontano possibile e con una minaccia ridotta».

In Usa, negli ultimi mesi, sono stati registrati nuovi casi di poliomielite, mentre l’Oms ha parlato di recente di una recrudescenza del morbillo. Che cosa sta succedendo?
«In questi casi, il problema è diverso e riguarda una serie di patogeni che abbiamo già messo all'angolo, condizione che può tuttavia generare una reazione pericolosa: poiché non vediamo più il patogeno, le persone tendono a pensare che le vaccinazioni siano inutili perché “tanto il virus non c’è più”. Così facendo si creano invece delle sacche di popolazione non vaccinata che di nuovo risulta suscettibile alle epidemie. Normalmente si tratta di episodi confinati, perché il livello di vaccinazione è alto nella popolazione, ma le conseguenze possono essere drammatiche rispetto ai casi gravi. La poliomielite è una malattia che in qualche modo abbiamo considerato sconfitta nel mondo occidentale. Eppure, nel momento in cui si pensa che non ci sia più, calano le vaccinazioni e purtroppo il Covid non ha aiutato in questo senso, a causa dei blocchi sanitari durante i lockdown. La conseguenza è che oggi ci si ritrova con il virus del morbillo o della polio in posti nei quali non veniva osservato ormai da anni. Ovviamente è un fenomeno diverso, non parliamo di virus emergenti pandemici ma di situazioni che vanno controllate con attenzione».

Nel libro I piani del nemico lei spiega il modo in cui attraverso la lettura di certi dati è stato possibile osservare e in un certo senso anticipare l’ampia e progressiva diffusione del virus Sars-CoV-2 nel mondo. Quando esattamente vi siete accorti che stava succedendo qualcosa di «importante»?
«Verso la fine di gennaio 2020 osservando i casi provenienti dalla Cina e da un’altra serie di Paesi, abbiamo iniziato a notare che la realtà dei fatti era molto diversa rispetto a ciò che veniva dichiarato. Ce ne siamo accorti noi come una parte della comunità scientifica che era stata chiamata sin dai primi giorni a lavorare sull’analisi dei dati. Dalla nostra indagine si riusciva già a capire che si trattava non di poche decine di casi in Cina ma di decine di migliaia e che la trasmissione uomo-uomo era già in atto e la situazione molto più espansa di quello che si diceva. C’è stato poi un altro momento topico, verso metà febbraio, quando in Cina le cose sembravano andare meglio, ma noi scienziati abbiamo cominciato ad alzare le bandiere rosse, visto che il virus stava circolando negli altri Paesi in maniera non osservata. Le capacità di testing erano ancora molto limitate: ci si soffermava a guardare soltanto i casi provenienti dalla Cina, ma l’epidemia era già altrove e a metà febbraio per noi era già abbastanza chiaro che la situazione sarebbe esplosa a livello pandemico». 

Eppure, di fronte alle vostre segnalazioni, non sembra sia seguita un’immediata risposta sul fronte degli interventi.
«A differenza di quando per esempio si fanno le previsioni di un uragano - per le quali a supporto delle analisi c’è anche una foto del satellite che ne mostra l’avanzamento - non esiste un’immagine tangibile di ciò che sta avvenendo oltre alla nostra analisi dei dati e questo inizialmente ha disorientato i decisori, determinando un significativo ritardo nell’organizzazione delle contromisure».