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Manovra 2023, luci ed ombre

La manovra di bilancio varata dal governo Meloni e ora all’esame del Parlamento e della Commissione europea mantiene in parte le promesse: aiuta le aziende colpite dal caro-energia, dà una mano ad alcuni poveri (non a tutti), paga pegno con il suo elettorato di partite iva, tassisti, commercianti, artigiani strizzando l’occhio agli evasori. In compenso dà poco ai lavoratori dipendenti, toglie soldi ai pensionati e delude i consumatori, quasi sempre ignorati dalla classe politica italiana. Ecco un breve e parziale esame della manovra.

COSA CI PIACE

Intanto è positivo che il governo abbia adottato un approccio prudente ipotizzando una crescita del Pil dello 0,6 per cento nel 2023 e fissando un deficit di bilancio al 4,5 per cento.

Poi, come sottolinea l’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università cattolica di Milano, è apprezzabile che “quasi tutto l’extra deficit rispetto all’andamento tendenziale (22 miliardi circa) sia utilizzato per far fronte ai rincari energetici, con una larga parte di misure che non sono erga omnes, ma sono mirate ai soggetti più colpiti dalla crisi energetica oltre che a sanità, scuola e, in generale, pubblico impiego”.

Fatta questa premessa, la manovra è composta da 156 articoli ed è lunga 309 pagine. I primi 11 articoli sono dedicati alle misure per attenuare gli effetti dell’aumento dei prezzi dei prodotti energetici. Complessivamente si tratta di una spesa di 19,4 miliardi, la maggiore della manovra.

Un altro caposaldo del provvedimento è la revisione del reddito di cittadinanza che avviene per gradi. Intanto si prevede che, dal 1° gennaio al 31 dicembre 2023, il reddito è riconosciuti nel limite massimo di 8 mensilità (al posto delle attuali 18 rinnovabili). Tale disposizione si applica a tutti i beneficiari tra i 18 e 59 anni, e dunque fatta eccezione per i nuclei familiari con minorenni, persone con disabilità e anziani con almeno 60 anni. Inoltre la manovra prevede la decadenza del reddito al rifiuto della prima offerta congrua. Insomma, una stretta che dovrebbe far risparmiare allo Stato 734 milioni nel 2023 e poi 8 miliardi all’anno.

Positivo, ma poco incisivo vista la scarsità di risorse, il taglio del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti, che vale solo sull’anno 2023 (4,8 miliardi). L’esonero del 2 per cento dei contributi a carico del dipendente con redditi fino a 35 mila euro e del 3 per cento per i dipendenti con reddito fino a 20 mila euro vale solo per i “periodi di paga del 2023. Nel 2025 l’effetto dell’insieme di misure che vanno sotto il titolo di “riduzione del cuneo fiscale” si riduce attorno ai 600 milioni Un'altra misura a sostegno della retribuzione netta è la detassazione, dal 10 al 5 per cento, dei premi di produttività fino a 3 mila euro per redditi non superiori a 80 mila euro.

Bene anche il rinnovo dell’Ape sociale, di Opzione donna, l’aumento delle pensioni minime a quasi 600 euro grazie all’indicizzazione delle pensioni al 120 per cento rispetto all’inflazione.

E bene anche l’abbandono di quota 41 per un più ragionevole quota 103, cioè la possibilità di andare in pensione a 62 anni con 41 anni di contributi versati.

COSA NON CI CONVINCE

L’intervento più grave e negativo riguarda il meccanismo di indicizzazione delle pensioni, che modifica quello re-introdotto dal governo Draghi e promosso a suo tempo da Prodi, per riesumare un sistema molto più penalizzante e che toglierà dalle tasche dei pensionati 2,12 miliardi nel 2023. Cifra destinata a salire a 4 miliardi all’anno con un risparmio per lo Stato di 36,8 miliardi tra il 2023 e il 2032. Si tratta di una misura iniqua, già contestata dai sindacati, perché riduce di parecchio l’adeguamento della pensione all’inflazione in una fase storica in cui il carovita sta esplodendo. E i pensionati, si sa, non scioperano e sono il bancomat ideale dei governi, evidentemente anche di destra.

La misura prevede che i trattamenti pensionistici fino a 4 volte il minimo dell’Inps (circa 2100 euro lordi) abbiano una rivalutazione al 100%, quelle tra 2.100 e 2.625 euro dell’80%, quelle tra 2.626 e 3.150 euro del 55%, quelle tra 4.201 e 5.250 euro del 50%, quelle tra 4.201 e 5.250 euro dell 40% e infine quelle oltre i 5.251 euro lordi solo il 35%. Fino a quest’anno invece la rivalutazione era calcolata per scaglioni: una prima parte della pensione aveva il 100% dell’inflazione, un pezzo successivo il 90 e così via.

Per dare un’idea dell’impatto che questa misura avrà solo nel 2023 su alcuni assegni pensionistici, abbiamo chiesto una simulazione alla società Epheso. Ecco alcuni risultati ipotizzando un’inflazione del 7,3% nel 2022: una pensione lorda di 2.500 euro al mese dovrebbe vedersi riconosciuto all’inizio dell’anno successivo un aumento mensile di 182 euro, mentre invece ne prenderà 146. Il che significa che per tutto l’anno il suo potere di acquisto scenderà di 36,5 euro per 12 mesi, cioè 432 euro.

Se prendiamo una pensione lorda di 3.500 euro al mese, la perdita sarà di 153 euro al mese, cioè 1.836 euro all’anno. E se saliamo ancora, per esempio ad una pensione lorda di 5.000 euro, la perdita di potere d’acquisto nel 2023 sarà di ben 2.847 euro. Una bella stangata. E infatti sono già molte le lettere ai giornali di professionisti, ex dirigenti, impiegati di alto livello in pensione che accusano il governo di penalizzarli ingiustamente.

Anche perché parallelamente il governo ha alzato a 85 mila euro lordi il livello di reddito delle partite Iva a cui si applica la flat tax del 15%, con l’ennesima violazione del principio di equità orizzontale, ovvero pari trattamento fiscale a parità di reddito. È vero che il lavoratore autonomo rischia di più di un dipendente e deve pagarsi tutti i contributi, ma ha anche un maggior margine di manovra per sfuggire alle maglie del fisco. Con questa flat tax un lavoratore autonomo arriva a pagare meno della metà di tasse di un dipendente.

Un regalo a commercianti e tassisti (e agli evasori, diranno i malpensanti) con uno sberleffo ai consumatori sono l’innalzamento a 5.000 euro del limite oltre il quale non si può pagare in contanti e a 60 euro dei pagamenti per i quali chi non accetta come mezzo di pagamento una carta di credito o un bancomat non è sanzionabile. Due misure che sembrano fatte apposta per chi ha del nero da creare e da spendere, a pensar male. Un maggior uso dei pagamenti elettronici favorisce la lotta all’evasione sull’Iva: l'imposta sul valore aggiunto è la più evasa e raggiunge i 30 miliardi, la più alta nella Ue. Vedremo che cosa dirà la Commissione.

Incomprensibile poi la la “flat tax” per le mance ai camerieri. Dopo aver inserito nella manovra in provvedimento che non favorisce l’utilizzo della moneta elettronica, poche pagine più avanti si legge: “Infatti, si incentiva la clientela, compresa quella che paga attraverso mezzi di pagamento elettronici, a corrispondere la mancia, così contribuendo a rafforzare l’attrattività delle professioni del settore, prevedendo che le somme destinate ai lavoratori a titolo di liberalità costituiscano redditi da lavoro dipendente e, salvo espressa rinuncia scritta del prestatore di lavoro, siano soggette a una imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali pari al 5 per cento, entro il limite del 25 per cento del reddito percepito dal medesimo prestatore per le relative prestazioni di lavoro”.

Non è molto frequente vedere camerieri che dichiarano le mance. Il rischio è di favorire gli esercenti che possono ridurre gli stipendi ai camerieri compensandoli con mance fittizie.

Tra le tante misure previste dalla manovra, molte sacrosante, ce n’è un’ultima che stona: la sterilizzazione degli importi delle multe, che sarebbero dovuti salire in seguito all’adeguamento all’inflazione. Ma scusate: in pratica abbassate il valore reale della multa di chi commette un’infrazione, magari perché corre troppo e rischia di ammazzare qualcuno. E contemporaneamente tagliate la pensione a chi, si presume, non ha mai evaso o violato al legge? Sembra proprio il Paese del marchese del Grillo...