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"Non sono più autonoma tranne che nel pensiero", Paola va in Svizzera per morire

"Non sono più autonoma tranne che nel pensiero", Paola va in Svizzera per morire

L'ultimo viaggio

Ad accompagnarla, con un'azione di disobbedienza civile, sono state le due attiviste di Eutanasia Legale Felicetta Maltese e Virginia Fiume

Ha ottenuto in Svizzera ciò a cui avrebbe voluto poter accedere nella sua casa a Bologna: l'aiuto medico a terminare una sofferenza ormai divenuta insopportabile a causa di una malattia irreversibile, il morbo di Parkinson, che le impediva quasi completamente di muoversi e anche di parlare. Paola, di 89 anni, dopo aver contattato Marco Cappato tramite il numero bianco dell'associazione Luca Coscioni, era stata accompagnata, con un'azione di disobbedienza civile, lunedì in Svizzera da Felicetta Maltese, 71 anni, attivista della campagna Eutanasia Legale, e Virginia Fiume, 39 anni, co-presidente del movimento paneuropeo di cittadini EUmans, entrambe iscritte all'organizzazione Soccorso Civile, fondata da Marco Cappato, Mina Welby e Gustavo Fraticelli.

Dopo le visite di verifica delle sue condizioni, in occasione delle quali ha confermato la sua volontà, Paola si è autosomministrata la dose di farmaco eutanasico. Le motivazioni della signora Paola: ''Tale decisione è maturata nel tempo. Dal 2012 un inizio di malessere chiaramente diagnosticato nel 2015. Un graduale e lento decorso verso la totale immobilità. Ora sono vigile in un corpo diventato gabbia senza spazio né speranza. Anzi stringe, ora dopo ora, inesorabile la morsa. La diagnosi è un parkinsonismo irreversibile e feroce - Taupatia - arrivata oggi ad uno stadio che non mi consente più di vivere. Non sono autonoma in nulla, tranne che nel pensiero''. 

Così Paola si è dovuta recare all'estero in quanto non poteva accedere ''all'aiuto al suicidio'' in Italia perché, come già accaduto a Massimiliano, Romano (parkinsonismo) e Elena Altamira (paziente oncologica), non era in possesso di uno dei requisiti previsti dalla sentenza della Consulta 242/2019 relativa al caso Cappato-Antoniani, ovvero non era ''tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale''.

Nel nostro Paese, proprio grazie alla disobbedienza civile di Cappato per l'aiuto fornito a Fabiano Antoniani e quindi grazie alla sentenza 242/19 della Corte costituzionale l'''aiuto al suicidio'' è possibile legalmente quando la persona malata che ne fa richiesta è affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli e - appunto - è tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale. Tali condizioni e le modalità devono essere state verificate dal Ssn, come accaduto nel caso di Federico Carboni, il quale lo scorso giugno ha potuto accedere al ''suicidio assistito'' senza che l'aiuto fornito configurasse reato.

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