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Ospedale di Saronno, confermato l’ergastolo a Cazzaniga

A poche ore dalla condanna definitiva all’ergastolo per Leonardo Cazzaniga, ex viceprimario del pronto soccorso dell’ospedale di Saronno, si continua a discutere sia nella città degli amaretti che le Groane, su un caso che ha lasciato ferite aperte su tutto il territorio. Proprio dalle Groane cui erano partite le prime denunce che portarono a scoperchiare il caso della somministrazione di farmaci letali a pazienti ricoverati, tra il 2011 e il 2014.

Morti all’ospedale di Saronno, denuncia partita dalle Groane

Arriva così la condanna definitiva in Cassazione per Leonardo Cazzaniga, al centro dell’inchiesta Angeli e Demoni aperta dalla procura di Busto Arsizio nel 2016. Il tutto era partito dall’esposto di alcuni infermieri, tra cui anche una cogliatese. Cazzaniga era vice primario del reparto in cui si erano verificate morte sospette e nell’aprile 2021 la sentenza d’appello aveva condannato il medico. Ora dalla Cassazione giunge la condanna definitiva, eccezion fatta per l’omicidio di Domenico Brasca, per il quale sarà necessario un nuovo giudizio in secondo grado per ragioni procedurali.

Ospedale di Saronno, il “protocollo Cazzaniga”

Come detto, diventa invece definitiva la condanna per gli altri 9 omicidi volontari, per il quale Cazzaniga era già stato giudicato a Milano dopo l’ergastolo in Corte d’assise a Busto Arsizio. Il medico, nel Pronto soccorso dell’ospedale di Saronno, applicava ai pazienti gravi il cosiddetto “protocollo Cazzaniga”. Consisteva nella somministrazione di farmaci che li conducevano al decesso. Per l’applicazione di tale protocollo, era stata condannata anche l’amante di Cazzaniga, l’infermiera Laura Taroni, condannata a 30 anni in appello. Il “protocollo Cazzaniga” aveva portato alla morte anche al marito e al suocero della Taroni.

Saronno, morti in ospedale: la Cassazione conferma l’ergastolo

La Cassazione si è così pronunciata sui procedimenti dei precedenti gradi di giudizio, per i quali gli avvocati di Cazzaniga avevano esposto una tesi difensiva che chiamava in causa la “cura palliativa” adottata da Cazzaniga con la somministrazione del mix di farmaci. Il tutto per non fare soffrire i pazienti. Per l’ultimo grado di giudizio, invece, la somministrazione di morfina, midazolam e dopropofol è stata reputata indicativa della dichiarata intenzione di uccidere i pazienti.

Redazione web

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