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Perché le recenti proteste in Cina non sono come quelle di Piazza Tiananmen

analogie e differenze / Cina

Come più di trent'anni fa, studenti universitari e lavoratori sono scesi in strada per mostrare il proprio dissenso. Però nel mirino delle contestazioni non c'è il Partito comunista, mai così compatto, ma la scelta Zero Covid di Xi Jinping

Le recenti proteste in Cina scoppiate in più di 20 città per il malcontento nei confronti della politica Zero Covid del governo centrale riportano alla mente le immagini delle manifestazioni di Piazza Tiananmen a Pechino nel 1989. Come più di trent'anni fa, studenti universitari e lavoratori sono scesi in strada per mostrare il proprio dissenso per le scelte del Partito comunista: questa volta, però, a finire nel mirino dei manifestanti sono i lockdown, i test di massa e le restrizioni, ma anche Xi Jinping, il leader cinese che si è intestato la politica Zero Covid. L'elemento che forse ha sorpreso un po' tutti è la vasta partecipazione dei cinesi alle recenti proteste.

Una partecipazione che ha messo in discussione l'errato pensiero di considerare i cinesi un popolo obbediente e suddito alle direttive del Partito. Nulla di più falso. Stando ai dati raccolti dal China Dissent Monitor, negli ultimi sei mesi ci sono state 822 contestazioni in tutto il paese per la politica Zero Covid, la crisi del settore immobiliare, i diritti dei lavoratori e la corruzione dei funzionari. Contestazioni, queste, che si sono sviluppate a livello locale e non capillare e generalizzato come le proteste di cui sono arrivate le immagini nei giorni scorsi. Questi dati dimostrano che le proteste in Cina sono rare ma ci sono sempre state, nonostante siano definite dalle autorità "incidenti di massa".

Cosa c'è in comune con le proteste di Piazza Tiananmen

A differenza delle proteste della primavera del 1989, culminate nel massacro di Piazza Tiananmen nella notte tra il 3 e il 4 giugno, le recenti contestazioni non possono trovare sostegno in una sponda del Partito. Le proteste del 1989 si sono sviluppate in un momento in cui il Partito era diviso in due, con una parte più propensa ad ascoltare le istanze dei manifestanti (come maggiore democrazia e libertà di stampa ed espressione) e l'altra più intransigente. Sappiamo poi quale posizione ha prevalso. 

I carriarmati dell'Esercito cinese a Piazza Tiananmen, Pechino, giugno del 1989

Questa volta, invece, nel Partito non sembrano emergere fratture. Con il recente XX Congresso Xi, forte del suo terzo mandato da segretario generale, si è circondato di fedelissimi che difficilmente solleveranno obiezioni sulle scelte politiche del leader cinese. Come nel 1989, anche oggi il governo cinese e i nazionalisti hanno bollato le proteste come “dirette da potenze straniere”.

Solo dopo le contestazioni degli ultimi giorni, Xi si è mostrato sorprendentemente più morbido. Il leader cinese in un recente incontro con il presidente del Consiglio dell'Ue Charles Michel avrebbe detto che chi protesta contro le politiche Zero Covid sono principalmente studenti "frustrati per i tre anni di pandemia", riporta il South China Morning Post. 

Pechino non ha mai parlato pubblicamente delle proteste, che in alcuni casi includevano appelli allo stesso Xi a dimettersi, osservando un imbarazzante silenzio nell'attesa della fine delle contestazioni. La politica Zero Covid della Cina ha soffocato il consumo interno, la produzione industriale e le catene di approvvigionamento globali. Ma ha anche messo in discussione la prosperità privata e professionale dei cinesi (intrapresa dopo il massacro di Tiananmen), che ora si trovano a fare i conti con il rallentamento economico e la dilagante disoccupazione giovanile. I funzionari dell'Ue, presenti presenti all'incontro tra i due leader, hanno interpretato le osservazioni di Xi come un segnale per un ulteriore allentamento delle rigide restrizioni della politica Zero Covid. 

Censura e sorveglianza digitale

A differenza del 1989, il Partito adesso ha dalla sua l’arma della sorveglianza digitale e della censura. Le autorità cinesi mantengono una stretta presa sul web, attraverso una complessa operazione di censura a più livelli che blocca l'accesso a quasi tutte le testate giornalistiche e ai social media stranieri, oltre a censurare argomenti e parole considerati politicamente sensibili o pericolosi per il Partito comunista cinese. 

Non sono così passate inosservate le immagini dei manifestanti scesi in strada con fogli A4 bianchi in segno di protesta contro la censura usata dal governo per controllare l’opinione pubblica. Anche sul web i manifestanti hanno utilizzato degli espedienti per eludere i censori: per invitare molte più persone a unirsi alle manifestazioni, gli utenti hanno usato un linguaggio in codice, proponendo di "andare a fare una passeggiata" nelle aree in cui si sono tenute le contestazioni.  

La censura si è messa subito in modo cancellando i post sui social newtork e bloccando gli account degli utenti che sono riusciti ad aggirare il sistema censorio. Le autorità cinesi hanno innalzato al massimo livello, quello di "emergenza", la censura, stando a quanto riporta il China Digital Times che ha tradotto il documento delle direttive di Pechino. Il governo cinese ha quindi chiesto alle aziende di monitorare i contenuti relativi alle proteste e di attuare misure per ostacolare o bloccare l'utilizzo del VPN (virtual private network), usato per superare la censura online cinese e per accedere ai social che sono bloccati in Cina, come Google, Twitter, Facebook e Instagram.  

Pechino conosce e usa diversi metodi repressivi e di controllo. In Cina, tutti coloro che hanno un telefono cellulare sono tenuti per legge a registrare il proprio nome e numero di carta di identità presso i fornitori di servizi di telecomunicazione. Grazie a questa norma, le autorità cinesi possono ora utilizzare i dati degli smartphone, come la localizzazione del gps, per rintracciare i manifestanti che hanno preso parte alle contestazioni. Lo riporta la Cnn, che è venuta in possesso di una registrazione di una telefonata tra un manifestante e la polizia cinese.

Dopo i disordini, il Partito avverte il timore di perdere il controllo sulla società e per questo ha potenziato i controlli di sicurezza in tutto il paese. Il governo ha inviato centinaia di agenti e bloccato alcune vie nelle zone diventate teatro delle più intense dimostrazioni di dissenso, in particolare a Pechino e a Shanghai, dove sono stati effettuati controlli a campione sugli smartphone dei passanti. Qui, gli agenti in borghese hanno cancellato foto e video delle proteste dagli smartphone dei cittadini. 

Al momento le proteste che abbiamo visto nei giorni scorsi sono rientrate. Anche se non ci saranno nuove contestazioni, la manifestazione spontanea di rabbia contro la politica Zero Covid ha posto Xi di fronte a una nuova sfida. E i giovani cinesi, che non possono ricordare il massacro di Tiananmen, stanno costruendo una nuova memoria collettiva.