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Petrolio, l’Opec+ sfida gli Usa: l’obiettivo del taglio è indebolire Biden. Rischio deflazione e le Borse vanno giù

I simboli contano. Specie sul fronte del petrolio, da sempre un indicatore assai sensibile dei rapporti di forza tre le economie. Non è un caso perciò, ricorda Roger Diwan, che l’Opec+ abbia deciso di dar corso al più importante taglio della produzione di petrolio alla vigilia dello Yom Kippur, la festività ebraica. Diwan, uno dei più esperti analisti del mercato del greggio, ricorda bene quel che accadde 49 anni, nel 1973, quando in occasione della festa, Egitto e Siria attaccarono Israele dando il via ad un drammatico braccio di ferro con Tel Aviv. Ma, soprattutto, avviando quel processo di crescita dei prezzi del greggio che mise in ginocchio l’economia occidentale, scatenando la corsa dell’inflazione e l’avvio della crisi delle economie dei consumatori. 

Petrolio: il taglio effettivo è di 950mila barili al giorno

Altri tempi, certo. Non è il caso di esagerare per ora l’impatto del taglio della produzione (due milioni di barili al giorno) decisi dal cartello dei produttori, in realtà, visti i problemi produttivi di molti membri del club, il taglio effettivo non supererà i 950 mila barili al giorno. E lo stato di molti clienti sull’orlo della recessione, permette di nutrire dubbi sull’efficacia della stretta. In passato, più volte (1997, 2008 e 2020) il cartello ha dovuto riaprire i rubinetti del greggio per evitare una crisi generale. 

Le Borse vanno giù, prezzi del petrolio distanti dal picco

Ma la stretta decisa a Vienna alla vigilia dell’inverno sta producendo i primi effetti: dopo le ampie perdite di ieri, le Borse proseguono in negativo: il Ftse Mib cede lo 0,78% a 21.193 punti base, il Cac 40 di Parigi lo 0,66%. Madrid e Francoforte sono entrambe in ribasso dello 0,4%.

Nello stesso frangente, i prezzi del Brent stamane sono di poco superiori a 94 dollari, ai massimi da metà settembre. Le quotazioni, insomma, puntano verso l’alto anche se appaiono molto distanti dal picco (139,13 dollari) toccato a marzo. 

Rischio impennata dei prezzi prima delle elezioni di Mid Term: effetti devastanti per Biden

Da allora, però, i prezzi sono scesi quattro volte negli ultimi cinque mesi grazie anche agli sforzi degli Stati Uniti che hanno aperto i rubinetti delle riserve strategiche per inondare il mercato dell’”oro nero” per raffreddare i prezzi. Ma l’azione Usa è di breve respiro. Entro la fine di ottobre Washington dovrà chiudere i rubinetti, come ben sanno i sauditi ed i russi. È facile, perciò, che i prezzi possano schizzare al rialzo proprio alla vigilia delle elezioni di Mid Term, fissate per il giorno 8 novembre, con effetti devastanti per Biden: se la benzina salirà oltre la diga dei 4 dollari al gallone, gli elettori puniranno il presidente che non riesce a battere l’inflazione.

Bin Salman appoggia la Russia, Usa verso la pace col Venezuela

Di qui il significato politico della decisione presa a Vienna alla presenza di Aleksandr Novak, il ministro dell’energia di Putin. L’Oepc dominata dal principe saudita Mohammed Bin Salman, ha deciso di appoggiare Mosca, colpita dall’ultimo round di sanzioni europee sul petrolio

Una scelta tanto più significativa perché coincide con il minor sostegno di Cina ed India all’offensiva russa in Ucraina. Sia Pechino che New Delhi hanno finora approfittato degli sconti cui Mosca è stata costretta per piazzare il suo greggio. L’Arabia Saudita, invece, offre l’occasione per sostenere i prezzi mondiali al rialzo. E non è servita a Biden l’umiliazione della visita a Riyad della scorsa estate quando il presidente si è piegato a stringere la mano allo sceicco colpevole dell’uccisione di Khashoggi, giornalista del Washington Post, barbaramente eliminato nell’ambasciata saudita di Istanbul: Bin Salman non fa mistero di gradire di più l’amicizia di Putin e di Donald Trump al presidente democratico. Né va trascurato l’effetto delle proteste delle donne di Teheran di fronte alla repressione degli ayatollah, fenomeno che allontana l’ipotesi di un accordo sul nucleare iraniano. 

Insomma, pur di trovare nuovi fornitori, gli Usa si apprestano a far la pace con il Venezuela di Maduro, con l’obiettivo di far ripartire le produzioni di Chevron. 
C’è poca economia e molta politica in questa crisi del petrolio che piomba su mercati stressati da mesi di sofferenza sul fronte del gas. Il che rende difficili le previsioni: il greggio, per ora, no reagisce. Ma una cosa è sicura: presto lo farà.