Colpi bassi in arrivo sulla Meloni. Cospito, critiche di FI e Lega. Berlusconi critica, poi smentisce

Giorgia Meloni lo dice chiaro, dal palco dell’Auditorium di Roma, dove tutta la coalizione è riunita per sostenere il candidato del centrodestra in Lazio, Francesco Rocca: “Stiamo uniti e attenti ai colpi bassi, che arriveranno”. E, immancabilmente, i ‘colpi bassi’ arrivano. Silvio Berlusconi fa filtrare tutta la sua contrarietà per come è stato gestito, dalla premier e da FdI, il ‘caso Cospito’, con le intemerate di Donzelli (vicepresidente del Copasir) e Delmastro Delle Vedove (sottosegretario alla Giustizia) contro il Pd e, in generale, l’opposizione, accusati di ‘inchinarsi’ alla mafia e di voler togliere il regime speciale del 41 bis: “Così ci spostiamo troppo a destra” è il warning dell’ex premier che fa filtrare anche la sua insoddisfazione per un altro candidato alle Regionali, Attilio Fontana, cui lui avrebbe preferito la moderata (e candidata per il Terzo Polo) Letizia Moratti. Ovviamente smentisce, ieri, le indiscrezioni sul suo pensiero uscite sulle colonne di Repubblica, ma i malumori di Lega e FI – che non hanno speso una parola di sostegno una dopo la pubblicazione della lettera di Giorgia Meloni al Corriere della Sera in cui la premier ha ‘blindato’ i suoi pupilli, respingendone le richieste di dimissioni – restano. Ma procediamo con ordine e riavvolgiamo il nastro proprio a domenica, alla Meloni sul palco. 

Il finto unanimismo alla convention per Rocca 

I leader della maggioranza, pronti a sostenere Rocca nella sua corsa a presidente del Lazio, ci sono tutti: Salvini in presenza, Berlusconi in video, la Meloni sul palco e Maurizio Lupi a nome dei moderati che veste i panni del moderatore, dal palco, dati i suoi toni ‘moderati’. In prima fila, è presente anche mezzo governo.

Di Lazio, però, si parla lo stretto necessario. Meloni usa toni ruvidi, da capo partito. Attacca la Commissione Ue che “vuole farci mangiare le cavallette fritte". Attacca la sinistra e "gli osservatori" main stream che a suo dire profetizzavano sventure. Fa anche il verso, con la voce contrita e le faccette: "L’Italia è isolata, ragazzi l’Italia è isolatissima, è una tragedia". Risate dalla platea. Soprattutto, dal palco, Meloni difende a spada tratta i suoi fedelissimi, Giovanni Donzelli e Andrea Delmastro, dribblando il caso degli atti sensibili del Dap rivelati per attaccare il Pd, e insistendo sull’ergastolo ostativo e il 41 bis. "Lo Stato non deve trattare con la mafia e nemmeno con chi lo minaccia". In prima fila ad applaudire, in mezzo a uno stuolo di ministri, sbuca proprio Donzelli. Seduto accanto a Fabio Rampelli, a cui ha appena soffiato la governance del partito romano. Ma fanno entrambi buon viso a cattivo gioco. Pacche sulle spalle e sorrisoni. Aiuta a rasserenare il clima la location: è qui, all’Auditorium, che 10 anni fa nacque FdI.

Meloni - come Salvini poco prima - prova a spandere ottimismo sull’orizzonte di governo. "Tra cinque anni saremo ancora qui", scandisce. Poi torna sul caro benzina, sulla difensiva, per spiegare che il mancato taglio delle accise deriva dalla necessità di far quadrare i conti, come farebbe un capo famiglia, che non cambia idea "su richiesta di un figlio o di un altro". Piccona il reddito di cittadinanza, "dalla fine di quest’anno chi può lavorare lavora", poi le ong, "una cosa è salvare in mare, una cosa è fare il traghetto", poi ancora i rave. Annuncia, rivolta "a tutti i membri del governo", che quest’anno sarà "l’anno delle grandi riforme". Ne cita cinque: presidenzialismo, giustizia, riforma del fisco, della burocrazia. E aggiunge l’autonomia differenziata, già "avviata".

Quasi quaranta minuti di discorso, tra revanscismo, attacchi e difese. Poco Lazio. A Rocca, nel finale, dà un consiglio, che sembra rivolto quasi più a se stessa e ai suoi colonnelli: "Colpi bassi ci saranno ma siamo vaccinati, prima, seconda, terza e quarta dose. Francé, ti consiglio di non leggere niente, non farti condizionare...". Standing ovation che mette in ombra gli applausi, più timidi, a Salvini, che comunque aveva difeso l’esecutivo sul 41 bis e rassicurato sulla tenuta della maggioranza, parlando addirittura di possibili, futuri "amici" fra i ministri: "Spiace per i gufi, ma governeremo 5 anni". In coda, Meloni dipinge un complotto contro la destra alle Regionali: "C’è una cappa di silenzio, perché sanno che il Pd perde". Berlusconi, forse memore dei fischi per l’intervento troppo lungo alla festa di FdI, stavolta parla in video per pochi minuti. Ma fa in tempo a dire: "Vincere e vinceremo" (sic). 

Filtra tutto il malumore del Cavaliere: “andiamo troppo a destra”… 

Il guaio, che però esplode solo ieri, è il retroscena pubblicato dal quotidiano La Repubblica. Il giornale scrive che, martedì scorso, poche ore dopo l’esplosione del caso Donzelli, Silvio Berlusconi si sarebbe confrontato con un suo storico consigliere che gli è rimasto vicino e cui avrebbe consegnato la frustrazione, l’amarezza, l’ossessione che lo turba da settimane: "Per colpa di Fratelli d’Italia stiamo andando troppo a destra. Non si vince senza un centro moderato. Fosse per me, in Lombardia voterei Moratti”. Due pensieri fin troppo esplosivi, per la tenuta della coalizione. 

Lo sfogo di Berlusconi rivela anche altro, che è peggio: ha paura che le Regionali possano sancire la polverizzazione di Lega e Forza Italia, la cannibalizzazione dei due partiti da parte di FdI. Il rischio è che la premier mortifichi gli alleati proprio in terra lombarda, culla del leghismo e del berlusconismo. Accanto a questo senso di impotenza dell’anziano leader, si fa strada anche un altro scenario di cui si parla ormai apertamente ai vertici della coalizione: un collasso elettorale del Carroccio, l’apertura di una fase di profonda instabilità a via Bellerio, il rischio di un ribaltone interno a danno di Matteo Salvini. Uno spettro che ha monopolizzato ieri anche i dialoghi riservati nel retropalco della manifestazione per Francesco Rocca.

Quella di Berlusconi è quasi un’ossessione. "Non riusciranno mai a dividere il centrodestra", ha ricorda il fondatore di FI davanti a Meloni e Salvini, strappando l’applauso dei militanti. Il Cavaliere, però, non nasconde privatamente la rabbia per "l’ingratitudine" dell’alleata. Un sentimento che si intuisce anche da alcuni passaggi consegnati alla platea: "Il centrodestra esiste grazie a me, Forza Italia è l’esclusiva rappresentante del Ppe in Italia. Dal punto di vista dei numeri, siamo una forza politica indispensabile per tenere in vita questa maggioranza e questo governo". Segnali, colpi di coda, promesse di vendetta che si scontrano con un assoluto squilibrio nei rapporti di forza.

Il problema è che “di moderato questo governo ha ben poco” avrebbe sospirato il Cavaliere che prova a smarcarsi. A ricordare ad esempio che FI si è "tenuta alla larga dalle polemiche” attorno alla detenzione al 41 bis dell’anarchico e ha chiesto nuove carceri "per adempiere alla fondamentale funzione di rieducazione dei detenuti". E anche Antonio Tajani – vicinissimo a Meloni - prende le distanze dall’appello a contenere le polemiche lanciato dalla premier: "Noi non abbiamo mai alzato i toni".

E’ tra gli azzurri, dunque, che serpeggia il malumore più consistente. Nessuna intemerata, perché non c’è la forza né la convenienza, ma tanti mormorii e puntualizzazioni. In un’intervista è Licia Ronzulli, capogruppo al Senato, a farsi alfiere delle puntualizzazioni puntute: “La gente non capisce, vorrebbe vederci lavorare per mantenere gli impegni, si è perso anche troppo tempo. Questa contrapposizione tra maggioranza e opposizione su questi temi è sbagliata, perché apre una falla, ci rende aggredibili”.

Il ‘rischio’ di una FdI troppo forte alle elezioni

La verità è che da giorni girano sondaggi riservati clamorosi, che hanno agitato le segreterie della maggioranza. Nel Lazio, Fratelli d’Italia sarebbe da sola quattro volte più forte della somma dei voti di Lega e Forza Italia. In Lombardia, triplicherebbe il consenso del Carroccio. Politicamente, i meloniani sopra la soglia del 30% potrebbero vantare un predominio totale sull’area di maggioranza. Se poi Salvini non riuscisse a superare il 10% in terra lombarda – con gli azzurri ancora più indietro - l’effetto negativo, sulla coalizione, sarebbe imprevedibile.

Meloni non sembra curarsi di questo rischio, almeno per quanto riguarda Forza Italia. Non teme di “vincere troppo”. Quanto alla Lega, il ragionamento è più sfumato: ha concesso la bandiera dell’autonomia a Salvini, provando a tutelare un segretario a rischio ribaltone. Resta però il fatto che ieri è volata a Milano per chiudere di persona la campagna elettorale di Fontana e intestarsi l’eventuale exploit di FdI. Di certo, Meloni non smetterà di cavalcare le intercettazioni rivelate dai suoi fedelissimi, concentrandosi soprattutto sul tema del carcere duro. Dopo alcune ore di tribolazione a ridosso della missione a Berlino, la premier ha sposato la linea dei falchi, quella incarnata a Palazzo Chigi dal sottosegretario Giovanbattista Fazzolari. E questo perché le rilevazioni riservate in mano al partito indicherebbero che gli italiani hanno capito poco dello scandalo. E che, in questa nebbia, a guadagnare consensi sarebbe la destra. "Vinciamo le Regionali – è il senso dei suoi ragionamenti – e poi vediamo se avevamo ragione noi o i presunti osservatori illuminati. Vediamo con chi stanno gli italiani".

La smentita del Cavaliere non fuga i dubbi 

Ovviamente, ieri mattina, al Cavaliere tocca smentire, di netto, ogni indiscrezione per evitare che il livello di guardia, nella maggioranza, venga superato e che i rapporti tra alleati tracimino. 

"Un articolo di Repubblica attribuisce al presidente Silvio Berlusconi parole e concetti che non ha mai pronunciato e nemmeno pensato: è, dunque, privo di fondamento", riferiscono fonti di Forza Italia. Ma tiene il punto sul concetto base: "Per quanto ci riguarda, noi di Forza Italia siamo stati ben alla larga da ogni polemica strumentale", ribadisce il leader di FI, parlando del caso Cospito a Mattino Cinque. "Il 12 e 13 febbraio – puntualizza - si vota per Lombardia e Lazio, le più importanti regioni d'Italia. È un voto importante che deve confermare il voto politico del 25 settembre scorso, e confermare l'attuale maggioranza di governo". Come a dire: quello che conta, ora, è vincere, e bene, le Regionali. 

Gli alleati (Lega e FdI) restano molto irritati

Ma gli alleati restano come sono, assai ‘irritati’. Il Colle, intanto, molto ‘preoccupato’, vigila e osserva tutto, pur senza intervenire di persona. Molti leghisti sono infuriati. Il dissenso del ministro Nordio verso il suo vice, Delmastro, fatica a restare negli argini della dialettica interna. Il ministro avrebbe voluto prendere le distanze, ma Meloni gli impone di dargli piena copertura. Il Cavaliere non difende, nelle varie interviste rilasciate ‘a batterie’ in questi giorni, né Donzelli né Delmastro al pari dell’intera classe dirigente di FI. Verso i due meloniani c’è solo tanta freddezza o gelida indifferenza. “State dando al Pd la patente di amici della mafia e del terrorismo…” è la critica. “State portando avanti una difesa tribale della vostra gente” sibilano i colonelli azzurri ai meloniani. Inoltre, non uno – tra i colonnelli leghisti e azzurri – spende una parola a favore di Delmastro e Donzelli e neppure dice nulla sulla lettera della Meloni al Corsera con il suo invito ad “abbassare i toni”. Lettera duramente criticata dalle opposizioni, che continuano a chiedere, imperterriti, le dimissioni del duo meloniano, mai difeso apertamente dagli esponenti di Lega e FI. 

Le interpretazioni della mossa della Meloni e l’effetto che possono avere i risultati elettorali 

Per la Meloni, dunque, “il caso è chiuso”, per i suoi alleati no. La premier non trova “ragioni” per imporre le loro dimissioni e non vede neppure “contraccolpi” nella maggioranza. Ma il malessere di leghisti e azzurri per la sua difesa a oltranza del ‘duo’ meloniano resta e forte. “Giorgia sa bene di non poter muovere le sue pedine – ragiona un ministro sotto rigida richiesta di anonimato – perché cedere alle richieste delle opposizioni sarebbe stato letto come un atto di debolezza”. Avanti, dunque, nonostante i “colpi bassi” che, avverte la premier, arriveranno e attenzione a “non diventare come gli altri” (il che indica che l’esame di coscienza alla sua classe dirigente la Meloni lo sta facendo). La premier è consapevole che, per dirla con Tajani, “le Regionali saranno un voto di fiducia sul governo”, quindi non si può sbagliare. Resta che Berlusconi è rimasto, al netto delle smentite, “sconcertato” dal comportamento poco british di Delmastro e Donzelli (gli azzurri li chiamano “i due folli”…), ma preferisce non infierire. Come pure Salvini. Il quale, proprio ieri, prova a correre – tardivamente e a modo suo – in sostegno delle premier, dicendo che la maggioranza è "assolutamente" compatta attorno al premier: "Non si toccano alcune leggi sotto minaccia e sotto ricatto o sotto violenza", ribadisce, evidenziando che "il 41bis nacque per evitare che alcuni detenuti pericolosi comunicassero le loro idee all'esterno, possano essere mafiosi o terroristi". Il leader della Lega ha poi ribadito di "credere fortemente che il Paese, opposizioni comprese, debba rimanere unito". La speranza del ministro è "che si parli di giustizia con una riforma e non con polemiche. Spero che tutti abbassino i toni". Una piccola lancia pro-Meloni. 

Ma se, nelle urne lombarde e laziali, FdI dovesse stravincere, rispetto a Lega e FI, allora sì che le tensioni, in qualche modo fin qui sopite, potrebbero aumentare e la tregua rompersi. “Salvini è l’alleato più fedele di Giorgia – nota un altro ministro meloniani – ma cosa accadrebbe se FdI valesse il 30%, soprattutto in Lombardia, e la Lega finisse sotto il 10%?”. Una domanda non peregrina cui solo i risultati di domenica 12 e lunedì 13 febbraio daranno risposta. Al netto persino del caso di Delmastro e Donzelli. Non a caso, l’informativa del ministro Nordio sul caso Cospito è stata fissata al 15 febbraio, dopo le Regionali. Una nuova ‘non’ difesa dei due meloniani sarebbe un altro guaio. Meglio concentrarsi sul voto in Lazio e Lombardia, per ora, e poi occuparsi dei ‘folli’ (meloniani) che creano problemi al governo.


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