Giovedì in Direzione voleranno gli stracci. Aumentano quelli che vogliono rottamare il Pd

Sarà in diretta streaming la direzione del Pd di giovedì 4 ottobre, non solo l'intervento di apertura di Enrico Letta, ma l’intero dibattito. E non sarà una discussione semplice, anzi moltgo faticosa, perché quel "congresso costituente" lanciato dal segretario venerdì scorso con la lettera agli iscritti non è affatto facile da tradurre concretamente. Letta, raccontano, non ha tesi precostituite, non sposa nessuna delle tante posizioni in campo al momento, ma su un punto è netto: il Pd non può essere liquidato. Questo è l'unico punto fermo del segretario uscente, ma non è poco dal momento che l'idea di "superare", di "andare oltre", di "rottamare" il Pd circola eccome, dentro e fuori il partito. Di fatto, anzi, il vero nodo da sciogliere è proprio questo, perché è evidente che nei confronti dei democratici è in atto un tentativo di 'opa ostile' dal centro e dai 5 stelle, ma anche da parecchi ambienti di sinistra radicale e intelletto’.

Un ‘congresso costituente’. Ma chi vota cosa?

Non a caso una delle questioni sulle quali si dovrà discutere è come e quando aprire il dibattito anche alle forze e alle realtà esterne al Pd. Articolo Uno ha aderito alla proposta di Letta, ma chiede di partecipare fin dalla prima fase. E Arturo Scotto ha chiarito: "Non ci iscriviamo al Pd". Alessandro Alfieri, coordinatore di Base riformista (l'area di Lorenzo Guerini), ha un'idea diversa: "Le regole sono chiare, parla lo statuto: chi decide di iscriversi può partecipare. Chi vuole partecipare a un congresso rigenerativo perché ne vuole fare parte potrà farlo. Nessun veto". E il tema è sentito anche in altre aree del Pd, non solo in Base riformista: "Di certo non mi faccio venire a spiegare come devo rifare il Pd da chi ritiene che Conte sia il leader dei progressisti", dice un altro dirigente dem.

Tante le parole e voci, interessate e retoriche

Il "congresso costituente" è una mossa alla quale Letta crede: il segretario è convinto che il modello delle Agorà vada replicato per rinnovare davvero il partito. Inoltre, c'è anche un'esigenza tattica che spinge in questa direzione: da Andrea Orlando a Goffredo Bettini, fino ad Articolo Uno, sono in tanti ad avere chiesto appunto una fase "costituente", aperta a forze esterne al Pd. Tra questi, peraltro, c'è pure quella Elly Schlein che i sondaggi indicano come la più forte possibile candidata da contrapporre a Stefano Bonaccini, il governatore emiliano che, al momento, formalmente è sostenuto solo da una corrente, quella di Base riformista. Mettere sul tavolo un "congresso costituente" serve dunque anche a giocare d'anticipo, ad evitare - come dice un esponente di Articolo Uno - "che Elly magari a un certo punto dica: il Pd resta chiuso in sé stesso, preso dai suoi riti, facciamo un'altra cosa". D'altro canto, però, è appunto complicato tradurre concretamente questa idea. "Dobbiamo aprirci al confronto, rifondare e rinnovare nel profondo il partito - dice il deputato del Pd campano, Piero De Luca (figlio del governatore Enzo) - Ma senza rinnegare la nostra storia, senza snaturarci". E l’eurodeputata Alessandra Moretti aggiunge: "Il simbolo del Partito democratico non può essere messo in soffitta, semplicemente perché non appartiene a nessuno ma è bene comune". Un leader della sinistra interna che fu, Gianni Cuperlo, appena rieletto deputato, da Radio Immagina avverte: "Il tema non è l'alleanza con Conte o con Calenda, ma l'identità di questa forza. Chi siamo e chi vogliamo rappresentare".

Il nodo dei tempi: quando si fa il congresso?

C'è poi la questione dei tempi: Bonaccini spinge per accelerare. Alfieri chiede "tempi certi" e definisce sbagliato perdersi in "tattiche dilatorie". Per il presidente dell'Emilia-Romagna e per Base riformista le primarie per il nuovo segretario si dovrebbero tenere entro febbraio. Quasi tutti gli altri, però – a cominciare dalla sinistra fino a Dario Franceschini - pensano che un "congresso costituente" e un dibattito sull'identità abbia bisogno di tempi più lunghi. Anche perché, come è evidente, allo stato non è maturata una candidatura alternativa a Bonaccini e serve tempo per organizzarsi: la stessa Schlein, appunto la più accreditata a sfidare il presidente dell'Emilia Romagna, non solo non ha al momento il consenso unanime della sinistra del Pd, ma come vedremo potrebbe beffare tutti e andare in campo sì, ma in ticket con lo stesso Bonaccini (come vedremo). E c’è chi continua a pensare che Andrea Orlando possa giocare in prima persona la partita. Così, in tanti assicurano che le primarie si faranno probabilmente ad aprile-marzo.

L’aut aut interessato degli alleati esterni: “o noi o gli altri”

Carlo Calenda e Matteo Renzi mettono le cose in chiaro e lanciano un aut-aut al Pd: "Mai col M5S. I dem decidano se stare con noi o con loro", dicono praticamente all'unisono, agitando le acque nel campo dell'opposizione che si è delineato con il voto del 25 settembre. In vista del debutto del nuovo Parlamento, infatti, strategie e riunioni non segnano solo le giornate del centrodestra, chiamato a costruire una compagine di governo. Anche all'opposizione si discute di alleanze, da fare in aula o in vista dei prossimi appuntamenti con le elezioni Regionali (Lazio e Lombardia a marzo) e amministrative.

Ieri, a fare il punto, quindi, è il 'terzo polo'. Calenda e Renzi si sono visti, lontano dalle telecamere. Quello che filtra è "grande soddisfazione per il lavoro comune svolto e desiderio di procedere insieme". Ora la priorità, viene riferito, è formare i gruppi unitari (con un capogruppo ad Azione e uno a IV) e "nel mese di novembre lavorare sulla federazione unitaria". L’obiettivo, viene ribadito, è essere il primo partito alle europee del 2024 e soddisfazione e stata espressa anche alla luce dei sondaggi. Sì al viaggio insieme è il messaggio risuona forte e chiaro. "Noi non facciamo alleanze con il M5s perché riteniamo che quel modo di fare politica sia molto lontano da quello che serve al Paese. Dopo di che sarà il Pd a dover scegliere", dice il segretario di Azione, supportato a stretto giro dal leader di Italia viva. "A me del Pd non interessa, presto ci sarà un governo e ci saranno due opposizioni: una riformista con noi e Calenda e una populista con Conte e quelli che del Pd che amano Conte", afferma Renzi, che conferma la chiusura per le regionali e retoricamente si chiede: "Dopo tutto questo caos, ci mettiamo con Pd e Cinque stelle? Calenda ha detto 'coi cinque stelle mai', se questo significa essere aperti...".

Il pallino è quindi in mano al Pd, che invece sembra voler ricucire il 'campo largo' per non lasciare praterie al centrodestra. Ieri Francesco Boccia, responsabile Enti locali per il Nazareno, lo ha detto chiaramente: "Io penso che sia assolutamente inevitabile l'alleanza con chi si rivede nel campo progressista, come il M5S, e con chi si vede alternativo alla destra", a partire "dalla Regione Lazio dove, probabilmente fra due mesi, si dovrà parlare della nuova campagna elettorale" e "decidere se vincere o se regalarla alla destra". Su questo fronte però - riferiscono fonti parlamentari pentastellate - le speranze sarebbero poche: "La rottura che ha preceduto le elezioni politiche ha lasciato strascichi ed è difficile da ricomporre in così poco tempo", si ragiona nel Movimento, che proprio nel Lazio governa con il Pd all'interno di una giunta, quella Zingaretti, che si regge su pochi voti, sostanzialmente quelli dei pentastellati. Un nodo che Giuseppe Conte dovrà comunque discutere con i suoi: nei prossimi giorni è atteso un Consiglio nazionale dei Cinque stelle proprio per affrontare l'organizzazione dell'attività nelle aule parlamentari (con annessa scelta di capigruppo e dei nomi per i ruoli istituzionali) e le future alleanze.

Sulle scelte dei democratici, invece, pesano anche le incognite del percorso congressuale tracciato dal segretario. "Il Pd è un partito indispensabile per il sistema politico e la democrazia italiana", sottolinea l'ex capogruppo ed ex tesoriere Luigi Zanda, ma poi avvisa: "Lo vogliamo capire che Conte, come Renzi e Calenda, vogliono disintegrare il Pd per prenderne i voti?". Parole che sembrano chiudere alle alleanze ma che forse colgono il punto, come conferma Gianni Cuperlo, presidente della Fondazione Costituente del Pd e neo-deputato: "Un dibattito profondo sulla nostra identità è stato molte volte evocato e, sempre, rinviato. Oggi siamo a un bivio. Smettiamola con il giochino 'stiamo con questo o con quello, con Conte o con Calenda', perché prima si deve partire dalle fondamenta". E’ invece più deciso, sulla strada futura, l'ormai ex senatore Andrea Marcucci: "I dem devono decidere se essere quelli del Lingotto, con i riformisti ancora protagonisti, o viceversa se c’è volontà, annunciata da alcuni, di marginalizzarli, una volta per tutte".

Tutti a sperticarsi in elogi a Letta (ma ora…)

Come si sa, quattro giorni fa, Enrico Letta ha scritto una lettera aperta agli iscritti, militanti e simpatizzanti del Pd. Tutti – ovviamente – dai candidati a succedergli (il sindaco Ricci, De Micheli, Bonaccini, la Schlien, il sindaco Nardella pare proprio che si ritiri, il sindaco Decaro pure, il sindaco Sala neppure ci pensa, altri nomi di big sono e restano ‘coperti’, ma ci sono) ai dirigenti storici fino ai parlamentari neo-eletti – si sono subito sperticati in elogi, plausi, encomi. “Servo encomio” (quello pubblico) e “codardo oltraggio” (quello privato), si capisce. I big dem non vedono l’ora che ‘Enrichetto’ tolga il disturbo e “se ne torni a Parigi” (dove insegna).

Ma veniamo alla lettera di Letta. Il segretario, che accompagnerà il partito fino al ciglio del burrone (il prossimo congresso, che si terrà a marzo 2023, non prima: mancano, si dice, “i tempi tecnici”), mette, giustamente, tutto in discussione: il nome, il simbolo fino all'identità stessa del Pd. Letta ‘parla’ agli iscritti, prima ancora che ai dirigenti, e illustra il percorso di un congresso chiamato a riformare il partito dalle fondamenta. E già questo è un segnale di quanto il congresso sarà aperto all'esterno, a iniziare dalle forze politiche, come Articolo Uno e Demos-Democrazia Solidale, che hanno partecipato alla Lista “Italia Democratica e Progressista” (ci sarebbe pure il Psi, ma sta a sé).

Cosa dice la ‘letterina’ di Letta sul congresso

Il segretario, con la sua ‘lettera aperta’ agli iscritti di due giorni fa ha annunciato un congresso in quattro fasi attraverso una ‘chiamata’ a tutti quelli che vogliono essere protagonisti della fase storica che si apre. “Abbiamo bisogno di un Congresso Costituente”, premette Letta, che chiede “passione e impegno”. La Direzione è – come detto - già stata convocata il 6 ottobre e qui la maggioranza è saldamente in mano all’area ‘Zinga’ più l’area Franceschini e i lettiani, Base riformista e Giovani turchi in minoranza.

Darà il suo via libera formale, ma il percorso è già tracciato. “In quattro fasi”, spiega Letta. La prima fase “sarà quella della ‘chiamata’: durerà alcune settimane e – seguita Letta – “chi vuole partecipare alla missione costituente, che parte dall'esperienza della lista, possa iscriversi ed essere protagonista”. Traduzione: il voto per i candidati (primo giro tra gli iscritti, secondo tra gli elettori, le famose primarie ‘aperte’) sarà ‘inquinato’, ma in modo legittimo, dagli iscritti ad altre forze politiche che, fino a oggi, non avevano la tessera dem. Soprattutto Articolo 1 (ex LeU), avrà modo di far ‘pesare’ i propri voti. Poi, un mese di pausa per raccogliere le forze. Ed ecco la seconda fase: “sarà quella dei ‘nodi’ e consentirà di confrontarsi sulle principali questioni da risolvere”, scrive ancora Letta, avvertendo che “quando dico tutte, intendo tutte: l'identità, il profilo programmatico, il nome, il simbolo, le alleanze, l'organizzazione. E quando parlo di dibattito profondo e aperto, mi riferisco ai circoli, ma anche a percorsi di partecipazione sperimentati con successo con le Agorà dem”.

Tradotto: sarebbe il famoso, ma mai fatto, “congresso a tesi”, giusto per non farlo solo sui nomi. Segue la terza fase, “quella del ‘confronto’ sulle candidature emerse tra i partecipanti al percorso costituente”. E qui, finalmente, si arriva alla ‘ciccia’. Cioè, appunto, ai (tanti) candidati, peraltro già in campo. Ma Letta non vuole “un casting”, ma un "confronto e una selezione per arrivare a due candidature tra tutte, da sottoporre poi al giudizio degli elettori”. Dal punto di vista tecnico, è una specie di sistema elettorale a ‘doppio turno’ che mira a dare maggiore forza e rappresentanza al segretario/segretaria che verrà. Infine, ecco la quarta fase, quella delle ‘primarie’: “Saranno i cittadini a indicare e legittimare la nuova leadership attraverso il loro voto”. In realtà è la scoperta dell’acqua calda. I congressi del Pd si sono sempre fatti così: primo giro tra gli iscritti e poi primarie aperte, ma messa giù alla Letta è tutto più civile, urbano, dignitoso. Solo che, diceva Romano Prodi, alle primarie “deve scorrere il sangue”. E il sangue scorrerà.

Big in pressing su Letta e diffidenti tra di loro

D’altronde, precipitarsi a eleggere un nuovo segretario senza prima affrontare una discussione seria su cos'è il Pd e quali mondi vuol rappresentare rischia di impedire quel processo costituente, di vera rifondazione, che tutti a parole dicono di volere. Meglio prendere tutto il tempo che serve per rigenerarsi e ridefinire un'identità che la permanenza al governo negli ultimi dieci anni - con tutti gli alleati e le formule possibili - ha finito per scolorire. È la tesi sostenuta da un piccolo movimento, trasversale alle correnti dem, che sta affilando le armi in vista della direzione nazionale. Con un corollario preciso: i vertici devono restare al loro posto, nel pieno delle funzioni finché l'intero percorso non verrà completato. Senza fretta, né tentazioni liquidatorie.

A dirlo senza troppe perifrasi è Roberto Morassut, uno dei pochi uscenti a vincere la sfida di collegio. "Se vogliamo davvero fare una costituente che non sia un'operazione di facciata, credo che Enrico Letta debba rimanere segretario e guidarla insieme alle attuali capigruppo sino a che non via sia un processo reale di costituzione di un soggetto politico nuovo che rimescoli le carte tra interno ed esterno", spiega il deputato romano. "Con le regole vigenti non è possibile perché l'iter congressuale è costruito sulle primarie, cioè su una gara fra candidati per la leadership. Quindi penso che qualche novità procedurale andrà introdotta", incalza. "Bisognerebbe partire da un testo sui valori e i temi fondamentali, affidato a personalità di altissimo profilo, che viaggi non solo nei circoli ma in mille assemblee, nei luoghi di lavoro e di studio, in grado di superare gli steccati e andare oltre il nostro perimetro". È quel che pure Andrea Orlando ripete da giorni, insieme a buona parte della sinistra dem. "Non si parte dalla coda, da un nome magari concordato tra qualche capobastone", rincara Gianni Cuperlo. "Oggi siamo a un bivio. Smettiamola con il giochino "stiamo con Conte o con Calenda", si deve prima iniziare dalle fondamenta, da noi e da tutti coloro che guardano al Pd, magari anche con critiche fondate". Una frenata che non dispiace a Dario Franceschini.

Tutti fin qui orfani di un candidato in grado di ostacolare la cavalcata di Stefano Bonaccini, sceso in pista con il sostegno di Base riformista, l'area che fa capo a Lorenzo Guerini. La quale non a caso insiste per celebrare le assise "in tempi certi", ribadisce il senatore Alessandro Alfieri. Non tutti gli ex renziani spingono però per accelerare la successione a Letta. "Credo che il congresso con le attuali regole finisca per essere funzionale a un accordo tra correnti su un nome. Noi invece abbiamo bisogno di un congresso a tesi su cui scontrarsi", ragiona l’ex Lele Fiano. Una guerra tra sinistra e riformisti, è la paura, rischia di sfasciare il Pd cui puntano Calenda e Conte: banchettare sui resti di un partito lacerato. Renzi lo dice testuale: "La fine del Pd è sia con, sia senza Elly Schlein. Il governo avrà due opposizioni, quella riformista, la nostra, e quella populista con Conte e il gruppo dem che ama Conte: Bettini, D'Alema, Provenzano" (amen).

Musica simile in casa M5S, dove si dicono certi che "l'alleanza con il Pd non si farà" neppure "alle prossime regionali". Nemmeno nel Lazio, dove già si governa insieme. "Giuseppe non si fida più", trapela dal quartier generale. Chiaro l'obiettivo: replicare quanto accaduto alle politiche, con i grillini pronti a cannibalizzare parte dell'elettorato dem. Ecco perché "non possiamo fare tutta la nostra discussione congressuale sulle alleanze", avverte Enrico Borghi, responsabile Sicurezza del Pd. "Lo dico ai miei colleghi: non facciamo vincere ora chi ci voleva ammazzare e non c'è riuscito".

Bonaccini ormai è sceso in campo

Al netto delle fredde regole e regolamenti, di Statuti e codicilli, come e quando e chi vota, etc. resta in campo la Politica. Qui arrivano le novità. Stefano Bonaccini ha dato un’accelerazione virtuale alla campagna per la guida del Pd con un post che non risparmia chi c’è e nemmeno il partito: «c’è un problema di credibilità, non di immagine, di sostanza, non di forma. Di progetti, non di slogan. Di classe dirigente, non di album delle figurine. Il problema del Pd non è il nome». Quindi l’affondo: «La classe dirigente va rinnovata nella sostanza, non per slogan. Abbiamo donne e uomini nel partito dei territori, amministratrici e amministratori che hanno dimostrato sul campo di saper vincere o comunque di fare la differenza: smettiamola di tenerli in panchina e rendiamoli protagonisti». Ma dato che gli emiliani sono gente contadina (“scarpe grosse e cervello fino”) ecco che provano a trasformare una debolezza in forza. A Bonaccini manca una donna? Non c’è problema, rubiamo quella degli avversari e ‘boma lì’…

Del resto, meglio un ticket di un derby è il motto di Bologna per evitare il rischio di un duello tra il presidente della Regione Stefano Bonaccini e la sua vice Elly Schlein, entrambi in corsa per il Nazareno. Lui un passo avanti l'ha già fatto. lei non parla da giorni. Ad alzare la mano in questo clima è il parlamentare dem Andrea De Maria, che ha già dichiarato il suo endorsement per il presidente, e che auspica a questo punto una corsa a due tra il governatore e la sua vice. Per sedare sul nascere anche le tentazioni di dissolvimento del Pd - dalla diaspora alla sacissione fino allo scioglimento evocato da Rosy Bindi - che si stanno diffondendo a Roma. "E' un mio auspicio personale", spiega De Maria su Twitter: "Elly Schlein sarebbe perfetta per un ticket. Come si è già fatto in Emilia-Romagna. Sarebbe un modo per contribuire davvero dalla nostra terra ad una nuova stagione di rilancio e di rinnovamento del Pd e del centrosinistra".

E’ un tentativo di ricomposizione, dunque, per evitare una resa dei conti emiliano-romagnola? In realtà l’idea è in realtà mirata a sgomberare il campo del governatore dalla temibile avversaria. Bonaccini sarebbe infatti in campo per attrarre prima di tutto l'area riformista, ma con l'obiettivo di riunire tutto il Pd e anche gli alleati, sia a destra che a sinistra, secondo il modello di governo allargato che guida in Regione. Schlein non ha ancora fatto passi avanti per la sfida alla conquista del Pd né è iscritta al Pd. Tuttavia, proprio il fatto di essere slegata dalle correnti è considerato dalla sinistra del partito come un vantaggio nella sua corsa al Nazareno. L'ipotesi di una guida Schlein, tuttavia, espone al rischio di una diaspora dei moderati dem, che potrebbero a quel punto muoversi verso il Terzo polo di Renzi e Calenda. Un dissolvimento del Pd mai visto finora e che tutti vogliono scongiurare


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