Populismo, polarizzazione e post-verità sono le tre armi degli autocrati moderni

Le società libere di tutto il mondo hanno di fronte un nuovo e implacabile nemico. È un nemico che non ha eserciti, né flotte; non viene da nessun paese che si possa localizzare su una mappa. È ovunque e da nessuna parte, perché non è là fuori ma qui dentro. Invece di minacciare le società di distruzione dall’esterno, come fecero un tempo nazisti e sovietici, questo nemico le insidia dall’interno.

Un pericolo che è ovunque e da nessuna parte è sfuggente, difficile da riconoscere, da definire. Lo percepiamo tutti, ma fatichiamo a dargli un nome. Per descriverne elementi e caratteristiche si versano fiumi d’inchiostro, ma rimane inafferrabile.

La prima cosa da fare, quindi, è dargli un nome. Solo allora potremo coglierlo, combatterlo e sconfiggerlo.

Che cos’è questo nuovo nemico che minaccia la nostra libertà, il nostro benessere, addirittura la nostra sopravvivenza di società democratiche? La risposta è il potere, in una forma nuova e malefica.

Ogni epoca è stata testimone di una o più forme di politica maligna. Quella a cui stiamo assistendo oggi ne è una variante revanscista, che scimmiotta la democrazia e al contempo la pregiudica, facendosi beffa di ogni limite. È come se il potere politico avesse preso atto di ogni metodo mai concepito dalle società libere nel corso dei secoli per domarlo e avesse iniziato a tramare per controbattergli.

Ecco perché la interpreto come una rivincita del potere.

In questo libro, ripercorrerò l’ascesa di questa nuova e malefica forma di potere politico, specificando come si sia sviluppata in tutto il mondo. Documenterò il modo furtivo in cui essa erode le fondamenta di una società libera. Mostrerò come sia sorta dalle ceneri di una forma di potere più antica, annichilita dalle forze che ne hanno decretato la fine. E dimostrerò come, ovunque prenda piede, che sia in Bolivia o nel North Carolina, in Gran Bretagna o nelle Filippine, essa poggi su un nucleo compatto di strategie tese a indebolire le fondamenta della democrazia e a consolidare il suo perfido predominio. Abbozzerò anche una serie di modi per combatterla, per proteggere la democrazia e, in parecchi casi, salvarla.

Lo scontro tra chi ha il potere e chi non ce l’ha è, ovviamente, una dinamica costante nell’esperienza umana.

Per la stragrande maggioranza della storia dell’umanità, chi deteneva il potere ne ha sempre fatto tesoro a proprio esclusivo vantaggio, tramandandolo ai propri figli in modo da dar vita a dinastie di sangue e privilegio, con ben poco riguardo nei confronti di chi non ne aveva. Gli strumenti del potere – la violenza, i soldi, la tecnologia, l’ideologia, la persuasione morale, lo spionaggio e la propaganda, per citarne giusto alcuni – erano appannaggio di caste ereditarie, ben al di fuori della portata della maggior parte della gente.

Eppure, a partire dalle rivoluzioni americana e francese alla fine del diciottesimo secolo, si è innescata una trasformazione tellurica nei rapporti di potere, per cui il potere è divenuto oppugnabile e nuovi vincoli sono stati imposti a coloro che lo esercitavano. Tale forma di potere – di portata limitata, che doveva render conto alla gente, e basata su uno spirito di legittima concorrenza – è stata il fulcro dell’enorme espansione in termini di prosperità e sicurezza cui il mondo ha assistito dopo la fine della Seconda guerra mondiale.

Ma all’inizio del ventunesimo secolo, alcune trasformazioni destabilizzanti hanno cominciato a scuotere quell’organizzazione postbellica. In un mio precedente libro, La fine del potere, ho analizzato il declino del potere in tutta un’ampia gamma di istituzioni umane. Tecnologia, demografia, urbanizzazione, informazione, cambiamenti economici e politici, globalizzazione e mutamento degli stili di pensiero hanno cospirato in vista della frammentazione e diluizione del potere, rendendolo più semplice da conquistare ma più difficile da usare e più facile da perdere.

Un contraccolpo era inevitabile. Chi è deciso a ottenere ed esercitare un potere illimitato attua vecchie e nuove tattiche per proteggerlo dalle forze che lo indeboliscono e lo limitano. Questi nuovi comportamenti sono concepiti per arginare il declino del potere, perché si possa ricostituirlo, concentrarlo e tornare a esercitarlo senza limiti, ma con
le tecnologie, le strategie, le organizzazioni e le mentalità proprie del ventunesimo secolo.

In altre parole, le forze centrifughe che indebolivano il potere hanno evocato una nuova serie di forze centripete tese ad accentrarlo. Lo scontro tra queste due gamme di forze è uno dei tratti distintivi della nostra epoca. E l’esito di quello scontro è tutt’altro che già deciso.

La posta in gioco non potrebbe essere più alta, e non ci sono garanzie. È in ballo non solo la possibilità che la democrazia prosperi o meno nel ventunesimo secolo, ma la sua stessa sopravvivenza come sistema di governo dominante, organizzazione di default del villaggio globale.

Che la libertà sopravviva non è affatto garantito.

Le democrazie riusciranno a resistere agli attacchi degli aspiranti autocrati volti ad annientare il sistema di controlli e contrappesi che limita il loro potere? In che modo?

Perché il potere si va concentrando in alcune sedi mentre in altre si frammenta e si deteriora? E la grande domanda: che futuro avrà la libertà?
Il potere di rado si cede volontariamente. Quelli che ce l’hanno tentano, è naturale, di arginare e contrastare i tentativi dei rivali di indebolirli o rimpiazzarli. I nuovi venuti che attaccano chi è in carica sono spesso innovatori, che non solo sfruttano nuovi strumenti ma seguono proprio un copione completamente diverso. Le loro innovazioni politiche hanno profondamente alterato le modalità di conquista e mantenimento del potere nel ventunesimo secolo.

Questo libro individua ed esamina tali innovazioni, mostrandone le possibilità, la logica interna e le contraddizioni, per poi stabilire le battaglie chiave che i democratici dovranno vincere per evitare che distruggano la libertà dei nostri tempi.

Una forma limitata e contingente di potere non basterà ad appagare aspiranti autocrati, che hanno imparato a far leva su tendenze come la migrazione, l’insicurezza economica del ceto medio, le politiche identitarie, le paure suscitate dalla globalizzazione, il potere dei social media e l’avvento dell’intelligenza artificiale. In ogni sorta di contesto geografico e in ogni circostanza, costoro hanno dimostrato di volere un potere senza briglie, e di volerlo per sempre.

Questi aspiranti autocrati si trovano di fronte a un nuovo ventaglio di opzioni, e hanno a disposizione nuove gamme di strumenti da utilizzare per rivendicare un potere illimitato. Molti di questi strumenti anche solo qualche anno fa non esistevano. Altri sono vecchi quanto il mondo ma coniugati in modi nuovi con le tecnologie emergenti e
i nuovi trend sociali per renderli più incisivi di quanto non siano mai stati finora.

Ecco perché, negli ultimi anni, abbiamo assistito all’affermazione di una nuova specie di aspiranti potenti: leader non convenzionali, testimoni del declino del potere tradizionale, che si sono resi conto che un approccio radicalmente nuovo poteva aprire a opportunità prima d’allora non sfruttate. Sono emersi in tutto il mondo, dai paesi più ricchi a quelli più poveri, dai più istituzionalmente progrediti ai più arretrati. Pensiamo a Donald Trump, ovviamente, ma anche a Hugo Chávez in Venezuela, Viktor Orbán in Ungheria, Rodrigo Duterte nelle Filippine, Narendra Modi in India, Jair Bolsonaro in Brasile, Recep Tayyip Erdoğan in Turchia, Nayib Bukele a El Salvador, e tanti altri.

Questo libro si propone di dissezionarne l’approccio, perché non si può sconfiggere ciò che non si riesce a comprendere.

Questi nuovi autocrati sono stati dei pionieri nelle nuove tecniche tese a ottenere un potere illimitato e poi a conservarlo il più a lungo possibile. Il fine ultimo – non sempre raggiungibile ma per cui si è sempre tenacemente combattuto – è il potere a vita. Qualunque tendenza verso l’indebolimento del loro potere è interpretata come una minaccia vitale, un qualcosa da arginare. I loro successi stanno incoraggiando altri in tutto il mondo a cercare di emularli.

Costoro hanno registrato parecchie vittorie, e anche alcuni fiaschi significativi. E ne spuntano di nuovi, a quel che sembra, ogni paio di settimane. Questi leader – e questo stile di leadership – occupano la ribalta ne Il tempo dei tiranni.

Sono leader che si stanno adattando al nuovo scenario, che stanno improvvisando nuove tattiche e ne riformulano di vecchie per aumentare la loro capacità di imporre il proprio volere al prossimo. Malgrado le enormi differenze in termini nazionali, culturali, istituzionali e ideologici tra i paesi in cui si affermano, il copione che seguono è incredibilmente simile. Jair Bolsonaro, il presidente del Brasile, e Andrés Manuel López Obrador del Messico, per esempio, sotto il profilo ideologico non potrebbero essere
più diversi, ma al contempo non potrebbero assomigliarsi di più nello stile di leadership. Il minuscolo, arretrato e povero El Salvador, in America centrale, e la mastodontica e sofisticata superpotenza che sono gli Stati Uniti non potrebbero essere più diversi come paesi, eppure Nayib Bukele e Donald Trump li hanno governati secondo strategie estremamente simili.

Qual è la ricetta? Che ingredienti prevede? E come funziona nel mondo reale? Sono questi gli interrogativi alla base di questo libro. A mio avviso, è una formula che si può riassumere in tre parole: populismo, polarizzazione e post-verità.

Le chiameremo le 3P. E quelli che le usano saranno gli autocrati 3P.

Cos’è un autocrate 3P?
Gli autocrati 3P sono leader politici che ottengono il potere tramite elezioni legittimamente democratiche per poi prefiggersi di smantellare i sistemi di controllo imposti all’esecutivo per mezzo di populismo, polarizzazione e post-verità. Via via che consolidano il loro potere, celano le proprie mire autocratiche dietro muri di riservatezza, nebbie burocratiche, sotterfugi pseudolegali, manipolazione dell’opinione pubblica e repressione di critici e oppositori.
Una volta che li si smaschera, è troppo tardi.
L’autoritarismo è un continuum. Un estremo si ritrova nei regimi totalitari come quello della Corea del Nord, in cui il potere si concentra interamente nelle mani di un dittatore dinastico che lo esercita in modo aperto e brutale.

All’estremo opposto si collocano leader democraticamente eletti con tendenze autoritarie. Gli autocrati del ventunesimo secolo partono da quest’estremo più blando e operano in modo da conservare una parvenza democratica mentre celatamente minano la democrazia.
Come fanno? Per mezzo di populismo, polarizzazione e post-verità.
Di ciascuna di queste tre P s’è scritto molto. In questa sede le integreremo tra loro, inserendole in una cornice che è il perno delle modalità con cui gli autocrati del ventunesimo secolo ottengono, esercitano e mantengono il potere.

Le peculiarità variano da un posto all’altro e da un leader all’altro – il potere è immancabilmente legato al contesto – ma le basi di tale approccio sono riconoscibili ovunque lo si adotti. Esso trascende geografie e circostanze, destabilizza le vecchie istituzioni e spalanca opportunità ai nuovi arrivati. Presa singolarmente, nessuna delle tre P basta a spiegare le mutazioni subite dal potere al giorno d’oggi. Ma se impiegate in tandem, esse riescono a contrastare le forze che tendono a frammentarlo e diluirlo.

Il populismo, fra le tre P, è probabilmente quella di cui si discute con più insistenza e quella più spesso fraintesa.

Per via del fatto che finisce in “-ismo”, spesso lo si scambia per un’ideologia, un corrispettivo di socialismo e liberalismo che concorre ad affermarsi come filosofia coerente di governo. Non lo è per niente. Al contrario, il populismo va piuttosto inteso come una strategia volta a ottenere ed esercitare il potere.

Da “Il tempo dei tiranni”, Moisés Naím, Feltrinelli, 384 pagine, 24 euro


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