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«All you can eat»: ce lo possiamo ancora permettere?

Mangia tutto quello che vuoi, insomma abbuffati: per dirla con un’espressione inglese che ormai tutti conosciamo all you can eat. Una forma di consumo, o meglio di consumismo, paradossale per un mondo che, come il nostro, si dice pronto a diventare più sostenibile. Lo si trova in diversi luoghi, in declinazioni differenti: al ristorante o in hotel con le molte formule all inclusive delle strutture turistiche, villaggi in testa. E chi è stato in una struttura ricettiva dove è possibile mangiare e bere, senza variazioni di prezzo, tutto ciò che si desidera a ogni ora del giorno e della notte, non può non averlo notato: quando non abbiamo limiti, o anche solo quando siamo di fronte a un buffet, tendiamo a consumare e sprecare molto di più di quello di cui avremmo bisogno (sì, mangiare è un bisogno).

Eppure solo nel 2011, secondo i dati della FAO, circa un terzo del cibo prodotto nel mondo, per diverse ragioni, non veniva consumato. Pazienza anche se nel 2022, sebbene il tema dello spreco alimentare sia diventato più rilevante agli occhi di tutti noi e delle istituzioni, secondo il vicedirettore di questa istituzione, Maurizio Martina, sono ancora 74 a testa i chili di cibo che ogni anno vengono sprecati a livello globale. 

L'insostenibilità del «mangia tutto quello che vuoi»

Ma gli all you can eat ce li possiamo ancora permettere se davvero abbiamo compreso che simili modelli di consumo non sono più sostenibili? «All you can eat e all inclusive non sono sinonimi: come sappiamo «il mangia tutto quello che vuoi» è presente in diversi ristoranti e, ad esempio, in alcune business lounge delle compagnie aeree» specifica Matteo Colleoni, docente di Fondamenti dei sistemi turistici e Delegato alla Sostenibilità dell'Università di Milano-Bicocca. «L’all inclusive – un tipo di offerta che comprende il trasferimento, la sistemazione e i consumi/servizi – può essere addirittura più sostenibile di altre soluzioni, nel momento in cui gestisce tutti questi elementi in modo responsabile. Il concetto invece di poter consumare tutto quello che si desidera non è in sintonia con i valori della sostenibilità: il consumo illimitato collide con l’idea di preservare e trasferire alle future generazioni ciò che il mondo ci offre».

Certo, possiamo allestire buffet sostenibili, con prodotti selezionati, a chilometro zero, e insieme a consumatori che non sanno resistere alle tentazioni, possiamo sperare che nel futuro i consumatori saranno sempre più attenti a non riempirsi il piatto di cibo che non mangeranno. Ma ci sono altre soluzioni?

Le scelte anti spreco dei villaggi

Alcune realtà del settore alberghiero si sono portate avanti su scelte più sostenibili, iniziando a introdurre misure che intendono limitare lo spreco alimentare che non deriva solo dal cibo messo nel piatto e poi non consumato, ma può, ad esempio, essere connesso al deperimento fisiologico dei beni alimentari.

Le strutture di Sandals Resorts, ad esempio, già nel 2015 hanno pensato di investire delle risorse per convertire l’olio vegetale usato nelle cucine in biocarburante con cui alimentare le imbarcazioni per le escursioni del centro immersioni. Un progetto che, nato nella struttura di St. Lucia, dovrebbe estendersi a tutte quelle presenti nella regione caraibica e che si aggiunge ad altre misure: gli sprechi organici dei pasti, ad esempio, vengono donati agli allevatori di maiali e ai rifugi per animali locali, mentre gli scarti di frutta e verdura sono utilizzati per il compostaggio nelle attività di cura dei giardini intorno ai resort.

In diversi Bravo Club, il cibo che avanza dai buffet viene dato alla mensa del personale locale, mentre dai RIU Hotels di Bahamas ci spiegano che gli accorgimenti per disincentivare lo spreco possono celarsi anche nelle piccole scelte, come quella di mettere a disposizione piatti dal diametro più contenuto (meno cibo ci sta, maggiori sono i viaggi necessari per riempirli). La pianificazione stessa dei menù, poi, può dare la precedenza a ingredienti versatili, in grado di essere utilizzati in più ricette, diminuendo la possibilità che vadano buttati.

Altre strutture hanno poi puntato a processi ispirati alla circolarità: allo Xara Palace, boutique hotel di Malta che non prevede l’all you can eat, ad esempio, si utilizzano alcuni scarti alimentari per nutrire pesci, allevati in vasche, dai quali si ottiene un concime per un orto idroponico che rifornisce alcune delle specie vegetali utilizzate nei ristoranti della struttura.

Tutti segnali che non possono che far bene alla sostenibilità delle cucine delle strutture alberghiere. Forse però servirebbe forse qualche misura più decisa per dissuadere i turisti meno rispettosi: paradossalmente quella imposta da diversi ristoranti giapponesi non è poi così illogica: ordini al buffet del villaggio turistico tre omelette e ne mangi solo una? Le altre due le paghi. Non risolverebbe nell’immediato lo spreco alimentare, ma forse scoraggerebbe chi ancora non ha capito che ogni spreco di oggi è un'ipoteca sul domani.

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