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Anno giudiziario, l’apertura a Milano (e non solo)

Il ministro della Giustizia assicura "armonia" e auspica una "coniugazione, concentrazione e assimilazione di energie" per le riforme

Davanti a una platea di autorità militari e civili nell’Aula magna del Palazzo di giustizia in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario 2023, gli alti vertici della magistratura milanese si sono confrontati sui dati dell’anno passato, sulle sfide per il futuro e sulla parola d’ordine della politica quando si parla di giustizia: le riforme. Per le quali serve uscire dal “magma fluido delle dichiarazioni demagogiche”, ha affermato il presidente della Corte di Appello, Giuseppe Ondei, per fare spazio a un “sano senso della realtà e buon senso”, perché “non è dal solo cambiamento di rito che scaturisce l’efficienza del sistema”. Le riforme, ha rimarcato, “faranno la fine della polvere al vento” se “non si occupano di alcune rilevanti criticità presenti nel nostro Paese”. Una su tutte: il numero “carente di magistrati” e “di personale amministrativo di cancelleria”. Per Ondei anche sugli “obiettivi di ampio respiro” del Pnrr, che “se realizzati potranno dare un contributo importante al raggiungimento dei traguardi”, bisogna “essere realisti”. 

Diretto l’intervento della procuratrice generale della Corte di Appello, Francesca Nanni.“Indicare la separazione delle carriere fra pubblici ministeri e magistrati giudicanti come unico e salvifico rimedio”, ha detto rivolgendosi alla politica, fra cui il sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari, giunto sotto la Madonnina in rappresentanza del Governo, “oltre a non corrispondere all’attuale realtà dei rapporti, ci sembra un atteggiamento limitato e riduttivo rispetto ai problemi, anacronistico e pericoloso”. Garantismo o giustizialismo? “Si classificano le opinioni altrui con etichette – ha rimarcato la Pg – senza approfondire il livello della discussione e sottovalutando gli effetti pericolosi su personalità meno strutturate e più deboli”.Entrambi infatti per Nanni sono “stereotipi di volta in volta sostenuti da una categoria”, che “ritiene di poterne trarre un effimero vantaggio”. “Il lavoro giudiziario – ha concluso – ne risente”. Tante le riflessioni ‘depositate’ nell’Aula magna di corso di Porta Vittoria. Il pm milanese Roberto Fontana, neo eletto al Consiglio superiore della magistratura, ha chiesto a colleghi e sistema della giustizia di chiudere una stagione e “rifuggire le logiche che hanno portato alle degenerazioni che hanno offuscato l’immagine del Csm”. “Degenerazioni – ha rincarato Fontana – derivanti da condotte non corrette ma che hanno trovato alimento in un indubbio affievolimento nella cultura della magistratura che i giudici si differenziano fra loro solo per funzioni”, in nome invece del “carrierismo”. Il presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano, Vinicio Nardo, giunto al suo ultimo anno di mandato, ha ricordato come “l’ansia di sicurezza possa farci compiere azioni che un giorno appariranno inconciliabili con l’innata ricerca di libertà dell’essere umano”. E intervenendo sul tema intercettazioni ha aggiunto che “è innegabile che da qualche tempo abbiamo cambiato le nostre abitudini: parliamo al telefono e colloquiamo, con una circospezione fino a ieri sconosciuta”. 

Cosa ha detto il ministro Nordio

Assicura “armonia” e auspica una “coniugazione, concentrazione e assimilazione di energie” per “le riforme” legate alla giustizia. Il guardasigilli Carlo Nordio, da Venezia in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, dice: “C’è un elemento che non è trattabile: l’autonomia e l’indipendenza dei magistrati”. “Ho sentito insinuazioni, in questi giorni, secondo cui ci sarebbe l’intenzione, un domani, di sottoporre un pm al potere esecutivo – afferma -, ma figuriamoci se avendo fatto il pubblico ministero per 40anni potrei solo immaginare che la mia funzione possa mai finire sottoposta al potere esecutivo”. “Abbiamo un programma di riforme che deve seguire il mandato elettorale – sottolinea -. In queste riforme la mia priorità sarebbe quella di conciliare i tre pilastri della nostra giurisdizione penale, che sono tra di loro tecnicamente incompatibili”. “Abbiamo una Costituzione nata dalla Resistenza, che è affiancata da un codice penale che risale al 1930, ai tempi di Mussolini, che gode di una certa buona salute, e un codice di procedura penale del professor Vassalli modificato e demolito più volte. Questi tre pilastri vanno armonizzati”.

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