Italy
This article was added by the user . TheWorldNews is not responsible for the content of the platform.

Antognoni: 50 anni fa il debutto a Verona. In panchina Nils Liedholm, leggenda centenaria

Due date che felicemente s’intrecciano e scatenano, in chi scrive, ricordi incancellabili: il 15 ottobre 1972, ossia cinquant’anni fa, Giancarlo Antognoni faceva il suo debutto in serie A, allo stadio di Verona. L’idea di farlo giocare venne a Nils Liedholm, grande allenatore di cui, ecco le date concatenanti, sabato 8 ottobre ricorre il centenario dalla nascita, che avvenne in una cittadina svedese, Valdemarsvik, nel 1922. Il già leggendario Liedholm, mezzo secolo fa, regalò al calcio qualcosa di straordinario: l’ingresso in serie A di un ragazo di 18 anni che, già allora, giocava guardando le stelle. Ossia con la testa alta: perchè tanto i suoi piedi, senza esser guidati dagli occhi, avrebbero mandato ugualmente il pallone dove voleva lui. Un fenomeno di cui mi ero reso conto qualche anno prima, a Coverciano, quando Antognoni arrivò, convocato da Azeglio Vicini per la nazionale juniores. Lo vide anche Egisto Pandolfini, che costrinse l’allora presidente della Fiorentina, Ugolino Ugolini, a prenderlo anche se costava caro: 700 milioni.

LIEDHOLM – Ma andiamo per ordine, riavvolgendo il nastro e partendo da Liedholm, arrivato alla Fiorentina nell’estate 1971. Preceduto da vera gloria conquistata da calciatore: campione d’Italia con il Milan e vice campione del mondo con la Svezia nella mitica finale del 1958, vinta dal Brasile di Pelè per 5-2 . L’attacco gialloverde? Garrincha, Didì, Vavà, Pelè, Zagalo. L’attacco svedese? Hamrin, Gren, Simonsson, Liedholm, Skoglund. Storia da brividi. Liedholm diceva che la Svezia avrebbe vinto quella finale se solo avesse avuto, come terzino sinistro, Bozzao della Spal. Il loro Axbom, secondo Nils, era un tipo strano che non riuscì nemmeno a vedere il suo avversario: che era Garrincha… A Firenze, quando Liedholm si presentò, c’era da ricostruire squadra e morale: l’esaltazione dello scudetto 1968-69 aveva lasciato il posto alla depressione per la serie b scampata per un colpo di stinco di Brizi (gol all’Inter), nel campionato 1970-71. Liedholm, ribattezzato Liddas da Gianni Brera, era uno spettacolo di uomo, oltre che uno spettacolo di allenatore. Parlare di lui raccontando solo vittorie e trofei sarebbe fare un torto alla sua ironia, alla sua esagerata intelligenza, alla sua magia, alla sua straripante capacità di essere un personaggio unico. Ti lasciava di stucco quando parlava di pittura, di Guernica, di Picasso o dei pittori fiamminghi. Ti faceva sbellicare quando raccontava bugie che sembravano fatti veri: per esempio che si era tolto le tonsille da solo, con un colpo di tosse. Seguire i suoi allenamenti era divertimento puro, specie quando lasciava nelle mani dei portieri la decisione se finire o continuare. Diceva: “Faccio tre tiri, se li pari tutti andiamo a casa subito…”. Succedeva quasi sempre che i primi due venivano parati in tuffo, mentre il terzo s’infilava di precisione nel sette. I giocatori che si erano avviati alla doccia, sperando di aver chiuso la fatica quotidiana, dovevano tornare precipitosamente indietro.

ANTOGNONI – Conobbi, Giancarlo Antognoni, ripeto, a Coverciano durante la convocazione dell’Italia juniores del 1971, in un contesto dove dovevamo crescere tutti: Giancarlo come calciatore, Azeglio Vicini come allenatore (diventò poi il ct della Nazionale del non esaltante terzo posto al Mondiale del ’90) e io come giornalista. Un giorno Giancarlo mi chiese anche se lo accompagnavo alla stazione con la mia prima ‘500. Passato alla Fiorentina nell’estate del 1972, lo incontravo agli allenamenti. Chiedevo: “Quando giocherai in Serie A?”. Lui allargava le braccia. Gli ripetei la domanda, alcune settimane dopo, il 4 ottobre, in un albergone di Zenica, Bosnia Erzedgovina, ancora Jugoslavia, prima della finale di Mitropa Cup contro il Celik. Stessa risposta: “Boh”. Non giocò nemmeno in quell’occasione. Il numero 10 ce l’aveva De Sisti, capitano e vice camèione del mondo con l’Italia, a Città del Messico, nel 1970. L’uomo da tener d’occhio. O da mettere “fuori uso” come fece un ruvido mediano della squadra di casa dopo pochi minuti di gioco. La partita andò male soprattutto per colpa di un arbitro austriaco, tale Marshall, che non punì con l’espulsione il rude mediano, nè concesse un gol validissimo a Clerici (fuorigioco inesistente, come testimoniò il replay e scrissi io), ma si preoccupò di concedere, nel finale, un gol non limpidissimo. Da cronista alla prima trasferta all’estero (inviato di “Stadio”, grazie ancora mitico direttore Dino Biondi) ero molto teso. Fu Liedholm stesso a dettarmi, mentre ero al telefono con gli stenografi di Bologna, le sue dichiarazioni. Un maestro anche per me. Ma non voglio star qui a recriminare sul risultato di quella vecchia partita: che però fu decisiva per il destino di Antognoni. L’infortunio a De Sisti (ginocchio) costrinse Liedholm a cercare soluzioni per la ripresa del campionato: appunto il fatidico 15 ottobre 1972 a Verona. Pochi giorni prima, a Firenze, davanti allo stadio, incrociai di nuovo Antognoni. Di nuovo domandai: “Allora, giochi?”. Non rispose, ma gli brillavano gli occhi. E Liedholm? Raccontò le sue solite storie, tipo la volta che vinse un campionato di sci senza uno scarpone… Ma a Verona affidò la maglia numero 8 ad Antognoni. Che poi avrebbe ipotecato per sempre la 10. Ed ecco il tabellino di quella magica partita:

3. giornata – 15 ottobre 1972
HELLAS VERONAFIORENTINA= 1 : 2 (0 : 2 )
HELLAS VERONA : Pizzaballa, Nanni, Sirena, Busatta, Batistoni, Mascalaito, Bergamaschi, Mascetti, (46’ Zigoni), Jacomuzzi, Maioli, Luppi., All. Cadè.,
FIORENTINA : Superchi, Galdiolo, Longoni, Scala N., Brizi, Orlandini, Perego M., Antognoni, Clerici, Merlo C., Sormani., All. Liedholm.,
ARBITRO Gonella di Torino.
GOL 6’ aut. Mascalaito 29’ Clerici 82’ Zigoni.

Tutto qui? No. Resta un rammarico: che la dirigenza della Fiorentina di oggi non celebri Liedholm e la ricorrenza del debutto di Antognoni. Vuoto di memoria? Non so, ma sono certo di un concetto racchiuso in una celebre frase: “Abbiamo bisogno di sentire il profumo del passato per dare il giusto valore al presente”.