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Banana Yoshimoto: «Mio padre mi ha parlato dall'aldilà»

Volevo solo capire fino a che punto il suo cuore possiede l’elasticità necessaria ad accogliere l’ignoto». Ci sono parole che risuonano dentro di noi per lungo tempo, anche quando il libro lo chiudi, lo dimentichi in borsa, lo rimetti nella libreria o lo presti a qualcuno. Dopo gli anni della pandemia, in cui l’ignoto è stato l’invitato a cena di tutti, certe frasi sono ancora più potenti. Da tempo ci chiediamo quanto il nostro cuore si sia allargato o si sia ristretto. L’ultimo romanzo di Banana Yoshimoto, Le strane storie di Fukiage, arriva leggero, e colpisce quando meno te lo aspetti. Mahoko, come la chiamano familiari e amici – «il mio nome d’arte è talmente particolare che nessuno mi ha mai dato altri nomignoli» –, dice che, tra i suoi oltre 50 romanzi, è il suo preferito. Ma non bisogna cascarci, perché subito specifica: «Indico sempre l’opera più recente: rappresenta il punto in cui mi trovo, quello dove mi ha portato 
il mio percorso». 

La copertina di Le strane storie di Fukiage

La copertina di Le strane storie di Fukiage (Feltrinelli, pagg. 160, euro 15)

«Volevo solo capire fino a che punto il suo cuore possiede l’elasticità necessaria ad accogliere l’ignoto»: Mimi, la protagonista, si fa guidare da una veggente. Anche lei crede a queste persone? 
«Un’amica, che ora non c’è più, era veggente. Era capace di indovinare come se nulla fosse cose che non le avevo mai detto. Glielo assicuro: non ero plagiata. Sapeva dirmi chi avrei trovato in un determinato luogo e che vestiti avrebbe avuto indosso. E mi ha guidato attraverso il mio inconscio, aiutandomi a capire cosa provassi realmente riguardo a ciò che mi capitava. È così che mi sono convinta che, forse, ai veggenti si può anche credere. Quindi per rispondere alla sua domanda: sì, ci credo».

Non controlliamo tutto quello che ci succede, ma lei sembra insistere molto sul concetto 
di speranza: la speranza, il mantenersi positivi, aiuta.
«Credo che stiamo vivendo un periodo terribile, e non mi riferisco solo al coronavirus. È come se tutto ciò che temevamo si stesse realizzando. Credo anche, però, che sia vero che finché c’è vita c’è speranza, e questo ci aiuta, almeno in una certa misura, a preservare la nostra libertà. È il messaggio che ho cercato di veicolare».

Suo padre Takaaki, intellettuale pacifista e attivista anti-nucleare, è morto appena dopo l’anniversario di Fukushima. Che cosa direbbe delle guerre e dei disastri ambientali di oggi?
«Riguardo a Fukushima mio padre una volta mi ha detto: “Sono morte così tante persone che prendersi cura della salute mentale dei superstiti sarà molto più difficile di quanto immaginiamo, e il trauma si presenterà in mille modi diversi”. E aveva ragione. Mi ha insegnato che i problemi ambientali che abbiamo sono il tentativo del Pianeta di mantenere un equilibrio, e la colpa di tutto è dell’uomo. Abitiamo 
in un luogo che non ci appartiene senza mostrare il minimo rispetto per ciò che ci circonda».

Su questo non ha speranza?
«No. Temo che non ci sia nulla da fare».

Nel libro ci sono alieni che non mangiano animali. Lei sottolinea che mangiare carne è un atto di crudeltà. È vegana?
«Quello che voglio dire è che sì, è un atto crudele, ma anche necessario. Io sono una consumatrice di carne. Credo che gli esseri umani non siano ancora arrivati al punto di poter fare a meno della carne. Personalmente cerco di evitare il consumo di additivi. E di seguire una dieta varia e ricca di prodotti freschi».

Dopo il disastro ambientale di Fukushima è diventato popolare il «telefono del vento» a Otsuchi, per parlare con i morti. Agli occidentali piace molto: lei che cosa ne pensa?
«Non ci sono mai stata. Credo che sia bello quando un’iniziativa personale diventa motivo di conforto per tante persone, tuttavia l’idea di parlare al telefono con i morti ha un che di inquietante, secondo me».

Conversa mai con suo padre? Nel romanzo è molto presente il tema della comunicazione 
con le persone che non ci sono più, attraverso segni e sogni. 
«Una sola volta mi è parso di sentire la sua voce. Mi diceva cose banalissime. Facevo le pulizie e ho sentito mio padre dire: “Devo ammettere che ti prendi cura della casa, mi hai sorpreso”. Sono rimasta di stucco, mi sarei aspettata un suggerimento di scrittura, quindi mi sono messa a ridere e ho risposto: “Quindi sei solo venuto a curiosare in casa mia?”».