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'Condono' calcio, il no è giusto ma rischia di cadere il castello di carte

Le società di calcio come le altre imprese. Nessuna corsia preferenziale e nessuno sconto. No, quindi, al 'condono' e a una rateizzazione ad hoc per i debiti congelati, a maggior ragione per la serie A. Il no del governo alle proposte di modifica al Decreto Aiuti è netto. La decisione annunciata dal ministro per lo Sport e i giovani, Andrea Abodi, e argomentata nel corso di un question time alla Camera, è corretta, giusta da un punto di vista dell'equità.

Resta però il tema di fondo. Il calcio, che è andato sistematicamente oltre le sue possibilità, bruciando troppo denaro e spostando sempre in avanti la resa dei conti con le esigenze di bilancio, non è più in grado di reggere. La legge già prevede per tutti i contribuenti la facoltà di rateizzare fino a 5 anni, ma con una sanzione del 10%. Evidentemente, per il calcio non basta. Il prezzo da pagare è alto, considerato che la mole di debiti congelati fino al 22 dicembre supera gli 800 milioni di euro tra ritenute Irpef, contributi e Iva, e che la maggior parte, tra 500 e 600 milioni, riguarda la Serie A.

La richiesta che arriva dal mondo del calcio è sempre la stessa. 'Salvateci, perché siamo il calcio'. Le diverse proposte di modifica puntano tutte alla stessa soluzione: misure specifiche per pagare i debiti in modo "ragionevole e proporzionato", per usare le parole del presidente della Lega Calcio Lorenzo Casini.

Nella risposta di oggi di Abodi c'è, invece, un approccio diverso. "Ci rendiamo conto dell'importanza di questo settore dal punto di vista della socialità, della comunicazione, dell'economia sociale che rappresenta, ma non riteniamo ci siano le condizioni, e saremo male interpretati e mal compresi dall'opinione pubblica, di mettere a disposizione strumenti che siano esclusivi del settore". Il problema, però, resta. Perché il calcio, per colpa del calcio sia chiaro, difficilmente può salvarsi se viene trattato come un'industria 'normale'.

Se veramente si andrà nella direzione indicata dal ministro per lo Sport, l'unica strada percorribile è un sostanziale ridimensionamento. Sono ancora le parole di Abodi a spiegare perché. "Ci sono società virtuose che pagano, in maniera puntuale tutti i loro adempimenti nei confronti dei fornitori, dei tesserati, dell'erario e delle banche, investono in infrastrutture e magari fanno l'acquisto di un giocatore in meno per rispettare le regole, mentre altri hanno un paradigma gestionale diverso e noi dobbiamo garantire i principi, i valori". Giusto, ma per molti difficilmente sostenibile. Non è detto che sia un male, ma bisogna prepararsi. Così il castello di carte rischia di venire giù. (di Fabio Insenga)