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Credit Suisse, per il mercato ora rischia davvero. Le assicurazioni contro il fallimento ai massimi dal 2009

MILANO - Non accenna a placarsi il nervosismo intorno alle sorti del Credit Suisse. Tanto che i top manager del gruppo, secondo quanto riporta il Financial Times hanno passato il fine settimana al telefono, per rassicurare grandi clienti, controparti e investitori che la banca è solida, per capitale e liquidità.

Il quadro era peggiorato venerdì scorso, quando l'indicatore-chiave della fragilità del gruppo, il costo del Credit Default Swap (Cds) ha chiuso a quota 255 punti, rispetto ai 55 di inizio anno: è la misura di quanto costa assicurarsi sui mercati finanziari dal rischio default della banca (che nel recente passato ha dovuto affrontare scandali e dimissioni a catena), ed è ai valori più alti dal 2009.

Venerdì scorso era già intervenuto il nuovo amministratore delegato, Ulrich Koerner, in carica da luglio scorso, che ha ammesso che la banca attraversa "una fase critica" e ha dato appuntamento al 27 ottobre, quando sarà presentato un nuovo piano strategico, ma ha anche aggiunto che la posizione di capitale e di liquidità della banca non mostrano segnali di difficoltà. Tuttavia gli analisti, in particolare quelli del Kbw, ritengono che l'istituto elvetico abbia bisogno di un aumento di capitale da 4 miliardi di franchi svizzeri (4 miliardi di dollari), oltre alla vendita di asset e alla ristrutturazione delle sue attività. Un ricorso così massiccio avrebbe effetti molto diluitivi sugli azionisti, dato che la capitalizzazione di Borsa è attualmente scesa a 10 miliardi di franchi svizzeri, mentre solo nel marzo del 2021 valeva più di 30 miliardi.

La comunità finanziaria ha ipotizzato che l'istituto possa varare un piano che includa tagli per migliaia di dipendenti e la ristrutturazione in tre divisioni, inclusa la creazione di una "bad bank". La stessa banca la scorsa settimana non ha escluso di poter vendere la sua divisione di prodotti cartolarizzati, mentre sta considerando la possibilità di cedere le attività di asset management dell'America Latina, con l'esclusione del Brasile, ma anche di rispolverare il vecchio brand First Boston.

La banca, che annuncerà a fine mese i risultati relativi al terzo trimestre, ha chiuso il secondo trimestre con una perdita netta di 1,59 miliardi di franchi (contro un utile di 253 milioni l'anno precedente) mentre il primo trimestre aveva registrato un rosso di 273 milioni.