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Cyberbullismo, la storia di Massimo: "Mi chiamavano cane e nessuno mi ha difeso, grazie a mio papà ho trovato la forza di denunciare"

"Ragazzi, non aspettate a denunciare, perché se state zitti vincono loro". È il consiglio di Massimo, un ragazzo romano che ha trovato la forza di ribellarsi ai suoi aguzzini, in occasione della Giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo. Un tema sempre più sentito anche in Italia, stando alla sesta rilevazione 2022 del Sistema di sorveglianza Hbsc Italia, coordinato dall'Istituto superiore di sanità: il 15% degli adolescenti ha dichiarato di essere stato vittima, almeno una volta, di atti di bullismo e di cyberbullismo. Più frequenti nelle ragazze e tra i più giovani, con proporzioni di circa il 20% negli 11enni che progressivamente si riducono al 10% nei più grandi. L'indagine, che ha coinvolto un campione rappresentativo in tutte le regioni di giovani di 11, 13, 15 anni, ha fotografato non solo bullismo e cyberbullismo, ma anche molti altri comportamenti degli adolescenti nel periodo post pandemico. La storia di Massimo, che Repubblica ha intervistato (ma il nome è di fantasia per proteggere la sua privacy, ndr), un ragazzo romano che ha trovato il coraggio di denunciare dopo aver subito angherie di ogni sorta, è l'emblema del bene che vince sulla violenza dei bulli.

Massimo, come è cominciato il tuo calvario?

"Al secondo giorno di scuola. Ero al primo anno di un istituto tecnico di Roma, appena arrivato dalla scuola media, e mi sono seduto in classe in un posto in cui non avrei dovuto. Il mio compagno mi si avvicinò e mi disse che quel posto era suo e dovevo smammare. Da quel momento lui e altri 4 del suo gruppo mi hanno perseguitato".

In che modo?

"Inizialmente sulla chat della classe. Hanno iniziato a chiamarmi cane, a insultarmi e darmi ordini. Tipo che dovevo mandargli i compiti altrimenti il giorno dopo a scuola me le avrebbero date di santa ragione".

Nella chat erano presenti tutti i compagni di classe, qualcuno ti ha difeso?

"No, ognuno si faceva gli affari suoi".

Cos'altro è successo?

"Al cambio dell'ora, quando ci spostavamo da una classe all'altra, mi davano schiaffi in testa e spinte. Io non rimanevo zitto, gli dicevo di smetterla, ma loro non la smettevano mai. È stato un crescendo, fino a quando mi hanno rubato 5 euro dallo zaino e mi hanno detto che dovevo stare zitto. Io zitto non sono stato e sono andato a dirlo alla professoressa. Da quel momento non ho avuto più pace. Mi scrivevano infame, cane in chat o mi mandavano video con loro con il manganello dicendo: 'Ci vediamo domani a scuola'. Un inferno".

Per quanto tempo è andata avanti questa situazione?

"Per un mese. Poi mi sono confidato con mia madre, che ha chiesto al mio fratello maggiore di intervenire. Lui mi ha preso il telenonino e ha preso le mie difese in chat. Io stavo malissimo e avevo anche paura di quello che sarebbe successo dopo a scuola, dove mio fratello non c'era. Così mio padre è andato a parlare con la preside e io per due settimane sono rimasto a casa. Dato che la preside non aveva preso nessun provvedimento contro di loro, con mio padre abbiamo deciso di andare dalla polizia postale e di denunciarli".

Come ti sei sentito in quel momento?

"Libero. Ho sentito tanto sollievo. Ora ho cambiato scuola, loro stanno seguendo un programma di riabilitazione psicologica e io non voglio saperne più niente di loro. Uno ha provato a cercarmi ma l'ho bloccato. Non ho niente da dirgli, non provo rabbia ma indifferenza".

Dopo questa esperienza hai consigli da dare a chi subisce violenza da bulli?

"Sì: di non aspettare troppo tempo come ho fatto io, ma di raccontare subito a una persona di fiducia, un familiare o un amico, quello che si sta subendo. Perché nel torto sono loro, non chi è vittima di queste ingiustizie. E poi di non aver paura di denunciare alla polizia, perché questi bulli continuano a sentirsi forti quando nessuno dice niente. E invece devono capire che c'è qualcuno più forte di loro, come la polizia, la legge, lo Stato, che li rimette in riga. Posso dire un'ultima cosa?".

Certo.

"I presidi devono essere più dalla parte di chi subisce e prendere subito provvedimenti. Invece, per quello che ho visto io, sono stati lasciati fare indisturbati e questo non va bene. E poi anche i miei coetanei che leggevano quei messaggi in chat e sono rimasti zitti: trovate il coraggio di stare dalla parte giusta perché, se restate in silenzio, vincono loro. E ieri è capitato a me ma domani potrebbe capitare a voi. Essere soli non è una bella sensazione".