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Da Olivetti a Leonardo: gli italiani, un popolo di inventori

in foto Il Presidente Della Repubblica Sergio Mattarella Al Tecnopolo Cineca con Francesco Ubertini, Presidente Cineca ed Anna Maria Bernini (da Imagoeconomica)

Per le notizie che riportano eventi che definire spiacevoli è poco, gli italiani non hanno che l’imbarazzo della scelta. Non di meno accade negli altri paesi della EU e, con gli aggiustamenti dovuti all’ubicazione, in molte altre realtà sociali del pianeta. Per il Paese si è comunque concretata anche qualcosa di cui essere soddisfatti e che fa azzardare l’ipotesi, seppur con cautela, che stia iniziando a avvicinarsi un domani di riscatto e di rivincita sulle attuali avversità. È successo che giovedì, presente il Capo dello Stato Mattarella, al Tecnopolo, operante in provincia di Bologna, il COMISA ha iniziato a far lavorare il supercomputer Leonardo, quarto al mondo tra i super computer. Il COMISA è un consorzio di settanta università italiane attivo da una decina di anni. Prima che mettesse a punto il gigante cibernetico appena citato, quel consorzio aveva già dato prova, a metà dello scorso decennio, della sua alta connotazione tecnica e scientifica, realizzando Marconi, un computer di altro genere, anch’esso super potente. A suo tempo lo stesso catalizzó l’attenzione del mondo scientifico per la grande capacità di calcolo di cui è dotato, che lo fa eccellere ancora oggi nella sua categoria. Particolare rilevante: la realizzazione di quella creazione dell’ ingegno appena completata è stata finanziata per metà da Roma e per l’altra metà da Bruxelles. Fin qui una bella storia che, in un momento cupo e fosco, conferisce certamente una nota luminosa alla Penisola. Quella stessa che è variamente assortita di situazioni spiacevoli che continuano a trattenere il morale degli italiani nelle scarpe. Approfondendo l’evento, è bene ricordare quanto è accaduto dentro ai confini dello Stivale molto tempo fa. Nei primi anni ’60 in quel di Ivrea, città dell’ operoso Piemonte, un ingegnere di larghe vedute era proprietario e alla guida di un’ azienda che produceva macchine per scrivere. La Olivetti, questo il nome di quella realtà industriale, apparteneva alla famiglia da cui prendeva il nome. L’ingegner Adriano, figlio del fondatore, la conduceva egregiamente e faceva  grandi progetti riguardo al suo futuro. Difatti ,all’inizio degli anni ’60, egli intuì che per il calcolo aritmetico si sarebbe potuto andare ben oltre le prestazioni della pur efficiente Olivetti Divisumma. Era essa una calcolatrice meccanica incredibilmente robusta, tanto da essere ancora in funzione, oltre che in patria, anche in altre parti meno sviluppate del mondo. All’epoca si era da poco diffuso l’utilizzo industriale del transistor, inventato negli USA nella seconda metà  degli anni ’40, destinato a sostituire la meno potente valvola. Nelle intenzioni degli inventori, esso avrebbe permesso di ridurre  l’ingombro e aumentare le performance di vari apparecchi elettrici come radio, TV e altri, già ben diffusi oltreoceano. Olivetti intuì che il suo uso potesse essere utile anche a modernizzare la vecchia calcolatrice che, con l’occasione, divenne il calcolatore elettronico. Quindi il computer, come è inteso ancora oggi, ha origini indubbiamente italiane. Che poi altre aziende, ubicate oltre oceano, negli USA, o in un altro oceano, il Pacifico, in Cina, siano andate ben oltre, è un altro discorso. Altrettanto diversamente sarebbe andata la vicenda di quella azienda italiana che dovette rassegnarsi al ridimensionamento dei suoi programmi e accettare la sgradita realtà che un sogno, quello dell’ Ingegnere di Ivrea, era svanito. Quell’imprenditore fu trovato morto nello scompartimento di un treno. A causarne la fine  ufficialmente sarebbe stato, con molta riserve, un infarto. In realtà furono fatte all’epoca varie congetture di un probabile omicidio, mai smentite. Chi tace acconsente, dicono nel villaggio, quindi il caso, in teoria, sarebbe da considerare ancora  irrisolto. Quanto appena narrato vuole essere il prologo di una considerazione logica e importante: l’Italia si sta riappropriando del suo genius letteralmente trafugato.Vale a dire che con Leonardo, il supercomputer ai primi posti della classificazione dei suoi omologhi super potenti e super veloci, l’ Italia ha ripreso il posto che le compete in quel settore produttivo, quindi sul podio insieme a USA e Cina. Con una caratteristica singolare: tale risultato è frutto di un ingegno e di una creatività molto particolari. Sono esse alcune caratteristiche peculiari, insieme a altre, del COMISA, un consorzio di settanta università. Si può quindi affermare senza tema di smentita che Leonardo è un prodotto della scienza e della tecnica di tipo scolastico, quindi in gran parte pubblico. Tutto ciò dà un’Idea del livello qualitativo della scuola italiana, molto spesso bistrattata, sia all’ interno del Paese, sia altrove. In un momento di avversità come quello attuale, un risultato del genere cade a puntino ed è particolarmente significativo. La sua importanza va considerata innanzitutto in termini di ritorno economico, che comunque è fondamentale anche perché la ricerca possa continuare. In più dà una smentita clamorosa a chi, con disfattismo preconcetto, sostiene che, con l’avvio della pandemia, il progresso in Italia avrebbe iniziato un vero e proprio periodo sabbatico che ancora durerebbe. Quanto innanzi riportato evidenzia l’esatto contrario. Il geniaccio italico è sveglio e operativo, quindi in piena attività. Con l’ augurio che si ripeta, per gli italiani e anche per il resto dell’ umanità, quanto accadde a due anziani agricoltori che furono sorpresi dal buio della notte mentre erano ancora nei campi. A quello che era più che preoccupato per la situazione, l’altro disse che il posto dove si trovavano era lo stesso dove lavoravano, quindi ben a loro ben noto. Aggiungendo testualmente che pertanto, prima o poi, sarebbero “usciti a via”. Così fu per loro e così sarà anche per gli italiani. A una condizione: che non si arrendano alle avversità, scendendo a compromessi con loro stessi.