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Davigo difende Mani Pulite a Mantova: «Non fu un nostro complotto»

GAZOLDO DEGLI IPPOLITI. Mani pulite è finita e non potrebbe ripresentarsi. E non perché sia stata debellata la corruzione. La ragione la spiega a chiare lettere Piercamillo Davigo: «Perché non ci sarà più l'effetto domino di allora, quando la rete di scambio agiva su tutt'Italia, tranne al Sud dove lo faceva la mafia. Con l'arrivo delle inchieste a Roma il sistema è collassato, oggi gli scambi sono in tanti diversi centri di potere occulti tra faccendieri, mafia, imprese e le inchieste nascono e finiscono lì, senza che vi possa essere una dimensione nazionale delle inchieste».

A trent’anni da Mani Pulite la rassegna “Raccontiamoci le mafie” ha chiamato a parlare di quella epocale esperienza l'ex magistrato del pool che negli anni ’90 scoperchiò Tangentopoli. Assieme a lui, nella villa comunale di Gazoldo degli Ippoliti, introdotti dal sindaco Nicola Leoni, una storica e un politologo, Simona Colarizi, docente di storia contemporanea a La Sapienza di Roma, e Alberto Vannucci, scrittore e docente di scienza politica nell'ateneo di Pisa.

Nel dialogo a tre voci è più volte comparso il tema controverso della politicizzazione della magistratura nella vicenda giudiziaria che ha archiviato la Prima Repubblica. Il giornalista Mario Portanova, moderatore del dibattito, lo ripropone in modo soft: «Ma nella pausa caffè, tra di voi, vi parlavate, vi dicevate che stavate facendo crollare un sistema?».

Davigo su questo punto è fermo: «Sì, ma non sotto il profilo della consapevolezza: non ci saremmo mai immaginati che da un arresto (quello di Mario Chiesa,ndr) ne scattassero 4.200: questo non può essere un complotto della magistratura. In quegli anni a Milano tutti i partiti, nessuno escluso, avevano un sistema percentuale per spartirsi le tangenti, un sistema così sofisticato che eravamo sconcertati».

E poi l'oggi: «Quel sistema è stato toccato solo in parte e non è deceduto – chiarisce Davigo – la tragedia italiana è che tanta parte della società fa il tifo per questo, che fa somigliare larga parte del sistema a un’organizzazione criminale». Una predisposizione, quella italiana, che ben distante dal nascere con la data simbolo del 17 febbraio 1992, con l'arresto in flagranza di reato delmariuolodella Baggina, parte da lontano.

Lo spiega Colarizi, ricordando che lo stato di salute del sistema inizia a declinare a metà degli anni ’70, quando viene normato il sistema di finanziamento pubblico dei partiti, quando quasi il 40% del mondo economico era controllato dallo Stato. Esplode la prima tangentopoli che dura un ventennio (dallo scandalo petroli ai fondi neri dell'Iri), monta la protesta dei movimenti studenteschi, nasce un’ansia di rinnovamento che sfocia da un lato nel terrorismo e dall'altro vede chi protestava occupare poi posti di potere: «Il 1992 è stato il culmine di un sistema. La magistratura, che ha registrato molte vittime del terrorismo e ha allestito il maxi-processo alla mafia, guadagna la fiducia della società e la politica la perde. Ma è stato creato un falso mito: che la società civile sia sana. Non lo era, corrotta invece da piccole illegalità. È questa contrapposizione che ha creato i populismi di oggi».

Di consociativismo occulto parla anche il politologo Vannucci che ripercorre le tappe di Mani Pulite e punta l'indice sui partiti coinvolti: «L'inchiesta avrebbe ferito a morte, avviando la cosiddetta Seconda Repubblica, quei partiti che si ritenevano di massa ma questa è una rappresentazione illusoria: quei partiti avevano perso la capacità di intercettare i bisogni dei cittadini, sembravano grandi ma erano corrosi dall'interno, il simulacro di loro stessi».

E infine un parallelo con oggi: «Si sono rovesciati i rapporti di forza – prosegue Vannucci – un tempo gli imprenditori sgomitavano per avere la protezione dei partiti e per avere gli appalti; oggi sono gli attori politici che fanno a gara per entrare nelle grazie dell'imprenditoria, perché è questo che può garantire la loro sopravvivenza. Dovremmo chiederci perché l'ultima campagna elettorale è stata molto più dispendiosa di quanto i miseri bilanci dei partiti possano permettere».

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