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Denis Urubko a Belluno per il Festival Oltre le Vette: storia dello scalatore che dal K2 venne portato sul Nanga Parbat per salvare Elisabeth Revol

Foto di E. Revol

BELLUNO. Sabato (ore 21) nell'ambito del festival Oltre le Vette, al teatro comunale di Belluno interverrà Denis Urubko. Nel mondo dell'alpinismo Urbuko è conosciutissimo. Scalatore russo naturalizzato polacco già 13 anni fa è divenuto il quindicesimo uomo ad aver salito tutti i quattordici ottomila ed il nono ad averli scalati senza ossigeno.

Di lui ci parla Pietro Lacasella blogger di Alto-Rilievo/voci di montagna e collaboratore de il Dolomiti.

Il mondo dell'alpinismo è spesso velato da invidie e rancori. Ciononostante gli alpinisti sono periodicamente capaci di riscattarsi, offrendo storie di grande umanità. Episodi di altruismo in grado di elargire all'attività un significato profondo.

Sono trascorsi quasi cinque anni da quando Tomek Mackiewicz ed Elisabeth Revol riuscirono a compiere la seconda salita invernale del Nanga Parbat. Se l'impresa per Elisabeth acquisì un valore simbolico (fu la prima donna a toccare la vetta del Nanga durante la stagione più fredda dell'anno), per Tomek era invece il coronamento di un sogno, del suo desiderio più intimo.

Ma in montagna, come tutti sanno, non si può festeggiare finché il terreno non torna ad adagiarsi orizzontalmente. Durante la discesa Tomek accusa un problema alla vista. Elisabeth lo aiuta finché riesce, ma presto il polacco smarrisce le forze per proseguire. Il tempo scorre e bisogna perdere quota per rincorrere l'ossigeno e la vita. Tomek non ce la fa. Elisabeth è costretta a lasciare per sempre l'amico. 

Nel frattempo viene avviata la macchina dei soccorsi. Un elicottero preleva dal K2 Denis Urubko e Adam Bielecki. Ricordo molto bene le fasi concitate di quei momenti: i due polacchi salivano con una rapidità impressionante; Elisabeth, dopo aver passato una notte all'addiaccio, riesce a raggiungere il campo a 6300metri. Qui viene raggiunta e portata in salvo.

L'operazione di salvataggio fu una vera impresa: l'alpinista francese fu raggiunta di notte, in sole 12 ore.  In molti a quel punto si chiesero, con tono accusatorio, che senso ha mettere a rischio la propria vita per salire delle rocce inanimate. In effetti l'alpinismo è socialmente accettato solo quando fila tutto liscio. Altrimenti è un feticcio di pochi squilibrati.

Che senso ha, quindi? Impossibile rispondere, perché l'alpinismo non è solo azione, ma è anche e soprattutto emozione, e come tutte le emozioni è difficile da trattare con razionalità. Certo è che fino a quando le montagne continueranno ad emozionare, a stimolare i sentimenti, i tarli non riusciranno mai a eroderlo