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Elon Musk, Trump e la sfida tecnologica tra Usa e Cina: il consulente di Obama e Clinton, Alec Ross a il Dolomiti. “Trento? Punto di riferimento per l’innovazione in Italia”

TRENTO. Dalle tensioni politiche (e sociali) negli Stati Uniti fino al futuro della tecnologia ed alla sfida rappresentata in questo settore dalla Cina: sono molti gli argomenti che Alec Ross, per anni consulente per l'innovazione di Hillary Clinton e Barack Obama ed autore del best-seller a livello mondiale "I Furiosi Anni Venti” (Feltrinelli), ha toccato insieme a il Dolomiti in occasione della masterclass che l'esperto (Senior Fellow alla Johns Hopkins University e alla Columbia University e Visiting professor alla Bologna Business School) terrà in mattinata a Mezzocorona. "Costruttori di futuro, il tempo del coraggio. Tecnologia: un cambio di programma per nuovi obiettivi" il titolo dell'evento, nel corso del quale Cross dialogherà con Paolo Traverso, direttore della Strategia di marketing e di Sviluppo Business della Fondazione Bruno Kessler.

Lei è stato consulente per l’innovazione di Hillary Clinton e coordinatore del comitato tecnologia e media durante la campagna presidenziale per Obama: quanto è cambiato negli ultimi anni il rapporto tra la politica americana e i social media? Come si inserisce in questo paradigma la recente (e discussa) acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk?

Sono cambiate molte cose da quando ho gestito la politica tecnologica per la campagna di Obama nel 2007 e 2008. I social media sono passati dall’essere uno strumento per costruire cose al distruggerle.

Una situazione esacerbata dall’acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk, un tecno-utopista con una vena libertaria che crede nel potere liberatorio della tecnologia senza regolamentazioni. Quando dice “l’uccello è stato liberato” intende dire che Twitter (rappresentato da un tipo di volatile, l’uccello azzurro di montagna, originario della Costa occidentale degli Stati Uniti) sarà ora uno spazio in gran parte senza limiti o regole. Elon Musk considera le regole e i regolamenti come gabbie. In pratica, ciò significa che Twitter sarà uno spazio più aperto, più arrabbiato e senza moderazione, incline alla radicalizzazione e alla disinformazione. Ho più di 300mila follower su Twitter, ma ho cancellato tutti i miei tweet, retweet e like e ora osserverò cosa succederà alla piattaforma.

Donald Trump ha da poco annunciato la sua ricandidatura alla Casa Bianca mentre gli Stati Uniti sembrano più polarizzati che mai: la spaccatura tra i due ‘schieramenti’ è destinata ad aumentare? C’è il rischio di un nuovo 6 gennaio nei prossimi anni?

Bisogna risalire alla Guerra Civile negli anni ’60 dell’Ottocento per tornare ad un periodo nel quale gli Stati Uniti sono stati così divisi. Sono molto triste nel dire che c’è un grande rischio che si verifichino altri atti di violenza come quelli ai quali abbiamo assistito il 6 gennaio. Tra le 74 milioni di persone che nel 2020 hanno votato per Trump, probabilmente 20 milioni sono radicalizzate. Sono molto lontane dal ‘mainstream’.

Quali sono in questa fase alcuni nomi papabili, escluso il presidente Biden, tra i Democratici per sfidare i Repubblicani nel 2024?

In questo momento tutti i Democratici stanno rimanendo in secondo piano, vista l’intenzione espressa da Biden di ricandidarsi nuovamente alla presidenza nel 2024. Questo ha ‘congelato’ gli altri probabili candidati. Se Biden decidesse di non candidarsi, direi di “aspettarsi l’inaspettato”. Grazie a Internet e ai social media, una persona, anche un politico, può passare dall’essere sconosciuta al diventare una celebrità in due settimane. Le tradizionali strutture dei partiti sono meno potenti. Non sarei sorpreso se la persona che succederà a Biden tra i Democratici (quando succederà) dovesse essere qualcuno di non molto conosciuto.

Cambiando argomento e parlando di tecnologia, negli ultimi giorni in Italia è stato inaugurato il supercomputer Leonardo: perché oggi questi strumenti sono sempre più strategici? Come si posiziona l’Italia in questo ambito?

Ci sono punti di forza e di debolezza. Uno studio per il quale sono stato consulente scientifico, pubblicato da The European House – Ambrosetti e Microsoft, ha dimostrato che l’Italia sta facendo un pessimo lavoro nell’educare un numero sufficiente di studenti nelle competenze digitali. È più facile imparare il greco e il latino a scuola che l’informatica. È un disastro.

Ci sono però grandi punti di forza, come il supercomputer Leonardo, che ha la capacità di elaborare dati a un livello di classe mondiale. La terra era la materia prima dell’era agricola, il ferro quella dell’era industriale. I dati sono la materia prima dell’economia di oggi e di domani. Avere una capacità di supercalcolo come Leonardo rende l’Italia rilevante: significa che è disponibile la materia prima dalla quale possono emergere nuove ricerche ed applicazioni commerciali.

A livello tecnologico Trento con i suoi centri di ricerca rimane un’eccellenza a livello nazionale? Quali binari bisognerebbe seguire secondo lei per quanto riguarda gli investimenti per i prossimi anni?

Trento è un punto di riferimento per tutta l’Italia. Non potrei essere più colpito da ciò che sta accadendo a livello accademico, il che a sua volta crea forti opportunità di commercializzazione.

In termini di allocazione dei fondi per la ricerca, incoraggerei l’apertura, senza essere troppo ‘ristretti’. Le innovazioni rivoluzionarie sono prodotte negli ambienti di ricerca più aperti. La parola chiave qui è “libertà”. Abbiamo bisogno di un ambiente di ricerca e imprenditoriale che sia libero di immaginare e inventare le nostre innovazioni future.

Mentre le tensioni tra il mondo Occidentale e la Russia sono ormai ai livelli più alti toccati da decenni, Repubblicani e Democratici negli Stati Uniti sembrano muoversi sulla stessa lunghezza d’onda nei rapporti con la Cina: chi sta vincendo oggi la ‘sfida tecnologica’ tra le due superpotenze? Nei prossimi decenni immagina gli Stati Uniti ancora leader a livello mondiale?

Penso che gli Stati Uniti rimarranno leader mondiali in termini di tecnologia, ma avranno più concorrenza e ci sarà una maggiore distribuzione globale. E questo è un bene! Vedremo di più emergere dall’Europa, da Israele, dall’India e dai Paesi asiatici, al di là della Cina. Per l’Europa questo è molto importante. Per troppo tempo gli europei non sono stati protagonisti. La vedo un po’ come una partita di calcio. Ci sono due squadre in campo, una americana e una cinese. Invece di mettere in campo la propria squadra, gli europei hanno svolto il ruolo di arbitro, fischiando e distribuendo cartellini gialli. L’arbitro però può contribuire a determinare l’esito della partita – soprattutto se l’arbitraggio è pessimo – ma non può mai vincere. Per vincere davvero in questi anni ’20 abbiamo bisogno che gli europei mettano in campo le loro squadre. Possiamo vedere un esempio nei modelli di sviluppo tecnologico in competizione tra loro: i cinesi hanno sviluppato un modello di sorveglianza e controllo totale da parte di un governo autoritario, che promette stabilità in cambio di controllo e potere politico. L’altra squadra è guidata dai “ragazzi” imprenditori californiani, che hanno sviluppato un modello di sorveglianza del settore privato nel quale producono strumenti che creano dipendenza (io stesso ne sono dipendente), e invece di consegnare loro il potere politico, gli consegniamo il potere finanziario che ha permesso loro di diventare una super-elite globale, con livelli di ricchezza – e di potere che ne deriva – impensabili decenni fa. Non credo che questa scelta tra gli autoritari cinesi ed i miliardari californiani sia una buona scelta per gli italiani. Abbiamo bisogno di una squadra italiana che proponga un proprio modello di contratto sociale e di crescita economica in grado di stabilire un equilibrio tra imprese, governi e cittadini.