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Enrico Letta ora è nei guai, pronti gli sfidanti alla segreteria: si è già aperto il congresso dem

Enrico Letta arriva nella sede nazionale del Pd per seguire lo spoglio verso le 22, quando i dati dei vari exit poll, ancora coperti ma già in circolo tra gli addetti ai lavori, hanno già alzato il livello di allarme nel partito. Dopo aver votato nel suo seggio a Testaccio, il segretario è andato a messa. Quindi una passeggiata con la moglie prima delle riunioni del pomeriggio, per progettare la gestione della comunicazione nella lunga notte dello spoglio.

Letta predica prudenza, ma il quadro è pesante

Quando Letta mette piede al quartier generale del Nazareno c’è ancora fiducia in uno scatto finale. Ma lo scenario dei primi numeri sembra un perfetto incrocio di tutti gli esiti più sgraditi al Pd: fallito l’obiettivo di essere primo partito, Fratelli d’Italia saldamente avanti, a rischio la soglia psicologica del 20 per cento, la coalizione lontana dal 30 per cento, la destra forte di una maggioranza in entrambi i rami del Parlamento e, non ultimo, il M5S dell’ex alleato Giuseppe Conte non lontano dai dem. In più, la discreta performance del polo Calenda-Renzi rischia di rendere perdenti anche collegi uninominali considerati sicuri o quasi. Un quadro che alle ore 23 è ancora virtuale ma già pesante: inchioderebbe il Pd vicino ai risultati del 2018, quando il partito guidato da Renzi chiuse con un tracollo storico la legislatura nella quale il leader di Italia viva aveva governato per tre anni e i dem per cinque anni su cinque. Dopo che le tv hanno diffuso i dati degli exit, Letta predica prudenza: «Anche in Svezia hanno fallito. Aspettiamo i voti veri». C’è ancora la speranza di scavallare il 20: «Restiamo noi l’unico partito che insidia FdI».

Il dato più positivo è anche quello più amaro: l’area del fu campo largo potrebbe arrivare davanti al centrodestra. Letta non ha rimpianti: continua a ritenere fosse improponibile agli elettori un accordo con il M5S dopo la caduta di Draghi. Ed è evidente che fare la somma algebrica dei consensi di Pd e grillini non sarebbe corretto. Conte non avrebbe preso tutti questi voti e forse nemmeno il Pd avrebbe tenuto tutti i suoi.

Letta in bilico, in molti pronti a candidarsi alla segreteria

Solo il dato sulla distribuzione dei seggi potrà dire se si tratta di una semplice sconfitta, che in fondo era stata messa in conto già all’inizio della campagna elettorale, o di una disfatta. In ogni caso, per i dem si apre l’ennesimo anno zero. Servirà un congresso, in tempi rapidi. Idee chiare per provare a ripartire e impostare un altro tentativo di svolta e rinnovamento, chiunque sarà il leader. Letta ha sempre tenuto coperte le sue intenzioni sul dopo voto. Troppo rischioso legare il futuro della sua segreteria al raggiungimento di una soglia. È chiaro che ha sempre tenuto in conto anche la possibilità di fare un passo indietro, ma la sua intenzione è andare avanti, guidare la traversata nel deserto.
Nel partito sono in molti pronti a candidarsi per la segreteria. In prima fila c’è il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, che già tre anni fa era pronto a sfidare Nicola Zingaretti. Il favorito è lui, c’è una rete di sindaci e amministratori locali pronti a lanciarne la candidatura. Molto probabile anche la scesa in campo del sindaco di Pesaro Matteo Ricci. Sul versante sinistro del partito la situazione è più confusa. Il vicesegretario Peppe Provenzano dovrà decidere se sfidare Bonaccini, al momento sembra propendere per il no. Andrea Orlando si candidò già contro Renzi, potrebbe decidere di farlo ancora, ma lo scorcio finale della campagna elettorale ha fatto molto salire le quotazioni dell’indipendente Elly Schlein, che peraltro di Bonaccini è la vice in Regione. Ma se Letta dovesse mollare, e il congresso trasformarsi in una corrida, il problema principale, più che trovare un segretario, sarà tenere insieme vincitori e vinti, nostalgici del renzismo e antirenziani, centristi e filo Conte. Il rapporto con il M5S è un punto chiave. Rilanciare un’alleanza con Conte? C’è il rischio di finire a fare i partner minori del grillismo. Guardare dall’altra parte? Potrebbe regalare a Conte una definitiva egemonia su una quota rilevante dell’elettorato di sinistra, risucchiando ciò che resta dei dem in un centrismo minoritario.

Accanto a Letta, nella notte, il fedelissimo Marco Meloni

Resta solo lo spoglio reale a poter ridare un po’ di fiato al Pd. Ad affiancare Letta nella notte c’è il fedelissimo Marco Meloni, coordinatore della segreteria. In sede anche le capogruppo Debora Serracchiani e Simona Malpezzi. Parlano pure le assenze. Lo scrutinio sarà lungo, il congresso di più, ed è già cominciato.