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Eve Jobs: «Sorrido alla vita»

Nella sua biografia bestseller Steve Jobs, Walter Isaacson scrive che la figlia più giovane del visionario, Eve, è la mela caduta più vicina all’albero: un  «petardo volitivo e divertente» che chiamava l’assistente del padre per avere conferma di  essere presente nella sua agenda.

«Non mi ricordo», mi dice Jobs durante il pranzo. «Mi dispiace molto di doverla deludere. Ricordo di essere andata al lavoro con lui e di avere disegnato su una lavagna nel suo ufficio, che credo sia ancora lì, con tutti i miei piccoli scarabocchi. Mi immergevo inconsciamente in tutta la bellezza e lo splendido design che mi circondava».

Appoggiato sul tavolo, tra me e lei, c’è un  iPhone che sta registrando la nostra intervista. «È un bellissimo promemoria quotidiano per me», dice, guardandolo con affetto (nonostante di recente abbia ironizzato sul nuovo iPhone 14). «Tutto il giorno, tutti i giorni. Lo è davvero. Mi fa sentire al caldo». 

Anche se Jobs non ricorda di avere trattato con l’assistente di suo padre, posso confermare che Isaacson ha azzeccato la definizione di petardo volitivo e divertente. Ci eravamo incrociati  la prima volta a un cocktail party all’Academy Museum di Los Angeles, durante il quale Eve si era dimostrata un’osservatrice perfida e arguta e aveva tempestato di domande le persone sedute al nostro tavolo.

«Sono un po’ strana», dice ora Jobs. «Spesso disoriento le persone: non sanno dove collocarmi. Ma l’umorismo ti fa sentire viva». Le dico che è evidente che non sopporta gli stupidi. «A volte me ne sfugge uno», mi dice. «Ma succede di rado».

L’amazzone ventiquattrenne di livello mondiale, laureata a Stanford, ha lasciato la Silicon Valley per New York nell’autunno del 2021, dopo avere debuttato in passerella per Coperni a Parigi. 
Da allora Jobs ha firmato un accordo per diventare un volto di Louis Vuitton ed entro la fine dell’anno sarà protagonista di una campagna  digitale. Per il nostro incontro, il suo agente ha scelto un ristorante a Chelsea, vicino alla High Line, dove Jobs si presenta in anticipo con una camicetta bianca e pantaloni fluidi. L’unico segno della sua giovane età sono le Nike Jordan 1 ai piedi. «Vivo in una famiglia molto legata alla pallacanestro».

Jobs si definisce la «ragazza dei cavalli», quella che portava le carote alla scuderia della sorella e iniziò a prendere lezioni di equitazione su un pony all’età di sei anni. I genitori spingevano perché desse la priorità alla scuola, ma le permettevano di viaggiare per le gare di salto a ostacoli in estate e durante le vacanze di primavera. «Volevo vedere fino a che punto potevo arrivare», spiega Jobs. «È uno sport difficile da praticare, soprattutto perché sul ring hai solo due minuti e devi lavorare con un animale, che è intrinsecamente inaffidabile». Avrebbe dovuto prendere parte alle Olimpiadi di Tokyo del 2020, ma è stata costretta a dare forfait quando sono state rinviate di un anno a causa del Covid. Dopo la laurea a Stanford, dice, «ero a un punto di svolta. Avevo fatto tutto quello che volevo nello sport e mi sentivo in pace con me stessa».