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Francesca Michielin e il problema della resistenza "brandizzata" Prada

"Oggi inizia la Resistenza, buongiorno a tutt3". Scrive così su Twitter la cantante Francesca Michielin all'indomani della vittoria della destra di Giorgia Meloni alle elezioni. Francesca Michielin che su Spotify ha un podcast femminista che si chiama "Maschiacci", che mesi fa aveva un programma tv ambientalista chiamato "Effetto terra" e che, in quest'epoca mediatica, è sempre ben posizionata sui temi più discussi. Che è, insomma, non più solo cantante ma vera e propria influencer dotata di grande attualità e puntualità. E che, il giorno dopo aver lanciato la resistenza via social, era, altrettanto puntuale, all'evento di Prada a margine della Milano Fashion Week (evento patinatissimo ma anch'esso "all'insegna della sostenibilità", ovviamente). Insomma una resistenza brandizzata (poi da Moschino, nel giorno successivo). 

La resistenza di Francesca Michielin.
Una storia breve assai. pic.twitter.com/oVdeuEljRH

— Gennaro Marco Duello (@gmduello) September 26, 2022

Ora, non è nostra priorità intentare un processo alle intenzioni di Francesca, la quale siamo certi che creda realmente agli ideali che incarna. Né lo è accrescere le fila dei suoi oppositori, i quali ritengono che sia invece un filo pretenzioso scomodare la Resistenza e le relative rappresaglie, se il cinguettio viene inviato su Twitter "dall'iPhone 14 Pro Max di Francesca, mentre lei è seduta sul suo divano Carpanelli nel suo attico a Citylife" (e soprattutto se, aggiungiamo, viene inviato nelle ore in cui abbiamo ancora negli occhi la vera resistenza delle donne scese in strada in Iran). Ma quello che ci preme sottolineare è come certe gaffe degli influencer, ai quali abbiamo clamorosamente affidato il dibattito intellettuale della campagna elettorale, stiano rischiando, in alcuni casi, di "influenzare" male quelle sacrosante battaglie sociali alle quali invece vorrebbero fare bene. Basti ripensare a certe dichiarazioni approssimative sul femminismo di Elodie (che ritiene di combattere gli stereotipi di genere accusando Meloni di essere "poco donna" perché violenta, ovvero rafforzandoli lei stessa) oppure allo scempio delle parole pronunciate da tale Giulia Torelli (che ai suoi 214mila follower dice che "i vecchi non devono votare perché sono rincogli*niti", ovvero perché, a differenza dei giovani cresciuti a pane e attivismo social, votano a destra). 

Tornando specificatamente a Michielin, anzitutto serve una premessa: da quando Michielin è diventata influencer? Rispondiamo subito. Michielin è diventata influencer da quando ha gradualmente orientato il suo percorso professionale verso la sensibilizzazione di temi legati ai diritti civili e alla causa ambientale, mixando il tutto con la carriera da cantante e polistrumentista. E, siccome influencer è chi influenza opinioni, Michielin non è più solo un'artista. La sua è una scelta professionale ben precisa. Una scelta professionale "mista" che però è drammaticamente caduta in un errore di comunicazione quando, a distanza di poche ore, ha condiviso appunto sul suo profilo Instagram prima un appello da partigiana e poi, subito dopo, quello da testimonial di uno dei brand più lussuosi del globo. 

Un errore che è simbolico, non tanto per il suo personaggio, quanto per l'intero sistema che le ruota attorno. Perché racconta quanto l'attivismo di oggi sia patinato. E quanto questo contribuisce a rinvigorire, ancora una volta nell'immaginario collettivo, quell'annoso cliché che vede contrapposte da un parte una "élite liberale", che si preoccuperebbe dei diritti altrui, e dall'altra un "popolo che vota a destra" e che invece si interesserebbe a tutt'altri egoismi. Il tutto, senza che il "presunto popolo" riesca a credere fino in fondo alle buone intenzioni della élite. Ed il tutto, senza che la presunta élite si interessi di comprendere quali sono le urgenze che hanno portato il 44% degli italiani a non considerare prioritaria la battaglia per la "e" rovesciata alle urne: ovvero, consentendosi spesso uno snobismo che è l'esatto opposto dell'attivismo. 

Dello snobismo non fa parte Michielin nello specifico, ma parecchie colleghe. La sera del 26 settembre, ad esempio, intorno alla mezzanotte, ovvero nell'orario in cui avevamo capito che quella di Meloni era una vittoria assoluta, un gruppo di "influattiviste" - neologismo dietro cui si annidano coloro che hanno fatto dell'attivismo una vera e propria professione ben retribuita a mezzo social - si sono riunite in una diretta per "ubriacarsi" insieme per protesta. I toni erano goliardici. "Domani espatrio", dicevano tra un bicchiere di vino e l'altro. E lo dicevano con un ghigno di distaccata superiorità, con una ostentata ed orgogliosa sufficienza. Da una parte c'erano loro, pseudo-femministe, pseudo maestre di vita alla Do Nascimento, con una indignazione strabuzzante dagli occhi mascara, improvvisamente indignate dal fatto che non tutti i 60 milioni di italiani erano rientrati nella "bolla social" a cui avevano suggerito il pericolo che è Meloni per i diritti delle donne. Dall'altra c'era l'altra metà del Paese, con una indignazione che si era tradotta con una "x" apposta sul partito di Fratelli d'Italia e che, secondo il parere delle influ-attiviste, della politica non avrebbe capito un bel niente. Due mondi agli antipodi, l'uno contro l'altro giudicanti. Qualcosa di controproducente.  

Qualcosa di controproducente perché è proprio grazie alla rete che, in questi anni, la battaglia in favore dei diritti civili ha fatto finalmente passi in avanti verso la coscienza collettiva, allontanandosi così dall'essere unicamente una "cosa da radical chic dei Parioli", per usare la parole della stessa Emma Bonino. E, proprio perché crediamo fortemente nel valore della piazza virtuale, cioè nella sua equivalenza con la piazza reale, non riteniamo che questo approccio da circolo di intellettuali si addica a chi vuole porsi come attivista, a chi si pone cioè l'obiettivo di arrivare a più persone possibile. Non crediamo che ergersi su un piedistallo sia il modo giusto per dialogare con coloro che intendiamo trascinare in un cambiamento di idee. 

Come sottolinea Selvaggia Lucarelli, ci sarà insomma da valutare in futuro, o forse proprio oggi, quanto può far male alla sinistra la presa di posizione di personalità come Giulia Torelli, influencer che fino a ieri nessuno conosceva, che di professione fa decluttering (ovvero mette in ordine armadi a chi ha abbastanza soldi da non doversi impegnare a non farlo in prima persona), e che ha la presunzione di essere nel giusto quando dice che "i vecchi non devono votare perché sono dei rincoglioniti" (perché votano a destra). Presunzione che, come fa notare la social media manager Serena Mazzini, appartiene ad un nuovo "classismo" che neanche corrisponde a verità, se si pensa che, a sorpresa, a destra c'ha votato anche il 30% degli under 25 (già, proprio quegli under 25 che la narrazione comune voleva appartenenti alla "rivoluzionaria" generazione z!). 

Ci sarà insomma da riflettere in futuro, o forse proprio oggi, sull'ipotesi di quanto certe gaffe, certe iperboli, certi personalismi e certi piedistalli non abbiano fatto più danni che altro alla comunicazione di certi (fondamentali) messaggi. Perché quando le battaglie sociali diventano utili alla profilazione del proprio personal branding, ovvero del proprio profitto, ovvero del proprio businness, è inevitabile che si creino perplessità tra il pubblico. È inevitabile, ad esempio, che ci si domandi perché Chiara Ferragni ha fatto campagna elettorale contro Meloni ma si è ben guardata dal fare endorsement verso un partito specifico. Ed è normale che ci si domandi quanto c'è di genuino in coloro che dei diritti fanno un prodotto. 

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