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Gf Vip, lo psicologo Luca Mazzucchelli: «Questo scivolone in tv è anacronistico rispetto all'idea che oggi abbiamo della salute mentale»

Il dolore psicologico di Marco Bellavia - con le sue conseguenze - ha infiammato i social. L’ex conduttore di Bim Bum Bam, tra i concorrenti dell'edizione 2022 del Grande Fratello Vip, ha abbandonato il reality dopo aver mostrato le sue fragilità, affrontato apertamente la depressione, l'ansia e gli attacchi di panico, e chiesto supporto agli altri concorrenti, ma ricevendo sostanzialmente critiche pesanti e indifferenza.

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Tanti, tantissimi i messaggi dei telespettatori che lo hanno difeso e sostenuto sui social, al punto da coniare un apposito hashtag: #iostoconmarcobellavia. Perché come si fa a reagire con aggressività - si chiede sostanzialmente il popolo dei social - con chi sta attraversando un disagio psicologico caratterizzato da ansia e momenti di scoramento (cosa che del resto succede a circa il 25% degli italiani, guardando i dati diffusi dal Consiglio Nazionale dell'Ordine degli Psicologi)?

Ma la discussione va anche oltre, se sorge il dubbio che possa essere ingiusto inserire tra i concorrenti di una programma televisivo di questo tipo anche chi - di fronte a una determinata pressione - può ritrovarsi a veder acuito il suo disagio. Ne abbiamo parlato con lo psicologo e divulgatore Luca Mazzucchelli. 

È stata una scelta corretta quella di ospitare nella casa del GfVip una persona con delle fragilità psicologiche?
«Molto, ovviamente, dipende dalla profondità della fragilità di una persona, poiché situazioni molto stressanti possono portare a un peggioramento del quadro sintomatico, ma questo non vuol dire che una persona che ha delle difficoltà simili debba rinunciare a vivere perché questo sarebbe ancora peggio. Personalmente non ho valutato la situazione nello specifico, tuttavia non credo che sia giusto discriminare la presenza di una persona all’interno di un programma televisivo perché soffre di ansia e magari sta prendendo degli ansiolitici. Ritengo corretto permetterne la presenza, sapendo comunque che non si deve gettarlo in un covo di serpenti».

In linea generale, sta crescendo la sensibilità nei confronti dell'importanza di difendere la Salute Mentale?
«Con la pandemia è successo qualcosa che ha cambiato il nostro modo di rapportarci alla psicologia. C’è stato un lockdown che ha imposto a tutti noi di guardarci dentro e ha fatto affiorare nodi al pettine che già avevamo ma che erano più o meno nascosti. Sono successe varie cose, tutti ci siamo riscoperti un po’ più fragili di quello che pensavamo e tanti influencer e personaggi dello spettacolo hanno cominciato a sensibilizzare l'opinione pubblica sul tema della salute mentale, sdoganando sempre più la figura dello psicologo, infine è arrivato il Governo, con il “bonus psicologo” mettendo un po’ il cappello su un movimento che era stato legittimato come sempre accade dal basso. Gli stereotipi rispetto alla figura dello psicologo, quindi, cominciano a essere messi in discussione e sapere che c’è in televisione uno scivolone così importante oggigiorno è veramente anacronistico, in controtendenza. Paradossalmente sta diventando un po’ “una moda” il fatto di dire che si sta andando dallo psicologo, e questo sta soppiantando quel luogo comune per cui chi va in terapia è matto o è fragile. Al contrario, chi va dallo psicologo è coraggioso, molto coraggioso. Perché ha la forza di guardarsi dentro, di riconoscere i propri limiti, di lavorare su se stesso per migliorarsi».

La presenza di uno psicologo all’interno della produzione televisiva dovrebbe allora diventare una costante per garantire un’attenzione verso certe fragilità?
«Come si fa a non integrare una sensibilità psicologica in un contesto così importante? Tutto questo mondo dello show business deve capire che la componente umana è fondamentale e non la si può mettere in secondo piano. La pandemia ci ha insegnato anche questo, che ancor prima dell’emergenza sanitaria, ancor prima dell’emergenza medica, c’è l’emergenza umana: degli uomini e delle donne che costituiscono il tessuto sociale del nostro paese e delle nostre organizzazioni, dei programmi televisivi e delle famiglie. Non si può prescindere da questa attenzione, altrimenti andiamo a rotoli. E la televisione, che ha anche un grande ruolo nel sensibilizzare su questi aspetti, deve essere a maggior ragione attenta e controllata».

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