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Giorgia: via la fiamma e al suo posto il Tricolore

in foto Giorgia Meloni (Imagoeconomica)

Riproponiamo l’articolo di Ermanno Corsi apparso sul Roma di martedì 4 ottobre all’interno della rubrica Spigolature

di Ermanno Corsi

Alle ore 23 del 25 settembre, a meno di un minuto dalla chiusura delle urne, tutti i sondaggi davano già in testa il Centrodestra al cui interno primeggiavano di gran lunga i meloniani Fratelli d’Italia. In altri tempi, sarebbe bastato questo dato approssimativo, in attesa dei pur primissimi conteggi ufficiali, per dare il via -dai vincitori questa volta meno in pectore- alla baldoria baraondica e trionfalistica con cortei, sparatorie, fuochi d’artificio, occupazione di spazi, invocazioni e cori a squarciagola con problemi non lievi per l’ordine pubblico. Niente di tutto questo: accettazione passiva degli eventi pur clamorosi, raggiunta maturità dei cittadini, oppure direttive impartite da chi non voleva guastare il sapore della vittoria con il veleno di manifestazioni che si sa come nascono, ma non come possono finire? E’ pensabile che “Io Giorgia” -per la quale si spalancavano le porte di Palazzo Chigi, prima donna ad entrarvi come premier- abbia voluto che si seguissero comportamenti nuovi, all’insegna della responsabilità e proporzionati al peso degli impegni che si andavano ad assumere. Anche questo, peraltro, avrebbe contribuito a “fare immagine”.

UNA STRADA LUNGA. La figura di un Premier si costruisce, nel proprio Paese e sul piano internazionale, innanzitutto con gli atti che compie (alla guida di un Governo che di difficoltà con cui misurarsi non ne ha davvero poche), col grado di piena corrispondenza tra le promesse fatte agli elettori e le riforme avviate all’insegna di un realismo davvero “reale”, senza populistiche demagogie o inconcludenti retoriche tirate. Ripetuto più volte l’ammonimento meloniano a non far promesse che si sa che non si sarebbero potute mantenere, ricordandosi ognuno che nel bilancio pubblico il debito “sovrano” dell’Italia era già, nel mese di luglio, a quota 2.770 miliardi di euro e che, se salisse ancora, si rischierebbe la bancarotta dello Stato. Monito e tirata d’orecchi a Salvini (via le cartelle esattoriali senza le ragionevoli distinzioni) e a Berlusconi (pensioni elevate di colpo senza fare i conti con le disponibilità, ma solo per catturare voti). Altro richiamo fermo ai due “soci” per la flat tax: uno la vuole al 15 per cento, l’altro al venti.

SCENEGGIATA AL CREMLINO. Se non si può scherzare con le finanze pubbliche, ancora meno lo si può sulla politica estera. Con due compagni di viaggio sostanzialmente “putiniani”, a “scuorno” quindi di Salvini e Berlusconi, la neo-premier è impegnata onorevolmente a ribadire la condanna, senza se e senza ma, del mostruoso aggressore dell’Ucraina nel nome dell’europeismo, della fedeltà atlantica, dello stretto legame italiano con l’Onu e con la Nato. In Russia si proclama (con uno spettacolare apparato trionfalistico degno di miglior causa), l’annessione delle quattro regioni ucraine -dopo il referendum farsa sotto “violenta occupazione militare” -ma è una decisione del tutto arbitraria “senza alcun valore giuridico o politico” stigmatizza Giorgia Meloni. Putin si conferma così “un neoimperialista di stampo sovietico”. Ecco perché sono sempre più necessarie la “compattezza e l’unità delle democrazie occidentali”.

IL VALORE DI SEGNI E SIMBOLI. La neo premier va giudicata per quello che ha sempre detto e fatto ma soprattutto per quanto fra pochi giorni, insediatasi a Palazzo Chigi, comincerà a mettere in atto. C’è tuttavia tutto un contorno, in apparenza solo coreografico, che pure assume importanza e significato “identitario”. Liliana Segre (sopravvissuta ad Auschwitz dove a 13 anni venne deportata assieme al padre, e nominata senatrice a vita nel 2018 da Mattarella), chiede a Giorgia di manifestare piena abiura del fascismo anche togliendo la fiamma dal logo del partito (pure Guido Crosetto, nelle elezioni europee 2019, suggerì di farlo). Via la fiamma e al suo posto il Tricolore. Un incoraggiamento, per procedere, potrebbe derivare dal fatto che la fiamma venne “inventata” dagli Arditi quando erano un corpo speciale dell’Esercito italiano (molto apprezzato dal napoletano generale Armando Diaz) durante la prima guerra mondiale. Conseguita la vittoria, la fiamma di allora si “fuse”, non solo idealmente, con i colori della Bandiera italiana.