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Giustizia, no dei magistrati a Nordio su intercettazioni e carriere

La separazione delle carriere? Anacronistica e pericolosa. La riforma Cartabia del processo penale? Una depenalizzazione mascherata. Le intercettazioni? Uno strumento indispensabile d’indagine. Il nuovo regime dell’improcedibilità? Impedisce processi per gravi reati. Dai discorsi dei capi degli uffici giudiziari nei 26 distretti di Corte d’appello del Paese, a emergere è (almeno) una forte perplessità per gli interventi del Governo in vigore da poco tempo e una netta contrarietà per quelli annunciati. Con un ministro della Giustizia che conserva nella giornata un basso profilo e svolge, nella “sua” Venezia, un discorso dai toni concilianti e dai contenuti non divisivi.

Nordio abbassa i toni

Nordio ha tenuto a ricordare che «abbiamo un programma di riforme che deve seguire il mandato elettorale che abbiamo ottenuto dai cittadini con le elezioni. In queste riforme la mia priorità sarà quella di conciliare i tre pilastri della nostra giurisdizione penale, che sono tecnicamente quasi incompatibili». Lo ha detto il ministro della Giustizia Carlo Nordio, oggi a Venezia per l’inaugurazione dell’Anno giudiziario. «Le riforme che proponiamo - ha aggiunto - saranno fatte attraverso una coniugazione e una concentrazione, spero anche una assimilazione, di energia con la magistratura, accademie e l’avvocatura. Queste riforme sono certo avverranno in armonia ascoltando queste voci».

Pericoloso separare le carriere

E tuttavia, a Milano, la procuratrice generale Francesca Nanni mette nel mirino la volontà espressa da Governo e maggioranza di arrivare a una drastica separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, impedendo qualsiasi passaggio: «Indicare la separazione delle carriere fra pubblici ministeri e magistrati giudicanti come unico e salvifico rimedio, oltre a non corrispondere all’attuale realtà dei rapporti, ci sembra un atteggiamento limitato e riduttivo rispetto ai problemi, anacronistico e pericoloso». Le fa eco il procuratore generale di Genova Francesco Aniello, per il quale il pubblico ministero «realizza l’interesse dello Stato, inteso come Stato-collettività, a perseguire gli autori degli illeciti penali. Per questo suo ruolo e per i compiti cui assolve, la cultura del pubblico ministero non può e non deve essere confinata a quella del mero accusatore, posizione che, inevitabilmente, lo allontanerebbe da una visione del giudizio omogenea a quella dei giudici, causando proprio quei danni che vorrebbe in teoria evitare chi è favorevole alla separazione delle carriere».

Riforma penale dannosa

Quanto alla riforma del processo penale in vigore da poche settimane, si tratta, per il procuratore generale di Napoli Luigi Riello di «una depenalizzazione camuffata. Credo - scrive ancora il Pg - che ricorrere ad una legge spazzafascicoli, o se volete ad una strisciante amnistia, sia una strada più comoda e facile che procedere ad una effettiva razionalizzazione del processo». E, se obiettivo della riforma è soprattutto quello di tagliare i tempi di durata dei processi, l’effetto di alcune delle misure introdotte potrebbe essere paradossale e, in realtà, controproducente. L’allarme lo lancia il presidente della Corte d’appello di Roma Giuseppe Meliadò, per il quale la necessità di arrivare a sentenza entro due anni per evitare la tagliola dell’improcedibilità (per tutti i reati commessi dopo il 1° gennaio 2020), rischia molto concretamente di fare accantonare i procedimenti per delitti anche gravi commessi in precedenza.

Intercettazioni da salvare

Sulle intercettazioni, da una parte ci sono gli avvocati, con il presidente dell’Ordine di Milano Vincio Nardo che ammette la oramai “massima circospezione” che i difensori si sono visti costretti ad adottare nei colloqui professionali, e dall’altra i magistrati, con un coro pressoché unanime. Netto, per esempio, il procuratore generale di Torino Francesco Saluzzo: «Trovo straordinario che in un mondo globalmente interconnesso si stia ragionando sull’abbandono dello strumento che meglio di tutti tiene in contatto gli autori dei reati sul territorio nazionale, da un capo all’altro d’Europa, da un capo all’altro del mondo».