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Il Papa di ritorno dall’Africa parla di Ratzinger e risponde agli attacchi: “La sua morte è stata strumentalizzata da gente di partito e non di Chiesa, senza etica. Lui non era amareggiato per ciò che io ho fatto”

INVIATO SUL VOLO PAPALE. A causa delle guerre «il mondo è in autodistruzione, fermiamoci in tempo!». Papa Francesco sul volo Giuba-Roma di ritorno dalla visita apostolica in Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan parla ai giornalisti insieme all’arcivescovo di Canterbury Justin Welby e al moderatore della Chiesa di Scozia Ian Greenshields. Il Pontefice parla della morte di Benedetto XVI, avvenuta il 31 dicembre, a cui sono seguite ricostruzioni polemiche e attacchi che lo contrapponevano al successore: «La sua morte è stata strumentalizzata da persone di partito e non di Chiesa», senza «etica». Il Vescovo di Roma spiega che il predecessore, da lui consultato più volte in questi anni, «non era amareggiato per quello che io ho fatto». E poi, Jorge Mario Bergoglio ribadisce che è un’«ingiustizia» la criminalizzazione degli omosessuali»

Santità, voi avete desiderato da tanto visitare la Repubblica Democratica del Congo… avete visto la gioia… quale importanza ha avuto l’accordo firmato nel 2016 tra Santa Sede e Congo su educazione e sanità?

«Non conosco quell’accordo, c’è il Segretario di Stato che può dare un’opinione. So che negli ultimi tempi c’era in cammino un accordo. Non posso rispondere. Neppure conosco la differenza del nuovo che è in cammino, queste cose le fa la Segreteria di Stato, il Segretario di Stato o Gallagher e loro sono bravi a fare accordi per il bene di tutti. Io ho visto lì nel Congo tata voglia di andare avanti, tanta cultura. Ho avuto prima di arrivare qui alcuni mesi fa un incontro via zoom con universitari africani intelligentissimi, avete persone di un’intelligenza superiore, è una delle vostre ricchezze, giovani intelligenti e si deve fare posto a loro, non chiudere le porte. Avere tante ricchezze naturali che attirano gente che viene a sfruttare il Congo, scusatemi la parola. C’è questa idea. L’Africa va sfruttata. Qualcuno dice, non so se è vero, che i paesi che avevano colonie hanno dato l’indipendenza dal pavimento in su, non sotto, vengono a cercare minerali. Ma l’idea che l'Africa è da sfruttare dobbiamo toglierla. E parlando di sfruttamento mi colpisce. Dà dolore il problema dell’est. Ho potuto avere una riunione con vittime di quella guerra, feriti, amputati, tanto dolore, tutto per prendere le ricchezze, non va, non va. Il Congo ha tante possibilità».

Abbiamo visto come la violenza non cessi nonostante decenni di presenza di missioni Onu. Come potete voi, insieme, aiutare nel promuovere un nuovo modello di intervento vista la crescente tentazione di molte nazioni africane a scegliersi altri partners per garantirsi la sicurezza, partners che potrebbero non rispettare la leggi internazionali come alcune compagnie private russe o altre organizzazioni, nella regione del Sahel per esempio?

«Il tema della violenza è un tema quotidiano. Lo abbiamo appena visto in Sud Sudan. È doloroso vedere come si provoca la violenza. Uno dei punti è la vendita delle armi. Anche l’arcivescovo Welby ha detto qualcosa su questo. La vendita delle armi: credo che nel mondo questa è la peste più grande. L’affare… la vendita delle armi. Qualcuno che ci capisce mi diceva che senza vendere armi per un anno finirebbe la fame nel mondo. Non so se è vero. Ma oggi al top è la vendita delle armi. E non solo tra le grandi potenze. Anche a questa povera gente… gli seminano la guerra dentro. È crudele. Gli dicono: “Vai alla guerra!”, e gli danno le armi. Perché dietro ci sono interessi economici per sfruttare la terra, i minerali, le ricchezze. È vero che il tribalismo in Africa non aiuta. Ora non so bene come è in Sud Sudan. Credo che anche lì ci sia. Ma ci vuole dialogo fra le diverse tribù. Io ricordo quando sono stato in Kenya nello stadio pieno. Tutti si sono alzati in piedi a dire no al tribalismo, no al tribalismo. Ognuno ha la propria storia, ci sono inimicizie vecchie, culture diverse. Ma è anche vero che si provoca la lotta fra le tribù con la vendita delle armi e poi si sfrutta la guerra di ambedue le tribù. Questo è diabolico. Non mi viene un’altra parola. Questo è distruggere: distruggere il creato, distruggere la persona, distruggere la società. Non so se anche in Sud Sudan succede ma in alcuni Paesi sì succede: i ragazzini sono reclutati per fare parte della milizia e combattere con altri ragazzini. Riassumendo, credo che il problema più grave è l’ansia di prendere ricchezza di quel paese - coltan, litio… queste cose - e tramite la guerra, per la quale vendono le armi, sfruttano anche i bambini».

A Lei Santo Padre volevo chiedere, visto che l’arcivescovo Welby ha ricordato quel momento incredibile nel 2019, quando si è inginocchiato davanti ai leader del Sud Sudan per chiedere la pace, purtroppo fra due settimane ci sarà il primo anniversario di un altro conflitto terribile, quello in Ucraina, e la mia domanda è: lei sarebbe pronto a compiere lo stesso gesto nei confronti di Vladimir Putin se avesse la possibilità di incontrarlo, visto che i suoi appelli alla pace finora sono caduti nel vuoto? E a tutti e tre volevo chiedere se volete fare un appello congiunto per la pace in Ucraina, visto che è un momento raro in cui siete tutti e tre?

«Io sono aperto a incontrare entrambi i presidenti, quello dell'Ucraina e quello della Russia, sono aperto per l'incontro. Se io non sono andato a Kiev è perché non era possibile in quel momento andare a Mosca, ma ero in dialogo, anzi il secondo giorno della guerra sono andato all’ambasciata russa a dire che volevo andare a Mosca a parlare con Putin, a patto che ci fosse una piccola finestrina per negoziare. Poi il ministro Lavrov mi ha risposto che valutava bene questo ma “vediamo più avanti”. Quel gesto è un gesto che ho pensato, che “lo faccio per lui” (per Putin, ndr). Ma il gesto dell'incontro 2019 non so come è successo, non è stato pensato e le cose che non sono state pensate tu non puoi ripeterle, è lo Spirito che ti porta lì, non si può spiegare, punto. E io anche l’ho dimenticato. È stato un servizio, sono stato strumento di qualche impulso interiore, non una cosa pianificata. Oggi siamo a questo punto, ma non è l’unica guerra, io vorrei fare giustizia: da dodici-tredici anni la Siria è in guerra, da più di dieci anni lo Yemen è in guerra; pensa al Myamar, alla povera gente Rohingya che gira il mondo perché sono stati cacciati via dalla propria patria. Dappertutto, nell'America Latina, quanti focolai di guerra ci sono! Sì, ci sono guerre più importanti per il rumore che fanno, ma, non so, tutto il mondo è in guerra, e in autodistruzione. Dobbiamo pensare seriamente: è in autodistruzione. Fermiamoci in tempo, perché una bomba ti richiama una più grande e una più grande e nell’escalation tu non sai dove finirai. La testa fredda bisogna (avere, ndr). Poi sia Sua Eccellenza che Monsignor Greenshields hanno parlato delle donne, le ho viste nel Sud Sudan: portano avanti i figli, delle volte rimangono sole, ma hanno la forza di creare un Paese, le donne sono brave. Gli uomini vanno alla lotta, vanno alla guerra, e queste signore con due, tre, quatto, cinque bambini vanno avanti, le ho viste in Sud Sudan. E, parlando di donne, vorrei dire una parola alle suore, le suore che si immischiano, ne ho viste alcune qui in Sud Sudan, e poi nella Messa di oggi avete sentito il nome di tante suore che sono state uccise... Torniamo alla forza della donna, dobbiamo prenderla sul serio e non usarla come pubblicità del maquillage: per favore, questo è un insulto alla donna, la donna è per le cose più grandi!».

WELBY

«Per quanto riguarda la Russia, Putin e l’Ucraina, dove sono stato alla fine di novembre e inizio dicembre, non ho davvero nulla da aggiungere, salvo che questa guerra è nelle mani del signor Putin, potrebbe fermarla con il ritiro e il cessate-il-fuoco e poi negoziati su accordi di lungo termine. È una guerra terribile e terrificante, ma voglio dire che sono d’accordo con Papa Francesco, ci sono molte altre guerre, parlo ogni qualche settimana con il capo della nostra Chiesa in Myanmar, ho parlato ai leader della nostra Chiesa in Nigeria, dove ieri sono state uccise 40 persone, ho parlato a molti in giro per il mondo. Concordo totalmente con il Santo Padre, la guerra finisce con il coinvolgimento di donne e giovani, per le ragioni che egli ha detto».

Prima di partire per il suo viaggio apostolico lei ha denunciato la criminalizzazione dell’omosessualità, in Sud Sudan e in Congo non è accettata dalle famiglie. Ho incontrato questa settimana a Kinshasa cinque omosessuali, ognuno dei quali era stato rifiutato e persino cacciato dalla propria famiglia - mi hanno spiegato che il loro rifiuto viene dall’educazione religiosa dei loro genitori - alcuni di loro vengono portati da sacerdoti esorcisti perché le loro famiglie credono che siano posseduti da spiriti impuri. Che cosa dice alle famiglie del Congo e del Sud Sudan che ancora rifiutano i loro figli e che cosa dice ai preti, ai vescovi?

«Su questo problema ho parlato in due viaggi, prima (tornando, ndr) dal Brasile: se una persona di tendenza omosessuale è credente, cerca Dio, chi sono io per giudicarlo? Questo ho detto in quel viaggio. Secondo, tornando dall’Irlanda, è stato un viaggio un po’ problematico perché quel giorno era uscita la lettera di quel ragazzo… ma lì ho detto chiaramente ai genitori: i figli con questo orientamento hanno diritto di rimanere in casa, non potete cacciarli via di casa. E poi ultimamente ho detto qualcosa, non ricordo bene cosa, nell’intervista all’Associated Press. La criminalizzazione dell’omosessualità è un problema da non lasciar passare. Il calcolo è che, più o meno, 50 Paesi, in un modo o in un altro, portano a questa criminalizzazione - mi dicono di più, ma diciamo almeno 50 - e anche alcuni di questi - credo siano dieci, hanno la pena di morte (per gli omosessuali ndr) – questo non è giusto, le persone di tendenze omosessuali sono figli di Dio, Dio vuole loro bene, Dio li accompagna. È vero che alcuni sono in questo stato per diverse situazioni non volute, ma condannare una persona così è peccato, criminalizzare le persone di tendenza omosessuale è un’ingiustizia. Non sto parlando dei gruppi, ma delle persone. Alcuni dicono: fanno dei gruppi che fanno chiasso, io parlo delle persone, le lobby sono un’altra cosa, sto parlando delle persone. E credo che il Catechismo della Chiesa Cattolica dice: non vanno marginalizzati. Credo che la cosa su questo punto sia chiara».

WELBY

«Non può esservi sfuggito che nella Chiesa d’Inghilterra ne stiamo parlando in questo periodo… compreso una buona quantità di dibattito in Parlamento. Voglio dire che mi piacerebbe aver parlato con l’eleganza e la chiarezza che ha usato il Papa. Concordo interamente con ogni parola che ha detto e per quanto riguarda la criminalizzazione, la Chiesa d’Inghilterra, la comunione anglicana ha approvato due risoluzioni contro la criminalizzazione ma ciò non ha davvero cambiato la mentalità di molte persone. Nei prossimi quattro giorni al sinodo generale sarà il tema principale della discussione e sicuramente citerò quel che ha detto meravigliosamente e accuratamente il Santo Padre».

Si è parlato molto in questi ultimi giorni di unità, si è vista anche una dimostrazione di unità della cristianità, in Sud Sudan, anche di unità della Chiesa cattolica stessa, vorrei chiederle se lei sente che dopo la morte di Benedetto XVI è stato più difficile per lei il suo lavoro e la sua missione, perché si sono rafforzate le tensioni tra le diverse anime della Chiesa cattolica?

«Su questo punto, vorrei dire, che ho potuto parlare di tutto con Papa Benedetto. (Anche per, ndr) cambiare opinione. Lui sempre era al mio fianco, appoggiandomi, e se aveva qualche difficoltà, me la diceva e parlavamo. Non c’erano problemi. Una volta che io ho parlato del matrimonio delle persone omosessuali, del fatto che il matrimonio è un sacramento e che noi non possiamo fare un sacramento, ma che c’è una possibilità di assicurare i beni tramite la legge civile, che è cominciata in Francia… qualsiasi persona può fare un’unione civile, non necessariamente di coppia. Le vecchiette che sono in pensione per esempio… perché si possono guadagnare tante cose. Una persona che si crede un grande teologo, tramite un amico di Papa Benedetto, è andato da lui e ha fatto la denuncia contro di me. Benedetto non si è spaventato, ha chiamato quattro cardinali teologi di primo livello e ha detto: spiegatemi questo e loro lo hanno spiegato. E così è finita la storia. È un aneddoto per vedere come si muoveva Benedetto quando c’era una denuncia. Alcune storie che si dicono, che Benedetto era amareggiato per quello che ha fatto il nuovo Papa, sono storie da “telefono senza fili” (il Papa usa l’espressione “storie cinesi”, ndr). Benedetto anzi io l’ho consultato per alcune decisioni da prendere. E lui era d’accordo. Era d’accordo. Credo che la morte di Benedetto sia stata strumentalizzata da gente che vuole portare acqua al proprio mulino. E quelli che strumentalizzano una persona così brava, così di Dio, quasi direi un santo padre della Chiesa, direi che è gente non etica, è gente di partito non di Chiesa… si vede in ogni parte, la tendenza a fare di posizioni teologiche dei partiti. Queste cose cadranno da sole, o se non cadranno andranno avanti come tante volte è accaduto nella storia della Chiesa. Ho voluto dire chiaramente chi era Papa Benedetto, non era un amareggiato».

Ritorniamo oggi da due Paesi vittime di quello che lei ha chiamato la globalizzazione dell’indifferenza. Ne parla dall’inizio del suo pontificato e dal suo viaggio a Lampedusa. In un certo senso in questa settimana si è chiuso un cerchio. Pensa ancora ad ampliare il raggio di questo cerchio, ad andare altrove, visitare altri paesi dimenticati? In quali luoghi ha in mente di andare? E dopo questo viaggio che è stato così lungo, impegnativo, come sta? Si sente ancora forte? Sente di avere una condizione di salute necessaria (sufficiente) per andare in tutti questi posti?

«C’è dappertutto la globalizzazione dell’indifferenza. All’interno del Paese diverse persone hanno dimenticato di guardare i propri compatrioti, i propri concittadini, e li mettono all’angolo per non pensarci. Pensare che le fortune più grandi del mondo sono nelle mani di una minoranza. E questa gente non guarda le miserie, il cuore non gli si apre per aiutare. Sui viaggi: credo che l’India sarà il prossimo anno. Il 29 settembre vado a Marsiglia, e c’è la possibilità che da Marsiglia voli in Mongolia, ma non è ancora definito, è possibile. Un altro di quest’anno non lo ricordo. Lisbona. Il criterio: io ho scelto di visitare i paesi più piccoli dell’Europa. Diranno: “Ma è andato in Francia”, no, sono andato a Strasburgo; andrò a Marsiglia, non in Francia. I più piccoli, i più piccoli. Per conoscere un po’ l’Europa nascosta, l’Europa che ha tanta cultura ma non è conosciuta. Per accompagnare paesi, per esempio l’Albania, che è stato il primo, che è il paese che ha sofferto la dittatura più crudele, più crudele, della storia. Poi la scelta mia è questa: cercare di non cadere io nella globalizzazione dell’indifferenza. (Sulla salute, ndr): Tu sai che cattiva erba muore mai. Non come all’inizio del pontificato, questo ginocchio dà fastidio, ma va avanti lentamente, poi vediamo. Grazie».