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“Il Pd è diventato il partito dei capetti e dei follower”, l’intervista all’ex segretario dei Dem trentini Nicoletti: “Le elezioni? Difficile fare peggio”

TRENTO. Fine febbraio 2013, un affranto Pier Luigi Bersani parla della “non vittoria” del suo Partito Democratico rimontato in maniera sorprendente da Silvio Berlusconi. In quell’occasione i Dem con 8,6 milioni di voti (25,43% alla Camera) furono il partito più votato ma non riuscirono ugualmente a conquistare una solida maggioranza al Senato.

Da allora, escludendo le elezioni Europee del 2014, il Pd ha dovuto incassare pesanti sconfitte. Infatti sia nel 2018 che nelle elezioni di pochi giorni fa i Dem non sono riusciti a superare la soglia psicologia del 20%, fermandosi poco sotto. Si tratta dei due peggiori risultati di sempre, in meno di 10 anni il Pd ha perso oltre 3 milioni di voti. Una crisi dalla quale il partito non sembra in grado di riprendersi.

Dopo ogni sconfitta si parla di ricostruzione, ci sono grandi promesse ma poi pare che non cambi nulla. Cosa manca al Pd per recuperare l’identità smarrita? Ne abbiamo parlato con Michele Nicoletti, filosofo, docente universitario, ex segretario del Partito Democratico del Trentino (oggi un iscritto), già deputato alla camera e politico con diversi incarichi di primo piano nell’Ue, fra cui quello di presidente dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa.

Lei venne eletto nel 2013 quando si parlò di una “non vittoria”, cosa si può dire di questi risultati?

“Diciamo che era difficile fare peggio di così, in Trentino magari qualcosina è stato possibile contenere ma stiamo parlando sempre di una sconfitta. Anzi, da quanto è grande, per analizzare la sconfitta, non si sa da dove incominciare”.

Lei da dove inizierebbe?

“Se si intendeva costruire un campagna elettorale che aveva all’ordine del giorno il contenimento della Destra, giudicata pericolosa anche per la democrazia, allora si sarebbe dovuto costruire un’alleanza con tutte le forze che non erano di Destra. Questo obiettivo non è stato perseguito con tutto il necessario spirito di mediazione, anche se in questo pure i possibili partner hanno una responsabilità. L’alternativa era quella di proporre un’idea di partito e di società alternative a quelle della Destra, o perlomeno una proposta che potesse essere utile per il post-elezioni. Questa idea alternativa però non è uscita in modo chiaro, per questo molte persone si sono rivolte altrove”.

Cosa è che da un certo tempo a questa parte non sta funzionando?

“Sono molte le cose che non funzionano. La prima cosa da fare sarebbe quella di capire che identità si vuole dare al partito. Molte persone che stanno nel Pd non credono fino in fondo nel progetto democratico, lo hanno scelto per ragioni di convenienza, chi per nostalgia del passato chi perché avrebbe voluto fare qualcosa altro. Sono posizione legittime ma che non c’entrano molto con l’idea all’origine del Partito democratico, che voleva essere qualcosa di diverso rispetto ai socialisti spagnoli, piuttosto che ai laburisti o ai socialdemocratici tedeschi. Personalmente credo molto in un Partito democratico più inclusivo e moderno”.

Cosa manca al partito?

“Mancano i luoghi di discussione, di pensiero. Il Pd non ha un centro studi, ha perso i quotidiani e le riviste dove si creava dibattito, inoltre non ha attività di formazione degne di questo nome. In più il Pd è nato anche dall’unione di diversi partiti per questo si sarebbe dovuto sviluppare un grande senso di appartenenza alla nuova famiglia”.

E perché questo non è avvenuto?

“Non è avvenuto perché la struttura stessa del Pd non lo rende possibile. Partendo proprio dallo statuto si privilegia l’affiliazione dei singoli iscritti o elettori a un capo, in una dinamica leader-follower, si spingono le persone a essere capetti o seguaci anziché sviluppare il senso di essere membri di una comunità dove portare avanti un progetto comune. Questo a mio avviso è un elemento di corruzione spirituale, un modo completamente sbagliato di vedere le cose. Oggi ogni giovane che si vuole avvicinare al partito è costretto a intrupparsi in una o nell’altra corrente per poter fare il politico, tutto ciò è avvilente. È inutile che tutti i segretari se la prendano con le correnti quando è la struttura del partito che è organizzata in questo modo e loro stessi sono il frutto di queste spartizioni. La vita e la morte di un consigliere comunale o regionale o di un parlamentare, la sua collocazione in una Commissione parlamentare piuttosto che in un’altra e ogni tipo di incarico nel partito o nel Governo passano attraverso il filtro di questo meccanismo”.

Anche l’organizzazione forse è superata…

“Infatti, gli stessi organi del Pd sono costruiti malamente. L’assemblea nazionale conta oltre un migliaio di persone e la direzione nazionale più di duecento, con numeri del genere non si riesce a realizzare nessuna collegialità sensata. Ma la vera stortura sta nel fatto che gli organi del partito, a tutti i livelli, sono creati su meccanismi di cooptazione per cui non funzionano come reali luoghi di discussione e decisione. Le decisioni vengono prese altrove e ratificate dagli organi. Per i rappresentanti dei territori la partecipazione è frustrante in grado massimo. Tutto viene precotto al centro. Di qui un inevitabile, strutturale scontento della base e degli amministratori locali, che invece, spesso, hanno un peso politico fondato direttamente sul consenso tra i cittadini. In questo senso le primarie non saranno la panacea di tutti i mali ma hanno dimostrato di poter produrre una straordinaria ricchezza con la mobilitazione di migliaia di persone. Certo sono possibili deviazioni e non sempre ci sono state delle esperienze positive ma restano una strada intelligente in un’epoca in cui la militanza tradizionale in un partito non è più proponibile come un tempo”.

Ripartire dai contenuti quindi?

“La propria identità non può essere definita dagli altri ma la devi definire da te, discutere delle alleanze senza aver chiaro chi siamo e cosa vogliamo non va bene. Detto questo credo che sia completamente sbagliato, ogni volta, voler azzerare tutto addirittura cambiando nome e simbolo. Ci sono cose che sicuramente devono essere cambiate in profondità ma fare e disfare il partito a ogni elezione è ridicolo, tutto ciò non succede in nessuno degli altri Paesi. Nel Codice etico sono affrontati e ben impostati alcuni annosi problemi di correnti e di meritocrazia, di pari opportunità di genere, di incompatibilità e di comportamenti inopportuni da evitare. Insomma una lezione di stile, di un altro modo di far politica. Un ottimo testo. Basterebbe applicarlo”.

Letta ha fatto sapere che organizzerà un nuovo congresso e che non sarà candidato, l’impressione però è che si cambi tutto per non cambiare nulla…

“Sì è vero, proprio per come si è costruito parte di questo gruppo dirigente mettendo al primo posto la propria sopravvivenza. È evidente che questo tema non scompare ma è stato persino acuito dalla sconfitta, sono in atto una serie di manovre per cercare di mantenere la situazione così com’è, un’operazione di tipo cosmetico. Al momento direi che i nomi non sono la cosa importante, bisogna capire se i fondatori del Pd vogliono mantenere in vita questo soggetto e con quali caratteristiche. Quello di una nuova guida sarà un problema successivo”.

In una sua relazione del 2012, quando ancora era il segretario dei Democratici trentini, scrisse: “Nei prossimi mesi si deciderà un pezzetto della storia del nostro Paese”, sembra un incipit ancora molto attuale…

“In quel periodo stavamo uscendo da una crisi finanziaria gravissima, avevamo un’emergenza di tipo sociale a cui si dovevano dare delle risposte. Oggi direi che c’è un’emergenza climatica che deve essere una priorità. Fra gli errori del Pd c’è stato quello di non capire l’importanza, soprattutto per le nuove generazioni, di questa emergenza. Poi c’è un’emergenza internazionale spaventosa e a questa si collega un’emergenza di tipo sociale legata all’aumento dei costi dell’energia ma va affrontato anche il tema delle condizioni di lavoro che spesso sono inaccettabili. Purtroppo anche il Pd ha sottovalutato questi temi, in particolare la questione giovanile su cui si è fatta tanta demagogia con proposte bizzarre, senza capire che i giovani non hanno bisogno di bonus o regali ma contratti di lavoro degni di questo nome e di qualcuno che sappia riconoscere le loro capacità”.