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Il rebus del ministro dell’Economia, derby tra gli ex Siniscalco e Grilli

Una poltrona per due ex. La corsa alla postazione chiave dell’Economia nel futuro governo Meloni nelle ultime ore sembra diventata un derby fra Domenico Siniscalco e Vittorio Grilli. Il primo sedette nell’ufficio di via XX settembre fra il 2004 e il 2005, nell’esecutivo guidato da Silvio Berlusconi. Grilli ha ricoperto lo stesso incarico con Monti, fra il 2012 e il 2013. I profili dei due supertecnici sono in cima all’elenco della premier in pectore, che deve valutare delle alternative al nome preferito, quello del membro della Bce Fabio Panetta, la cui indisponibilità – rivelata da Bloomberg – non è stata smentita dall’interessato.

Panetta, non è un mistero, ambisce al ruolo di governatore di Bankitalia, per il quale dovrebbe concorrere l’anno prossimo assieme a Daniele Franco, ministro uscente di Draghi. Meloni, ormai da dodici giorni immersa nel duplice dossier delle emergenze del Paese e degli assetti istituzionali, non ha smesso di sperare che alla fine strapperà il sì di Panetta, grazie magari alla moral suasion del Capo dello Stato. Ma il Quirinale ha già fatto sapere che vaglierà i nomi che gli saranno sottoposti, senza alcun intervento preventivo. E lo stesso Panetta si sarebbe fatto vivo con Meloni, recapitando alla leader FdI il proprio “no, grazie”, senza margini a ripensamenti.

E allora le figure in campo rimangono appunto due: Siniscalco, nome che circola già da luglio, o Grilli, i quali oltre a essere due ex ministri hanno ricoperto in precedenza lo stesso ruolo nella struttura del Tesoro, quello di capo dipartimento. Grilli, che è vicino a Giulio Tremonti, e Meloni avrebbero già avuto un contatto telefonico e le chance del dirigente di JPMorgan sono congrue, malgrado qualcuno abbia ripescato un atto parlamentare del passato che crea qualche imbarazzo: Meloni, allora capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, presentò un’interrogazione contro Grilli, contestando il fatto che l’allora ministro possedesse cinque conti correnti nel paradiso fiscale delle isole del Canale. In risposta alle critiche, Grilli pubblicò sul sito del Mef le sue dichiarazioni dei redditi dalle quali si evinceva che i conti erano stati aperti nel 2001, quando risiedeva a Londra, e che erano sempre stati regolarmente dichiarati alle autorità fiscali italiane e inglesi.

Restano, ovviamente, altre opzioni per il ministero dell’Economia. Ma è meno caldo il nome di Dario Scannapieco, attuale amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti che però preferirebbe la conferma nell’attuale incarico. Insomma, declinano le stelle dei Draghi-boys (Panetta, Franco, Scannapieco) e Meloni si guarda intorno. Con qualche rammarico per i no che sta ricevendo ma con la convinzione che la partita del governo dei competenti si possa vincere. Con un tecnico in via XX settembre, possibile che ciascun partito finisca per indicare un vice - o un sottosegretario - politico: per Fratelli d’Italia Maurizio Leo, per la Lega Federico Freni, per Forza Italia Gilberto Pichetto Fratin. D’altronde, viste le emergenze che non consentono alla futura struttura di governo un rodaggio, Meloni ha deciso di riproporre un governo che avrà più o meno lo stesso numero di ministri (ventitre, di cui quindici senza portafoglio) e non ci saranno spacchettamenti di dicasteri: si postulava, fino a qualche tempo fa, il ritorno a una divisione fra Finanze e Tesoro.

La trattativa è ancora lunga e il probabile prossimo capo del governo solo la prossima settimana, fra martedì e mercoledì, vedrà i leader alleati, Berlusconi e Salvini. Il suo obiettivo è comunque quello di chiudere un pacchetto unico con gli alleati, che comprenda ministeri e presidenze delle Camere, le prime da definire perché andranno al voto alla fine della prossima settimana, nonché presidenze delle commissioni parlamentari.

Per la presidenza del Senato restano elevate le quotazioni di Ignazio La Russa (malgrado il tifo della Lega per Roberto Calderoli, che in alternativa potrebbe ottenere il ruolo di ministro degli Affari regionali, in chiave autonomia), mentre per la Camera a quel punto si virerebbe su Giancarlo Giorgetti (o sul forzista Alessandro Cattaneo). Ma il rebus è ben lungi dall’essere risolto.