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In This England il cattivo non è Boris Johnson

Da quando Sky ha annunciato la realizzazione di una miniserie su Boris Johnson sono stati molti a chiedersi se il prodotto avrebbe ritratto l'ex primo ministro come il casinista pasticcione descritto da buona parte della stampa internazionale. La cosa che salta subito all'occhio di This England, disponibile su Sky, è, invece, una completa imparzialità sia su Johnson sia sul suo modo di gestire la pandemia nel Regno Unito: la paura che l'ex primo ministro fosse dipinto come il principale responsabile della gestione del Covid nel Paese era più che giustificata ma, a questo giro, è evidente che lo showrunner Michael Winterbottom abbia preferito soffermarsi su un ritratto più equilibrato del premier, mostrando sì gli errori e le scorrettezze messe a punto da Johnson e dal suo staff, ma lasciandoci intendere che erano sempre mosse dalla voglia di fare del bene. Il cattivo di This England, insomma, non è Boris Johnson, ma il virus, che dal primo all'ultimo fotogramma palesa la propria presenza portandoci indietro ai mesi in cui tutti noi ci siamo ritrovati ad avere a che fare con una minaccia che non avevamo le armi per combattere.

In This England il cattivo non è Boris Johnson

Phil Fisk

La serie, introdotta dal disclaimer «questa è una finzione basata su eventi reali», parte dai primi giorni del governo Johnson, magistralmente interpretato da Kenneth Branagh che, dopo essere tornato al cinema nei panni di Poirot in Assassinio sul Nilo e agli Oscar con Belfast, il suo film più intimo e personale, ha scelto di cimentarsi con un ruolo difficile che gli ha richiesto due ore di trucco tra cerone e prostetici al giorno e un lavoro non indifferente sulla mimica facciale, sul modo di parlare e, soprattutto, sull'andatura e la postura di Johnson, per un risultato a dir poco soddisfacente. Tutto inizia da una data: il 23 aprile del 2019. In quella giornata arriva, infatti, l'annuncio che «la tanto attesa biografia di Shakespeare scritta da Boris Johnson sarà finalmente pubblicata nell'aprile del 2020», rendendo This England una serie dotata di un'ironia sottile che non potrà non far sorridere lo spettatore - tipo quando, nella scena del trionfo del partito conservatore, Johnson spiega al suo staff che il 2020 sarà «un anno di prosperità, crescita e speranza», inquadrando un attimo dopo i pipistrelli senza vita depositati sui banconi del mercato generale di Wuhan.

Più che un'opera di finzione, l'impressione è che This England miri a essere soprattutto una docu-serie, visto che si sprecano i video originali che ritraggono non solo gli eventi cruciali che hanno visto protagonista Johnson - come il suo ingresso a Downing Street -, ma anche le tantissime immagini delle terapie intensive strapiene, delle ambulanze italiane e dei cinesi bardati dalla testa ai piedi che non possono non portare un pizzico di disagio in coloro che quelle immagini le hanno vissute. Non tutti gli spettatori sono pronti a rivivere questo tunnel con la dovuta lucidità, ed è per questo che, prima degli episodi più tosti, This England avverte il pubblico che c'è il rischio di imbattersi in scene difficili da digerire, soprattutto quando si è perso un parente o un amico in quelle stesse terapie intensive. In definitiva, il ritratto di Boris Johnson che emerge dalla serie è più che indulgente, e in certi momenti sfugge il motivo per il quale la produzione abbia deciso di sospendere qualsiasi forma di giudizio su di lui, permettendosi di osare solo durante le scene dei sogni in bianco e nero del primo ministro, unica finestra dalla quale scopriamo una certa inclinazione di Johnson alla sbruffonaggine - dalle sue idee sui gay al suo giudizio su Putin, definito la copia di Dobby di Harry Potter -. Crediamo, tuttavia, che una serie dovrebbe avere il dovere di osare, e dispiace vedere che This England abbia scelto la strada più prudente del documentario per proteggersi dalle polemiche e dagli attacchi.

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