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Io, Stefano e la sclerosi multipla: la ferocia della solitudine

Nella scorsa puntata di questa rubrica riflettevo su quanta vita ci sia anche in una vita spoglia e feroce come la mia. Oggi voglio parlare di un aspetto di questa ferocia. 

La solitudine assistenziale è una condizione feroce. Ne ho parlato tante volte, tante volte ho rischiato di ripetermi, tante volte anziché incolpare questo o quell'altro soggetto ho accusato tutto il sistema del welfare: i soldi per la non autosufficienza sono sempre meno, i servizi alla persona sono sempre più ridotti all'osso, i soldi in mano alle cooperative che erogano i servizi - e quindi agli operatori domiciliari - non soddisfano nessuno. Ma oggi è delle risorse umane che voglio parlare.

Pare che nessuna assistente sia in grado di… Assistermi. La mia cooperativa è letteralmente disperata. Non si riesce a trovare un'assistente adeguata che faccia al caso mio. Vengono delle candidate, in affiancamento all'unica operatrice (trovata per miracolo) che si fa tutte le ore della settimana con me. Gli facciamo vedere le manovre, come movimentarmi, quanto sono collaborativa. Ho visto passare tra le mura di casa donne di nazionalità diversissime, così come italiane; di formazione diversa, di esperienza diversa. Una cosa su tutte, però, le accomuna: al termine degli affiancamenti danno forfait, dicendo che l'assistenza è troppo faticosa, o comunque non se la sentono. Ma per cosa hanno studiato? Cosa avevano in mente di fare, quando si sono candidate per questo mestiere?

Non importa che abbia loro dimostrato quanto posso aiutarle, 'fisicamente' intendo. Non importa la mia collaboratività. Non importa che dica loro che la sclerosi multipla è individualissima come patologia, e si apprende gradualmente, un po' per volta. A fine affiancamento mi salutano sorridenti e… Con un colpo di telefono alla cooperativa, rifiutano il mio servizio. Accanto ai casi attuali conto nel passato operatrici che si sono licenziate per mille motivi, che si sono stancate del lavoro, che hanno cercato offerte migliori. 

Nel frattempo sul fronte privato la mia assistente personale, che come si dice in gergo "se le mangia tutte" come capacità, forza, destrezza, intelligenza, per un gioco crudele della sorte è afflitta dalla malattia rarissima della bimba. E così mi trovo scoperta anche lì. Sola, sia con l'assistenza pubblica che con l'assistenza privata. Sola o non gestita, comunque non aiutata in quello che sarebbe il compito di un'assistenza - pubblica o privata - come si deve: ridurre il carico sul mio caregiver familiare, restituirmi autonomia in modo non occasionale ma sistematico, ridurre l'impatto della disabilità, e andando all'essenziale, proprio vivere: perché è di questo che si parla, quando si parla di assistenza a un soggetto totalmente non autosufficiente. Non è un optional. Non è una cosa di cui si può fare a meno. È la sopravvivenza, è la vita! 

Senza quelle braccia e quelle gambe io non mi alzerei dal letto al mattino, e via per tutta la giornata fino alla sera, e addirittura alla notte, quando mio marito è in trasferta. L'assistenza per me è un sostegno vitale

Quanto può far male quindi a me, a Stefano, al nostro equilibrio di coppia, al suo lavoro, alla mia prospettiva futura e diciamolo, anche alla mia voglia di vivere, essere rifiutata come "caso complicato", dover aspettare in continuazione l'ennesimo recruiting del pubblico, dovermi mettere io stessa alla continua ricerca di una nuova sul privato e non trovarla? 

L'ho detto in tante sedi, l'ho scritto e descritto più volte, ho fatto appelli, ho messo annunci, ho chiamato i servizi sociali, ho perso il fiato ormai, per dire che l'assistenza per chi è non autosufficiente e per i familiari rappresenta la vita stessa. Ma niente da fare.

Se non è ferocia questa, ditemi voi. 

(Credits foto: Associazione Luca Coscioni)

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