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L’Europa trova l’intesa sul bando al petrolio russo, ora però deve fissare un tetto al prezzo del gas

Finalmente c’è un price cap, ma sul petrolio. Il fatto che non ci sia una versione univoca nemmeno sul conteggio dei round di sanzioni europee a Mosca testimonia quanto sia difficile il lavorio diplomatico tra gli ambasciatori. C’è l’accordo dei Ventisette su un nuovo pacchetto, l’ottavo, da licenziare al Consiglio domani a Praga. Di fatto si vietano le importazioni via mare, finora permesse, di greggio russo, a meno che non avvengano al di sotto di un prezzo massimo, di cui si stabiliscono le basi legali. Un tetto è possibile, ora bisogna colmare il price gap e cioè accelerare su quello al costo del gas, come chiede la plenaria dell’Europarlamento a Strasburgo.

L’intesa è stata comunicata dalla presidenza di turno dell’Ue, che questo semestre spetta alla Repubblica Ceca. Vuole essere una risposta ai referendum illegali orchestrati a mano armata da Vladimir Putin nel Donbas. Infatti, le contromisure sono state estese alle aree occupate di Kherson e Zaporizhzhia, in attesa che l’esercito ucraino le liberi. I provvedimenti colpiscono tecnologia e servizi informatici, carta e polpa di cellulosa, plastica, acciaio e macchinari, fino alle sigarette, con l’obiettivo di depotenziare ulteriormente l’industria, bellica ma non solo, e inceppare la produzione di un numero sempre maggiore di prodotti.

A dicembre scatterà il bando al petrolio pompato via terra. Quello trasportato con le navi era rimasto fuori, anche per le pressioni di alcuni Stati. Per difendere un «interesse nazionale» che coincide con quello del Cremlino, l’Ungheria di Viktor Orbán aveva estorto un’esenzione con la scusa di non avere «sbocchi sul mare».

Il nuovo divieto è abbinato a una nuova deroga, ma la lega all’introduzione di un tetto al prezzo. Consentirà di acquistare greggio purché sotto l’importo che sarà stabilito dal G7. Va declinato al futuro, perché non è stato ancora fissato. L’amministrazione di Joe Biden è convinta di poter trovare un’intesa entro qualche settimana.

A premere per un compromesso sarebbero stati Paesi come Grecia, Malta e Cipro, le cui flotte di petroliere trasportano soprattutto idrocarburi di provenienza russa. Hanno ottenuto rassicurazioni, su ristori economici in caso di contrazioni dei loro traffici. Al tempo stesso, la Commissione europea vigilerà per evitare elusioni, per esempio contro la pratica di re-immatricolare le navi. «È una specie di freno di emergenza» ha spiegato un diplomatico a Euractiv.

Non sono arrivate buone notizie dalla riunione dell’Opec+. Russia e Arabia Saudita sono riuscite a spingere per un taglio della produzione di 2 milioni di barili al giorno. Come calcola il Financial Times, si tratta di una riduzione del 2% alle forniture globali che probabilmente innescherà un rialzo dei prezzi. A pagarlo rischiano di essere soprattutto le famiglie europee. La decisione del cartello è uno schiaffo – con il contributo di Riyad – ai tentativi americani di abbassare il costo del greggio, proprio mentre l’Occidente cerca di ridurre gli introiti del Cremlino.

Intanto l’Ecofin, che riunisce i ministri di Economia e Finanza dell’Ue, ha proposto di aggiungere due capitoli ai Recovery plan post-pandemici degli Stati europei. Pesano 20 miliardi di euro e dovrebbero finanziare la transizione energetica: una sostenibilità che significa meno dipendenza dai combustibili fossili, specie quelli venduti da Mosca. La ricetta per finanziare l’addendum, cioè pescare per due terzi nel Fondo per l’Innovazione comunitario, non convince però l’Europarlamento e i principali quattro gruppi (Ppe, S&D, Renew e Verdi) hanno già chiesto di trovare altrove le coperture.

In aula, a Strasburgo, la presidente della commissione Ursula von der Leyen ha elogiato l’accordo sull’ottavo pacchetto, insistendo su due punti. Impedire a Putin di usare l’energia come arma e fargli pagare l’invasione dell’Ucraina. La plenaria ha approvato una risoluzione più ambiziosa, nelle richieste, di quanto raggiunto finora. Si invita a più solidarietà, invece delle «azioni unilaterali e divisive» si privilegia una risposta comune.

«Tempi eccezionali richiedono misure di emergenza eccezionali» è il presupposto. I punti: una tassa temporanea sugli extra-profitti di chi ha macinato più introiti durante la crisi, il disaccoppiamento del prezzo dell’elettricità dal gas, il price cap sul metano e, ancora, l’«embargo immediato e totale sulle importazioni russe di petrolio, carbone, combustibile nucleare e gas, e un completo abbandono di Nord Stream 1 e 2».

Sulla risoluzione, i partiti che formeranno la prossima coalizione di governo in Italia si sono divisi. Lega e Forza Italia hanno votato a favore, gli eurodeputati di Fratelli d’Italia – cioè l’azionista di maggioranza del centrodestra – si sono astenuti. Alla «maggioranza Ursula» le truppe di Giorgia Meloni forse preferiscono un’«Europa delle nazioni» con capitale a Visegrád. Ma quando, dopo carbone e petrolio, toccherà al gas non ci si potrà permettere di andare in ordine sparso.