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La prima arbitra italiana e tutto quello che stiamo sbagliando raccontandola

«Grandi passi avanti contro il gender gap ma l’arbitro di oggi ha un cognome ed è #FerrieriCaputi, non Maria Sole. Non è una vostra amica. Gli altri arbitri hanno un cognome e lo usate, lei pare abbia solo un nome». Il commento viene da Twitter e non è il solo a rimarcare l'atteggiamento di tv e giornali. In tanti hanno notato che la prima donna chiamata ad arbitrare nella Serie A maschile, Maria Sole Ferrieri Caputi, sia stata chiamata più spesso per nome che per cognome, cosa praticamente mai successa ai colleghi. L'arbitro era Collina, non Pierluigi, è Rocchi, spesso anche con l'aggiunta di Signor prima del cognome.

Essere la prima in Italia ha aperto, come sempre, la questione linguistica. «Arbitro o arbitra fate voi, per me non fa differenza» ha detto lei. La questione aperta per tante altre categorie e, come per le altre, è dovuta all'uso della lingua, anzi, alla mancanza d'uso, per i femminili di alcuni termini usati solo al maschile. Altra cosa è usare il nome al posto del cognome, solo per lei.

Altra ancora la questione maternità. Giusto toccarlo nelle interviste. In quella al Corriere dello Sport è lei stessa a farlo: «Penso alla difficoltà di una maternità, e lo dico in maniera sana, perché ora come ora non ci penso. In un futuro, mi piacerebbe, ora forse non sono pronta, non è un peso. Però spesso ci troviamo davanti ad una scelta, non imposta da qualcuno, ma essendo delle sportive, tendiamo a rimandare famiglia e figli. Anche su questo si potrebbe fare un passo in avanti». Nel titolo, che ha ovvia necessità di limitare gli spazi, diventa «arbitra o mamma» che è riduttivo e soprattutto è domanda che non si è mai vista fare a un uomo.

Non vale solo per lo sport. A Samantha Cristoforetti in partenza per la stazione spaziale internazionale è stato chiesto della gestione dei suoi figli durante la sua assenza. Anche questa è una domanda legittima, ma che a un uomo non sarebbe stata fatta e il problema sta proprio qui.

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