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Le stazioni di polizia cinesi in Italia sono fuori legge, Piantedosi: "Pronto a sanzionarli"

ROMA - L’Italia ha aperto un’inchiesta sulle cosiddette stazioni di polizia cinesi nel nostro Paese. Che, al momento, non sembrano avere alcuna autorizzazione. “Stiamo verificando: non escludiamo sanzioni in caso di irregolarità”. Il ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, ha parlato in aula del caso esploso nelle scorse settimane dopo la denuncia della ONG spagnola Safeguard defenders.

A sollecitarlo nel corso di un question time il deputato di +Europa, Riccardo Magi, che ha chiesto “se il ministero dell'Interno abbia mai autorizzato l'apertura di queste strutture, quali attività svolgano davvero e se sia stata aperta un'inchiesta”. Piantedosi ha confermato, così come riportato da Repubblica, che un’indagine c’è: la sta svolgendo Aisi insieme con la polizia di Stato. E, in un caso, esiste anche un’informativa all’autorità giudiziaria. “La vicenda – ha spiegato il ministro degli Interni - non ha alcuna attinenza con gli accordi di cooperazione internazionale di polizia tra l'Italia e la Cina e con l'esecuzione di pattugliamenti congiunti tra personale delle rispettive polizie. Segnalo che il memorandum d'intesa per la esecuzione di questi pattugliamenti, firmato a L'Aia nel 2015, ha consentito lo svolgimento dal 2016 al 2019 delle attività di pattugliamento in Italia e dal 2017 al 2019 in Cina, per essere poi sospese nel 2020 a causa della pandemia e tuttora inattive”.

Secondo quanto fino a questo momento detto da Pechino, questi uffici aperti in undici posti in Italia, sostiene la Ong, altro non sarebbero che dei centri per sbrigare pratiche amministrative e burocratiche. In particolare – come avevano segnalato il Foglio e Formiche nei mesi scorsi – ne sarebbe stata aperta una a Prato. “La Polizia – ha spiegato in aula il ministro – ha immediatamente avviato accertamenti dai quali è emerso che nello scorso marzo l'associazione culturale della comunità cinese di Fujian in Italia aveva aperto una sorta di sportello per il disbrigo di pratiche amministrative rivolto ai connazionali. Il presidente del consiglio direttivo dell’associazione, sentito negli uffici della prima Questura, ha dichiarato che, oltre alle finalità richiamate, la sua associazione avrebbe fornito un servizio finalizzato ad aiutare i cittadini cinesi, che a causa del protrarsi della pandemia non avevano potuto fare rientro nel Paese d'origine, nel rinnovo di patenti cinesi e in materia di successioni. Ad oggi l’associazione, pur rimanendo formalmente in essere, di fatto non risulta più fornire i servizi, che peraltro avrebbero riscosso anche uno scarso interesse”. Soltanto quattro sarebbero le richieste arrivate.

Perché tenerla aperta allora? La denuncia dell’Ong è che in questi anni sarebbero servite per rintracciare e avvicinare oppositori politici e invitarli, non con le buone, a rientrare in patria. “Il 16 novembre c’è stato nel Dipartimento della pubblica sicurezza un incontro con l'ufficiale di collegamento in servizio presso l'ambasciata della Repubblica popolare cinese a Roma che ha confermato quanto dichiarato dal presidente del consiglio direttivo dell’associazione. Sulle altre città che sarebbero sede di queste associazioni: non risultano al momento cosiddetti centri servizi analoghi a quelli di Prato, né a Roma, né a Firenze, né a Venezia, né a Bolzano. A Milano è stata riscontrata la presenza di un'associazione la Overseas Chinese Center che svolge attività di disbrigo pratiche amministrative per i cittadini cinesi, sulla quale sono in corso approfondimenti”.

In ogni caso, il ministro degli Interni è stato molto chiaro sulla possibilità di movimento che questi centri hanno: nulla. “Non c’è alcuna autorizzazione alle attività dei centri in questione. In ogni caso sono in corso indagini amministrative per verificare che titoli ci sono. Assicuro che le forze di polizia, in costante raccordo col comparto intelligence, hanno in corso un monitoraggio di massima attenzione sulla questione e che seguirò personalmente gli sviluppi non escludendo provvedimenti sanzionatori in caso di illegalità”.

“Quello cinese è un regime autoritario” ha risposto in aula Maggi, “che opera principalmente con l'intimidazione nei confronti dei propri concittadini, ma anche nei confronti degli altri Stati. È, quindi, importantissimo che gli approfondimenti avvengano con la massima rapidità e con la massima serietà, che oggi il ministro ci ha garantito. Se anche si trattasse di svolgere - da parte di queste associazioni, di queste sedi informali, non so come meglio definirle - dei compiti consolari non autorizzati, si tratterebbe comunque di un'attività illegale.Ci sono poi altri profili che ci preme sottolineare. È necessario rendere pubblici tutti quanti gli accordi che sono stati stipulati negli ultimi anni con la Repubblica popolare cinese. Non per tutti avviene così”.