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Le tante vite di Cheikh Diattara

Ci sono storie che sanno riempirti di emozione, lasciandoti così, pieno di meraviglia. E la storia di Cheikh Diattara, 46 anni, è una di queste. Suonatore di djembé, giocatore della nazionale di basket oltreché sarto, arriva in Italia da Diender, un piccolo villaggio a 2 ore dalla capitale Dakar, in Senegal: è cresciuto lì fino al 2013 quando poi è arrivato a Salerno, dove è sbarcato con la compagnia Handyritmo, un gruppo di musicanti che facevano acrobazie con stampelle e sedie a rotelle. Cheikhera uno di loro, anche lui da quando era bambino usa la sedia a rotelle: prese la poliomielite a 8 anni.

«Arrivato a Salerno, però, le cose non sono andate come speravo e tutto si è sfaldato velocemente. Avevo in tasca il recapito di un amico e quando l'ho chiamato, spiegandogli che mi sarei dovuto trovare velocemente qualcos'altro da fare, lui, sapendo che in Africa giocavo, mi ha proposto la pallacanestro: anche lui era in sedia a rotelle e anche lui giocava in una squadra. E così sono ripartito verso Milano e mi hanno ingaggiato per giocare nella squadra di Cantù. Quello stesso amico mi ha poi aiutato a trovare anche un posto nei centri di solidarietà San Marco e così è iniziata una nuova vita».

Dopo tre anni nei centri di accoglienza, dandosi sempre un gran daffare, Cheikh Diattara è riuscito ad avere una casa e ha trovato un lavoro più strutturato: «Quando finiva il campionato di basket rimanevo lì a non fare nulla e facevo fatica a stare con le mani in mano. Avevo bisogno di trovare un impiego più costante. Intanto, in quel tempo libero, andavo al Parco Sempione a suonare con gli amici - adoro il djembé, il mio tamburo - e un giorno si è fermata ad ascoltarci una ragazza con cui ho iniziato a chiacchierare e che si è proposta di aiutarmi».

Quella ragazza si chiama Valeria Zanoni ed è lei la sua chiave di volta: esperta di comunicazione, l'ha davvero supportato a realizzare i suoi sogni: «Da sempre mi sarebbe piaciuto fare il sarto, desideravo aiutare i ragazzi del Centre Handicapés di Dakar, dove ho vissuto dopo che mi sono ammalato di poliomielite e dove ho imparato tutto quello che so fare».

E allora Valeria ha un'idea: perché non aprire qualcosa insieme? Ed è così che, poco prima del lockdown, è nata KeChic, una piccola sartoria sociale, con sede in via Pepe, nel quartiere Isola, a Milano. «I ragazzi del Centre Handicapés di Dakar ci mandano le stoffe e noi poi confezioniamo qui i capi cercando di fare tagli con un'estetica più europea. I tessuti wax li usiamo per lo più per le fodere, qualche dettaglio, le bordature, i colli e i cappucci: una collezione che sta piacendo».

E così, con ago e filo, Cheikh ha iniziato a tessere il suo futuro: «Il mio sogno è quello di continuare a lavorare nella moda: vorrei che la nostra sartoria crescesse, che diventasse un grande brand. Vorrei poter dare ad altre persone in difficoltà l'opportunità che ho avuto io. Devo ringraziare Valeria, che mi spinge sempre avanti, che ha reso possibile l'impossibile».

E queste sue tante vite sono diventate un libro, E ora vi racconto Cheikh, Maestro di Felicità (Beisler editore), scritto da Emanuela Nava con le illustrazioni di Anna Sutor: «Ho sfogliato il libro e rivisto la mia vita. Quelle pagine mi danno ancor più energia, mi danno il coraggio per affrontare il domani. Mia nonna Apsa, quando ero piccolo, mi diceva di non vedermi come un malato, di non concentrarmi sulle mie debolezze. “Cheikh”, mi diceva lei, “il tuo nome significa Maestro”».

E sicuramente da questa sua storia si possono trarre non pochi insegnamenti.

Le tante vite di Cheikh Diattara