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Omicidio di Solaro: l’uomo accusato di aver sgozzato il vicino assolto nell’appello bis

“Non so come sia possibile che io riesca a stare qui seduto, mi sembra di volare”. Così avrebbe detto ai familiari il 60enne Mario Zaffarana, muratore arrestato dai carabinieri della Compagnia di Desio il 23 dicembre 2017 con l’accusa di avere sgozzato il vicino di casa Michelangelo Radaelli. Le parole, pronunciate all’uscita del carcere durante i brindisi alla libertà ritrovata, sono state riportate dal legale Luca Valaguzza, del foro di Monza che ha assistito il 60enne nel “ribaltone giudiziario” compiuto il 27 settembre scorso: dalla condanna a 21 anni per omicidio aggravato all’assoluzione nell’appello bis con richiesta di annullamento da parte della stessa Procura generale presso la Corte d’Appello.

IPOTESI DI “INGIUSTA DETENZIONE”

Così il 60enne ha lasciato alle sue spalle i cancelli della Casa circondariale di Monza ritrovando la libertà dopo quattro anni e mezzo di detenzione, O, c’è da credere sosterrà il suo legale, di “ingiusta detenzione”. Non appena la sentenza dei giorni scorsi si perfezionerà nell’iter di chiusura (le incognite ormai sono pressoché nulle) saranno valutate le richieste di risarcimento. Ma anche a questo punto il legale Valaguzza non nasconde la soddisfazione e anche il sollievo per la fine di quella che viene letta un po’ come una situazione kafkiana. “Non ci davamo pace -ha detto l’avvocato monzese- anche perchè era evidente che l’ipotesi di colpevolezza non stava in piedi. Direi un caso di ragionevole dubbio da manuale”. Non troppo evidente, al sistema giudiziario, che per due volte ha condannato Zaffarana, sia in primo grado che in appello, a 21 anni di carcere con l’aggravante dei futili motivi e della premeditazione.

LA STORIA

La vittima, Michelangelo Radaelli, era un vicino di casa nella palazzina di Solaro, con frequentazioni assidue della zona di Limbiate e Varedo. E pare che tra i due condomini ci fossero stati forti screzi, considerati poi il movente, nell’impianto accusatorio.
A far propendere per la colpevoezza nella prima condanna furono le tracce di Dna della vittima sul giubbino di Zaffarana, “che però venne buttato a terra nel corsello dei box dagli inquirenti”, ha detto Valaguzza. Da qui la tesi che l’indumento fosse stato contaminato dopo il ritrovamento dle cadavere sgozzato nel box condominiale. A maggio 2022 in Cassazione l’impianto accusatorio è stato fatto a brandelli e infine la richiesta di annullamento da parte del procuratore (nel frattempo cambiato) e l’assoluzione. Zaffarana è libero, a casa dei familiari, mentre il caso di Solaro resta irrisolto.