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Pardo, Piccinini, Trevisani: "I social ti rendono lo zimbello in tempo reale, commentiamo per 90 minuti qualcosa in cui non sappiamo cosa accadrà"

TRENTO. Nella splendida cornice del muse l’evento “il calcio lo racconto così”, ospiti Pierluigi Pardo, Sandro Piccinini e Riccardo Trevisani, tutti e tre arrivati a fare il lavoro di telecronista tra gavetta e colpi di fortuna: “ La svolta arrivo quando mando una VHS durante l’Erasmus a Londra - racconta Prdo - sognavo di fare il telecronista sportivo, ed ero in uno  stadio inglese accreditato per una società di Palermo quando incontrai una persona che disse che Tele+ cercava telecronisti. Intraprendenza e colpo di fortuna sono la chiava vincente”.

Sandro Piccinini invece, che secondo Pardo “ha cambiato il modo di fare telecronaca in Italia”, ha avuto la fortuna che fosse l’inizio di tutto: “Esisteva solo la telecronaca istituzionale sulla rai - racconta Piccinini - e io ho studiato giornalismo pensando ai giornali e non alle tv che non esistevano allora. È una passione nata come reazione di telespettatore non soddisfatto di quello che ascoltava. Sentivo le telecronache e mi annoiavano perché erano notarili. Ma in quel tempo c’erano pure le radiocronache di Enrico Ameri che erano delle telecronache “’ccezionali” (ride, ndr). Lui era un vulcano. Quando mi è capitata l’occasione di avere un microfono davanti cercavo di portare quell’entusiasmo coinvolgendo il pubblico, usando un linguaggio più informale, epurato dalle frasi fatte”.

Un lavoro che tanti sognano ma che nasconde alcune difficoltà: “Noi commentiamo per 90 minuti qualcosa in cui non sappiamo cosa accadrà - spiega Trevisani - e dobbiamo guardare tutto. Fai nove cose contemporaneamente senza sapere cosa dirai nei prossimi venti secondi. Non ci si rende minimamente conto della difficoltà”.  

Telecronache da tifoso? La partita più rilassante è la partita internazionale - precisa Pardo - ai mondiali quando non c’era l’Italia era tutto bello, eravamo considerati sempre bravissimi. Fai la stessa cosa su Inter-Juve e sei tremendo. Non devi farti influenzare da chi insulta a prescindere per qualsiasi cosa”. Per Piccinini “ci vuole misura, se Messi fa goal contro un’italiana non puoi essere in lutto, ma deve esserci una proporzione. Il tifo non deve toccare il telecronista, che può entusiasmarsi, ma ci vuole un minimo di misura nella musicalità perché sennò stona. Pensate quanto mi sono divertito io i primi 20 anni senza social (ride, ndr)”. Per Trevisani infatti questo mestiere è peggiorato con la nascita dei social network che “ti rendono lo zimbello in tempo reale, io e Pardo teniamo accessi i telefoni per controllare in tempo reale se abbiamo detto qualcosa di sbagliato. Durante un Celtic-Barcellona - continua Trevisani - per un tifoso ho vilipeso la storia del Celtic per aver urlato a un goal di Messi”. “Non bisogna farsi condizionare, come per gli arbitri, e io il telefono lo tengo spento”, puntualizza Piccinini.

Se al telecronista non deve mancare la passione, questo lavoro richiede anche attenzione ai narcisismi. Per Pardo “il pericolo c’è, perché in qualsiasi attività nel mondo della comunicazione è un pericolo, bisogna limitarli, ma vale anche per politici e uomini dello spettacolo. Secondo me comunque un marchio, una firma, un tormentone un po ci vuole perché fa parte della riconoscibilità e dello stile”. “La mania di protagonismo - sostiene invece Piccinini - ossia pensare di essere più importanti dell’evento, è stato commesso un po’ da tutti noi. Ma tu non sei l’evento, l’evento è la partita e i protagonisti sono i giocatori”. “La difficoltà è proprio quella di trovare l’equilibrio”, conclude Trevisani.