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Pietro Grasso a Mantova: «Il pool antimafia? Una rivoluzione e una speranza»

Il ricordo di Falcone e Borsellino a 30 anni dagli attentati di Capaci e via D’Amelio: «La mafia è un sistema di relazioni, deve avere rapporti con la società. Le politiche antimafia devono tenerne conto»

GAZOLDO DEGLI IPPOLITI. “Raccontiamoci le mafie” ha portato alla Villa Comunale di Gazoldo anche Pietro Grasso, ex magistrato ed ex presidente del Senato. Con lui, al tavolo dei relatori, Alessandra Dolci, capo della Direzione distrettuale antimafia di Milano, la giornalista francese Marcelle Padovani (autrice, con Giovanni Falcone, di “Cose di Cosa Nostra”, unica lunga intervista edita del giudice ucciso dalla mafia) e Antonio Balsamo, presidente del Tribunale di Palermo.

Il compito di moderare l’incontro, dedicato ai trent’anni dalla morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, è stato affidato al giornalista Pierluigi Senatore. Padrone di casa, al quale è stata affidata l’apertura, il sindaco Nicola Leoni che, al termine dell’incontro, ha consegnato la Costituzione ai neo diciottenni del paese.

«Ormai siamo abituati a celebrare il 23 maggio e il 19 luglio – ha ricordato in apertura Senatore – sono sempre più occasioni formali nelle quali tutti dichiarano di essere amici ed eredi di Falcone e Borsellino. In realtà tanti giornalisti ricordano che solo tre persone sono sempre commosse: Giuseppe Ayala, Ignazio Di Francisci, Pietro Grasso».

C’è il problema del ricordo scolorito di Falcone e Borsellino, ha evidenziato Grasso: «Ho sentito il dovere e l’urgenza di scrivere questo libro, dedicato ai ragazzi ma utile agli adulti, per far ricordare e far rivivere quei momenti (il riferimento è a “Il mio amico Giovanni”, ndr). Mi premeva mostrare il lato professionale, certo, ma anche quello umano e quotidiano, nei quali si rideva e si scherzava anche sul pericolo che ci passava vicino. Racconto anche di momenti di relax, come quelli che ha potuto vivere mio figlio accanto a Giovanni. Il tutto, ovviamente, inquadrato nel contesto storico dell’epoca».

Grasso ha definito il maxiprocesso di Palermo come «un monumento giuridico» e gli anni del lavoro del pool come «rivoluzione epocale che aveva ridato speranza a una città e una regione». Nel suo racconto ha ricordato la vicenda con un lungo elenco di cadaveri eccellenti. «Con il maxiprocesso nasce una forma di resistenza a questo contesto di violenza. Si pensava che la mafia fosse un fatto minore, quasi letterario. Con il maxiprocesso e con la storia di Falcone e Borsellino le cose sono cambiate».

L’ex magistrato ha parlato anche della struttura della mafia. «È un sistema di relazioni, deve avere rapporti con la società. Le politiche antimafia ne devono tenere conto. E dobbiamo sempre fare attenzione a quello che la politica fa nel varare norme e disposizioni. In campagna elettorale, ad esempio, si è parlato di elezione diretta dei giudici, eliminando i concorsi. Immaginate cosa potrebbe accadere. L'indipendenza della magistratura non è privilegio di casta, ma serve in primis ai cittadini per avere garantito il potere reale di fare indagini e arrivare ad ottenere giustizia».

Grasso non ha risparmiato aneddoti e storie legati a inchieste che l’hanno visto lavorare al fianco dei giudici uccisi. Aspetti indagati anche da Padovani, che nel libro “Giovanni Falcone trent’anni dopo” si è interrogata sull’eredità sbiadita dell’esperienza di Falcone.

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